Martina Treu – Trasformare o reinventare Edipo e Antigone: è lecito. Gherardo Ugolini ha raccolto in volume quarant’anni di studi e recensioni sul ciclo tebano, dalla scena attica ai giorni nostri.

Gherardo Ugolini,
Tra Edipo e Antigone. Il mito tebano sulla scena attica e moderna.
ISBN 978-88-7588- 389-8, 2024, pp. 664, Euro 40


Martina Treu

È ricercatrice a tempo indeterminato di Lingua e Letteratura Greca presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano, e Professore Associato in Lingua e Letteratura Greca e in Filologia Classica / Storia del teatro greco e romano. Si occupa di teatro e drammaturgia del mondo antico, in particolare di ricezione della commedia antica e adattamento per la scena. Ha coordinato vari progetti dipartimentali e organizzato seminari e convegni internazionali; è membro fondatore del CRIMTA (Università di Pavia), di vari gruppi di ricerca internazionali, tra cui Imagines-Project (di cui è anche coordinatore e speaker dal 2016). Dal 2019 al 2022 ha partecipato al progetto Speciale di Ateneo “Milano e la Memoria. Distruzioni, ricostruzioni, recuperi” coordinato da Paolo Giovannetti e Simona Moretti. Fa parte della commissione Biblioteca IULM.
È nel comitato scientifico di riviste e collane internazionali tra cui Anabases (Francia), Rezeption der Antike (Germania) Il mito. Voci dal presente (ETS, Pisa); è Presidente di Giuria del Certamen “Lo specchio di Dioniso”. Come Dramaturg ha collaborato a numerosi spettacoli classici tra cui: Coefore e Eumenidi. Appunti per un’Orestiade italiana da Eschilo-Pasolini (regia di Elio De Capitani), Eros e Thanatos, Troiane da Euripide (regia di Serena Sinigaglia), Le donne di Trachis di Ezra Pound da Sofocle (regia di Roberto Valerio). Collabora da trent’anni con il teatro delle Albe – Ravenna Teatro, scrive regolarmente recensioni e articoli su quotidiani e riviste anche online, tra cui Stratagemmi Prospettive teatrali, Engramma, Alias, Hystrio (per cui ha curato anche due dossier con Maddalena Giovannelli, uno sul teatro comico 2015 e uno sul tragico, 2023).


Alcune tra le molte pubblicazioni di Martina Treu

La mitologia. Domande e risposte, 2008


Cosmopolitico.
Il teatro greco sulla scena italiana contemporanea
,
Arcipelago, 2009


Il teatro antico nel Novecento, Carocci 2009


Contemporaneo classico, Bibliografica, 2022


Sinossi e Indice del volume



La Premessa di Gherardo Ugolini al volume



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Gherardo Ugolini – Tra Edipo e Antigone. Il mito tebano sulla scena attica e moderna. ISBN978-88-7588-389-8, pagine 664, 2024.

Gherardo Ugolini,
Tra Edipo e Antigone. Il mito tebano sulla scena attica e moderna.
ISBN 978-88-7588-389-8, 2024, pp. 664, Euro 40 .
Collana di teatro  “Antigone” [13].
In copertina: Edipo cieco seduto su un altare con accanto le figlie Antigone e Ismene. Dettaglio della pittura vascolare su cratere a calice apulo a figure rosse (ca. 340 a.C.).

Sinossi

Edipo, Antigone e Tiresia, ma anche Giocasta, Laio, Creonte, Ismene, Polinice, Eteocle, Emone, Dioniso, Penteo, Agave, Cadmo: i personaggi del ciclo mitico legato alla città di Tebe e alla dinastia dei Labdacidi svolgono un ruolo centrale nella produzione artistica antica e moderna. La loro apparizione nella letteratura greca è attestata fin dai primordi nell’epica omerica e i perduti poemi Edipodia e Tebaide raccontavano in modo sistematico le gesta di Edipo e dei suoi figli maschi Eteocle e Polinice. La materia tebana è stata oggetto anche della poesia lirica, ma fu il teatro tragico ateniese del V secolo a.C. il genere artistico nel quale i miti tebani trovarono una rielaborazione particolarmente efficace in forme che divennero presto modelli canonici di riferimento per la ricezione antica e moderna. Il volume raccoglie vari contributi di Gherardo Ugolini, pubblicati nell’arco di quattro decenni, che spaziano dall’interpretazione dei drammi antichi all’analisi di casi significativi della ricezione moderna (Alfieri, Nietzsche, Hofmannsthal) e delle messinscene contemporanee.


Introduzione

 

Edipo, Antigone, Tiresia, ma anche Giocasta, Laio, Creonte, Ismene, Polinice, Eteocle, Emone, Dioniso, Penteo, Agave, Cadmo: i personaggi del ciclo mitico legato alla città di Tebe e alla dinastia dei Labdacidi sono numerosi e affascinanti. Alcuni di essi hanno un ruolo centrale nella produzione artistica antica e moderna, altri svolgono una funzione piuttosto secondaria, ma non per questo meno significativa. La loro apparizione nella letteratura greca è attestata fin dai primordi. Nell’Odissea viene tratteggiato, in forma sintetica e al contempo alquanto efficace, lo svolgimento di un episodio centrale del mito, il suicidio di Giocasta (lì denominata con la forma alternativa di Epicasta) dopo la scoperta dell’incesto col figlio Edipo il quale, per altro, continua a regnare sulla città di Tebe.1 E vi compare anche l’indovino Tiresia che nell’Oltretomba ha la prerogativa di conservare l’intelletto; egli non solo impartisce a Odisseo le opportune istruzioni per entrare in contatto con le anime dei defunti, ma formula anche una profezia ambigua ed enigmatica sul ritorno a Itaca dell’eroe acheo e sulle modalità della sua morte.2 In un breve passo dell’Iliade si accenna ai giochi funebri organizzati a Tebe in onore di Edipo, ai quali presero parte numerosi eroi della Grecia,3 mentre Esiodo rievoca la comparsa della Sfinge che teneva in scacco la città cadmea.4 L’elaborazione epica conosce anche la saga di Dioniso, per lo meno l’episodio della vendetta del dio ai danni del re Licurgo.5

Sono andati perduti, salvo pochissimi frammenti, i poemi epici che trattavano le vicende del ciclo tebano: nell’Edipodia e nella Tebaide dovevano trovare una sistematizzazione articolata le gesta di Edipo e dei suoi figli maschi Eteocle e Polinice (che forse non erano frutto dell’incesto con Giocasta, ma di un precedente matrimonio) fino alla guerra fratricida. La materia tebana è stata oggetto anche della poesia lirica, come era naturale che fosse, oltre che delle rappresentazioni visuali nella pittura vascolare. Un componimento di Stesicoro, riscoperto alcuni decenni orsono, cui è stato dato il titolo di Tebaide, attesta un’interessante versione del mito nella quale la regina Giocasta, sconvolta dalle rivelazioni di Tiresia sul futuro dei figli, cerca di evitare il compiersi delle profezie suggerendo un accordo di suddivisione dell’eredità di Edipo.6 Pindaro, dal canto suo, fa riferimento alla “saggezza” (σοφία) di Edipo,7 e attesta l’avvenuta attrazione del mito nell’orbita dell’ideologia delfica nel momento in cui presenta il parricidio come avveramento di un antico oracolo di Delfi.8

Il teatro tragico ateniese del V secolo a.C. non solo eredita dalla precedente tradizione poetica temi e motivi del ciclo tebano, ma si afferma come il contesto ideale nel quale i miti di quell’ambito possono essere rielaborati e offerti al pubblico. La presenza del mondo tebano sulla scena teatrale attica è impressionante per quantità e qualità. Tra i drammi che la tradizione ci ha conservato basta citare Edipo re, Antigone e Edipo a Colono di Sofocle, Sette contro Tebe di Eschilo, Fenicie e Baccanti di Euripide. Ma accanto a questi titoli, tra i più celebrati della tradizione e tra i più accolti nel repertorio delle messinscene antiche e moderne, vi sono parecchie altre tragedie che sono andate totalmente perdute salvo il titolo e qualche frammento. Eschilo compose un Laio, un Edipo e un dramma satiresco Sfinge (che insieme ai Sette componevano una tetralogia unitaria andata in scena alla Grandi Dionisie del 467 a.C.). Euripide compose un proprio Edipo, come anche una propria Antigone, seguendo strutture drammaturgiche molto differenti da quelle dei suoi predecessori. Ma anche vari altri poeti tragici si cimentarono con il tema edipico: tra il V e il IV secolo a.C. sono attestati drammi intitolati Edipo o Edipodia di Acheo, Nicomaco, Senocle, Filocle I, Melezio, Teodette, Carcino e Diogene di Sinope. Discorso analogo, anche se con dimensioni meno clamorose, si può fare per le rappresentazioni drammatiche di Antigone (la già ricordata Antigone di Euripide, ma anche quella di Astidamante) o di Dioniso (due tetralogie di Eschilo erano dedicate al dio Dioniso e al suo scontro con Penteo a Tebe e con Licurgo in Tracia).

Non è questa la sede per discutere le ragioni che determinarono tanta fortuna della saga tebana. Sono sufficienti due considerazioni di fondo. La prima riguarda la profonda rielaborazione che le vicende e i personaggi del ciclo tebano ricevettero nel loro trattamento drammaturgico sulla scena del teatro di Dioniso ad Atene: Edipo diventa il campione del conoscere e del ricercare la verità a qualunque costo, Antigone la ragazza che senza esitazione reclama il dovere di seppellire il corpo del fratello morto Polinice, indipendentemente dall’accusa di essere stato un traditore della patria, Tiresia il mantis vecchio e cieco che si esprime ambiguamente e si scontra costantemente con il reggitore della città mettendone in crisi le certezze. Soprattutto l’ambientazione tebana funge da universo distopico rispetto al cosmo ateniese. Nella Tebe del mito succede tutto quello che non deve accadere nell’Atene del V secolo a.C.: tirannide, violenza, sopraffazione, inganno, incesto. Quello di Tebe è un mondo sottosopra nel quale lo spettatore è condotto dal tragediografo-regista a identificare un sistema di valori totalmente negativo, un modello di città da respingere in toto.9 Da questo punto di vista i drammi di argomento tebano svolgono un ruolo politico fondamentale in quanto perseguono l’effetto di compattare il copro civico ateniese confermando la bontà del proprio assetto politico.

La seconda considerazione è la seguente: è attraverso la forma drammaturgica assunta ad Atene nel V secolo a.C. che le figure del ciclo tebano sopravvivono nei secoli seguenti. Da allora in poi, fino ad oggi e sicuramente anche nei prossimi secoli, il “nostro” Edipo è quello fissato da Sofocle nei suoi due drammi dedicati a quel personaggio. Tutti gli Edipo moderni – da Dell’Anguillara a Tesauro, da Corneille a Voltaire, da Dryden-Lee a Hofmannsthal, da Cocteau a Gide, da Dürrenmatt a Pasolini – si misurano sul modello dell’Edipo re sofocleo che, pur sconfitto nell’agone delle Grandi Dionisie dal semisconosciuto Filocle I,10 s’impose presto, almeno a partire dalla Poetica di Aristotele, quale tragedia esemplare sotto molteplici punti di vista. La stessa rielaborazione freudiana della figura di Edipo, tanto potente da affermarsi sia nella pratica ermeneutica sia nelle rielaborazioni artistiche, muo­ve dai versi sofoclei, puntualmente citati nell’Interpretazione dei sogni.11 La forza normativa e stabilizzante con cui i tragediografi attici hanno riscritto il mito, vale anche e soprattutto per il caso di Antigone, figura letteraria pressoché inesistente nella tradizione greca precedente al dramma sofocleo del 442 a.C.12 Sofocle ne fa la protagonista del dramma, una donna ribelle che sfida il potere costituito di Creonte e le sue leggi in nome di norme sacre in materia funeraria alla cui obbedienza non può sottrarsi. E così è stata recepita nel corso dei secoli nelle innumerevoli rappresentazioni e rielaborazioni, pur con tutte le attualizzazioni e le mutazioni di significato che registi e artisti moderni hanno voluto realizzare. In tutti i casi – da Garnier a Trapolini, da Watson a Rotrou, da Racine ad Alfieri, da Hölderlin a Hasenclever, da Brecht a Grete Weil – chi ha riscritto la vicenda di Antigone ha dovuto fare i conti col dramma di Sofocle, anche laddove l’esito è un sovvertimento radicale di quel testo.

Nella mia attività di studioso mi sono dedicato intensamente alle saghe mitiche del ciclo tebano, ai personaggi che le costellano, ai nodi ermeneutici che la tradizione dei testi, specialmente quelli tragici, ci ha consegnato fin ad oggi e sui ci si arrovella da sempre: qual è la vera ‘colpa’ di Edipo? Quale il modello di conoscenza che lo contraddistingue? Fino a che punto Antigone ha ragione a ribellarsi contro le leggi della città? Perché i tragediografi modificano sensibilmente la figura di Tiresia facendone un indovino-sacerdote legato al culto di Apollo e alla religione delfica? Quali sono le qualità etico-psicologiche di Giocasta? Con tali cruciali questioni, e anche con molte altre, mi sono misurato nel corso dei decenni, senza mai avere la pretesa di giungere a risposte definitive, ma accontentandomi di inquadrare e possibilmente fare luce su alcuni aspetti particolari di un insieme che è destinato a rimanere problematico. A questi argomenti ho dedicato nel corso del tempo articoli, conferenze, interventi a convegni, libri e corsi universitari: tanti materiali sparsi che mi fa piacere poter presentare in questa raccolta. La strutturazione è molto semplice e intuitiva: la sezione “Antico” raccoglie studi specificamente dedicati all’interpretazione dei drammi ateniesi del V secolo a.C.; quella “Moderno” prende in considerazione lavori che spaziano dal Rinascimento al Novecento ed esaminano casi di ricezione in autori moderni (per esempio l’interpretazione di Nietzsche del mito di Edipo, l’Antigone di Vittorio Alfieri, il Vorspiel zur Antigone des Sophokles di Hugo von Hofmannsthal); la terza e ultima sezione, denominata “Contemporaneo”, riunisce varie recensioni di spettacoli teatrali andati in scena al Teatro Greco di Siracusa e altrove tra il 2017 e il 2023.

Guardando all’indietro nel tempo posso dire che l’interesse per la tragedia Edipo re e per le figure del ciclo tebano è sbocciato nell’ultimo anno di liceo, all’Arnaldo di Brescia, grazie soprattutto alla fortuna di avere avuto una formidabile insegnante, Rosanna Bertoli, una di quelle docenti capaci di coniugare grande dottrina con una instancabile attitudine formativa; la mia riconoscenza per quanto ho imparato da lei è enorme. È accaduto poi nell’ambiente dell’ateneo pavese, sotto la guida di un maestro esemplare quale è stato per me Diego Lanza, che gli interessi di ricerca sulla tragedia greca d’ambientazione tebana hanno assunto una direzione scientifica attraverso la tesi di laurea (sull’Edipo re) e le prime pubblicazioni accademiche. Da Hellmut Flashar, mio Doktorvater del dottorato tedesco alla Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera, ho imparato, tra le tante cose, ad apprezzare e valutare con l’occhio vigile del filologo classico le messinscene contemporanee. «Sofocle era prima di tutto un uomo di teatro e non si possono capire i suoi drammi se non li si vedono rappresentati sul palcoscenico», era solito affermare Flashar spronando gli allievi a frequentare il più possibile le sale teatrali per impratichirsi dei meccanismi della comunicazione drammaturgica che la semplice lettura del testo non fa trasparire. Un insegnamento che ho fatto mio e che cerco di trasmettere a mia volta ai miei allievi. Luciano Canfora è stato tutor del mio dottorato presso la Scuola Superiore di Studi Storici di San Marino, oltre che un punto di riferimento constante per la mia formazione scientifica e culturale. Da lui ho imparato a leggere i testi teatrali indagando tra le righe i risvolti politici e ideologici che vi sono sottesi, senza schematismi, ma nell’ottica di inquadrare storicamente ogni testo nel preciso momento in cui fu prodotto e rappresentato. A tutti i maestri che ho elencato va la mia massima gratitudine. Resta l’ovvia considerazione che eventuali errori nei saggi qui presentati, rivisti e corretti rispetto alla pubblicazione originaria, ricadono sotto la mia responsabilità.

Devo all’incitamento entusiasta di Carmine Fiorillo, direttore editoriale della casa editrice «petite plaisance», l’idea di raccogliere in un volume i frutti di decenni di studio, sparsi su riviste e miscellanee non sempre facilmente accessibili. Sulle prime tale proposta mi aveva sorpreso e lasciato perplesso. Pubblicare le proprie Kleine Schriften è un’incombenza che si addice solitamente a chi ha concluso o è in procinto di concludere la carriera, traguardo che al momento sento ancora molto lontano nel tempo. Poi le discussioni con amici, colleghi e allievi mi hanno fatto ricredere e ho deciso di aderire al progetto. In fondo questo volume può essere visto, anzi dal mio punto di vista deve essere visto, come tappa intermedia di un percorso che si spera possa essere ancora lungo e fecondo.

Dedico il volume alla memoria di Marinella, Bruno, Rosa e Nicoletta che mi hanno sempre accompagnato con affetto incondizionato e continuano a farlo.

Gherardo Ugolini

 

 

1 Omero, Odissea, XI, vv. 271-280.

2 Si tratta dell’episodio della Nekyia, in Omero, Odissea, XI, vv. 23 ss.

3 Omero, Iliade, XXIII, vv. 677-680. Cfr. anche Esiodo, Catalogo delle donne, fr. 192 Merkelbach-West.

4 Esiodo, Teogonia, vv. 326-330.

5 Omero, Iliade, VI, vv. 128-143.

6 È il cosiddetto Papiro di Lille: cfr. Stesicoro, fr. 97 Davies-Finglass = PMGF 222(b).

7 Pindaro, Pitiche, IV, v. 263.

8 Pindaro, Olimpiche, II, vv. 35-42.

9 Su questo rimane fondamentale lo studio di F. Zeitlin, Thebes: Theater of Self and Society in Athenian Drama, in Nothing to Do with Dionysos? Athenian Drama in its Social Context, ed. by J.J. Winkler and F.I. Zeitlin, Princeton University Press, Princeton 1990, pp. 130-167.

10 Cfr. Hypothesis II all’Edipo re di Sofocle = TrGF 4 T 39 = Dicearco, fr. 80 Wehrli.

11 S. Freud, Die Traumdeutung, Deuticke, Leipzig-Wien 1900, pp. 180-183.

12 Da quanto risulta, Antigone prima di Sofocle non è mai nominata nell’epica e nella lirica. Compare nel finale dei Sette contro Tebe di Eschilo (467 a.C.), ma si tratta certamente di una parte del dramma interpolata sulla base dell’Antigone sofoclea. Curiosamente, invece, è Ismene a comparire, per esempio in un frammento di Mimnermo (fr. 19 Gentili-Prato), citata come amante dell’eroe tebano Teoclimeno, uccisa insieme con il marito da Tideo durante la guerra tra argivi e tebani. Inoltre, in un ditirambo di Ione di Chio (datato verosimilmente dopo il 443 a.C.) le due sorelle finivano bruciate nell’incendio del tempio di Era provocato da Laodamante, figlio di Eteocle. Si può ipotizzare che si trattava di una punizione per avere infranto la legge della città dando sepoltura a Polinice. In tal caso Ione avrebbe ripreso Sofocle, ma facendo di Ismene una complice attiva della sorella, punita con lei (cfr. l’Hypothesis all’Antigone del grammatico Salustio).


Indice

Premessa

 

Tra Edipo e Antigone

Antico

 

L’Edipo tragico sofocleo e il problema del conoscere

L’ethos di Giocasta tra Stesicoro e i tragici

Tiresia e i sovrani di Tebe: il topos del litigio

L’immagine di Atene e Tebe nell’Edipo a Colono di Sofocle

Quello che Edipo sapeva.

Note al commento «anamorfico» all’Edipo re di Franco Maiullari

Il tema delle leggi non scritte nella drammaturgia sofoclea

Le sette metamorfosi di Tiresia secondo il poeta ellenistico Sostrato

Φόβος φυτεύει τύραννον: The Tyrant’s Fears on the Attic Tragic Stage

A Wise and Irascible Hero: Oedipus from Thebes to Colonus

Un’altra Antigone e un altro Edipo sono possibili?

Alla ricerca delle tragedie perdute

 

 

 

Tra Edipo e Antigone

Moderno

 

Edipo e la Poetica di Aristotele in alcuni trattati del Cinquecento

Recensione di R.W. Bushnell, Prophesying Tragedy. Sign and Voice in Sophocles’ Theban Plays

Nietzsche, il mito di Edipo e la polemica con Wilamowitz

Il tiranno di Alfieri e i modelli greci: osservazioni sull’Antigone

Le metamorfosi di Tiresia tra cultura classica e moderna

Un re smarrito nel labirinto del proprio palazzo.

Sulla figura di Penteo nelle Baccanti di Hofmannsthal

Il Genio della tragedia. Antigone nel Vorspiel di Hofmannsthal

Hugo von Hofmannsthal, Prologo all’Antigone di Sofocle

‘Una parabola meravigliosa’: Peter Stein traduttore e regista dell’Edipo a Colono

Edipo e la peste – Edipo è la peste

Antigone e la questione giuridica

 

 

 

Tra Edipo e Antigone

Contemporaneo

 

The Seven at War from Thebes to Aleppo.

On Two Performances at the Greek Theatre of Siracusa

When Heroism is Female. Heracles at Syracuse

La resistenza di Antigone, migrante algerina in Canada.

Note sul film Antigone di Sophie Deraspe

“Man is a terrifying miracle”: Sophocles’ Antigone Staged by Massimiliano Civica.

An Interview with the Director

La notte di Antigone

 Edipo Re in virtual reality

Volano le Baccanti sul teatro greco di Siracusa

Edipo sopra Berlino.

 ödipus di Thomas Ostermeier alla Schaubühne

Quando Creonte è donna.

 Antigone di G. Cordova al Teatro Olimpico di Vicenza

L’indovino che cambiò sesso. Tiresias di Kae Tempest

Un Edipo fuori dal tempo.

 Oedipus di Ulrich Rasche al Deutsches Theater di Berlino

Tebe come Kiev? Le Baccanti di Laura Sicignano

 Edipo re. Una favola nera

Edipo sulle scale di Siracusa

Edipo nella Londra di Margaret Thatcher. Alla greca da Steven Berkoff a Elio De Capitani

Edipo, dal Citerone a Potsdamer Platz.

Una nuova rielaborazione cinematografica del mito nel film Music di Angela Schanelec

Nel fango di Berlino la ribellione di Antigone

 Antigone, cerimonia con canzoni.

La tragedia di Sofocle secondo il Teatro dei Borgia

 Antigone dei barconi

Adesso parla Ismene. Nota su Ismene, Schwester von in scena al Deutsches Theater di Berlino

 

 

Indice dei nomi



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Fernanda Mazzoli – J.-P. Sartre e la tragedia di Oreste nel Novecento. Una prima proposta di approfondimento rivolta a quanti – muovendo dalla lettura di «Les mouches» – siano interessati a sviluppare un dialogo per aprire un varco nell’odierna soffocante cappa culturale-politica che asfissia intelligenze e coscienze.





M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Diego Lanza – «Scritti sulla tragedia antica e le teorie del tragico». Prefazione di Gherardo Ugolini

Diego Lanza, Dramata II. Scritti sulla tragedia antica e le teorie del tragico. Prefazione di Gherardo Ugolini.

ISBN 978-88-7588-414-7, 2023, pp. 448, formato 140×210 mm., Euro 35 – Collana “il giogo” [181].

In copertina: Dioniso con i satiri. Pittura vascolare su coppa attica a figure rosse. Attribuita al Pittore di Brygos. Circa 480 a.C. Parigi, Museo del Louvre. Fonte: Wikipedia.

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Introduzione du Gherardo Ugolini

Gherardo Ugolini

 

Diego Lanza su tragediae “tragico”

 

 

Il tragico sopravvive alla tragedia. Finita questa anche nelle sue forme più consone ai nuovi tempi, non cessa la riflessione su quella che è ormai considerata questione di natura eminentemente teorica. Il tragico s’impone così come categoria forte, anche se e forse proprio perché il suo statuto disciplinare rimane incerto: filosofico, letterario, psicologico?

Questa riflessione, contenuta nel saggio La tragedia e il tragico (1996),1 fornisce non solo un’efficace chiave di lettura, ma indica anche un filo rosso che accompagna i saggi di Diego Lanza raccolti nel presente volume. Sotto il titolo di Dramata II – Scritti sulla tragedia antica e le teorie del tragico sono compresi diciassette interventi che il grecista dell’ateneo pavese ha pubblicato tra il 1976 e il 2007 su argomenti che spaziano dalle regole della prassi drammaturgica nell’Atene del V secolo a.C. ai grandi modelli ermeneutici che hanno ripensato il “tragico” nella modernità sia nel campo degli studi filologico-antichistici (Wilamowitz, Jaeger, Pohlenz, Schadewaldt, Reinhardt, von Fritz), sia in quello prettamente artistico-drammaturgico (Hölderlin, Schiller, Goethe), sia anche in quello teorico-filosofico (Hegel, Schopenhauer, Nietzsche, Heidegger, Lukàcs, Benjamin, Jaspers).

Il concetto di ‘tragico’ è trattato in particolare nell’ampio studio pubblicato sulla rivista «Belfagor» nel 1976 Alla ricerca del tragico2 e successivamente approfondito in altre due occasioni, nell’intervento La «tragedia» e il «tragico», tenuto nell’ambito di un convegno a Locarno nel 1991 e quindi pubblicato nei «Quaderni di storia,3 e nel saggio La tragedia e il tragico (1996).4

È soprattutto con Hegel, alla fine del XVIII secolo, che la nozione di tragedia si separa dal significato formale che aveva sempre avuto e che rimandava ai testi del teatro attico del V secolo a.C., per divenire una categoria estetica e filosofica, e non più soltanto poetica. La scoperta del ‘tragico’ (nozione di per sé assente nel lessico intellettuale dei Greci antichi) è dunque un’invenzione moderna ed è declinato nelle più varie forme e modelli teorico-esistenziali, fino a denotare un numero sempre maggiore di circostanze che si verificano nella vita quotidiana.

Lanza si chiede e indaga su cosa significhi oggigiorno qualificare come ‘tragedia’ un incidente ferroviario, l’omicidio di un politico eccellente o l’Olocausto. Non siamo di fronte a un semplice degrado semantico del termine, ad una sua totale banalizzazione, bensì si tratta del «supremo logoramento di un paradigma esplicativo».5 Il collegamento con la Shoah, la tragedia per antonomasia del XX secolo, non è casuale. Sulla scorta delle osservazioni di Pierre Vidal Naquet, Lanza s’interroga sulla possibile relazione tra la tragedia greca del V secolo e l’orrore di Auschwitz e conclude che la narrazione in chiave di tragedia dello sterminio, come di altre atrocità storiche, rappresenta una modalità efficace di razionalizzazione e di consolazione, per dare senso a ciò che non può essere concepito e neppure detto:

 

Pensare tragicamente la storia, cioè applicare la categoria, risemantizzare la categoria del tragico parlando di nimenti storici, significa stabilire un rapporto di interconnessione necessaria del prima con il poi e soprattutto del poi con il prima, quasi che ciò che avviene prima sia in funzione di quello che avviene poi, esattamente come nella vicenda tragica.

 

Oltre al continuo rimodularsi dei concetti di tragedia e di tragico nel corso dei secoli ci sono altri nuclei tematici che caratte­rizzano gli studi di Lanza compresi nel presente volume. Uno di questi riguarda la dimensione emozionale del teatro tragico antico ed il suo funzionamento.

Nel saggio Les temps de l’émotion tragique. Malaise et soulagement (1988)6 e in quello successivo I tempi dell’emozione tragica (1995),7 che lo riprendeva e sviluppava, così come anche nella voce Pathos (1977)8 e nell’articolo De l’émotion tragique, aujourd’hui (1999),9 l’analisi s’incentra sui meccanismi drammaturgici mediante i quali i tragediografi rielaboravano le saghe della tradizione mitica al fine di suscitare negli spettatori – attraverso la vista, la parola, la musica e il canto – un forte turbamento emotivo. Gli ingredienti sono quelli consolidati: la morte, la trasgressione, la violenza (reale o soltanto minacciata, ovvero evocata come imminente), la malattia e la follia. Nel momento in cui l’eroe protagonista del dramma realizza l’orrore che lo spettatore già conosceva e temeva, si produce una rottura dell’equilibrio e dell’armonia.

Ma lo sconcerto angoscioso provocato dalla rottura dell’ordine sociale e morale è destinato nel corso dell’azione scenica ad essere in qualche modo riassorbito. In quello che Lanza chiama “ritmo tragico” o anche “curva delle emozioni” subentra nel finale una sorta di ricomposizione. Non si tratta mai di happy end, beninteso, ma di uno sviluppo funzionale che s’indirizza verso momenti di decantazione dell’eccitazione e di sollievo ottenuto per lo più attraverso la mimesi di pratiche rituali ben conosciute al pubblico, per esempio i compianti funebri. L’emozione collettiva, suscitata dagli eventi della messinscena, viene in tal modo riassorbita e disciplinata, convogliata dentro prassi di conforto abituali e consolidate che restituiscono la norma e l’equilibrio.

Non è difficile scorgere dietro questo modello esplicativo, tante volte proposto e approfondito da Lanza e presentato nella forma più compiuta nel volume La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca,10 l’ombra della Poetica di Aristotele e di quella misteriosa nozione di “catarsi” che rimane per gli studiosi un enigma da decifrare, ma che verosimilmente alludeva proprio ad una fase della tragedia successiva a quella dello scatenamento delle emozioni e che prevedeva un disinnesco dei loro effetti. Se ciò avvenisse effettivamente nelle tragedie del V secolo, se riguardasse piuttosto una prassi del secolo successivo, oppure se si tratti di un requisito normativo formulato dallo Stagirita a titolo meramente teorico, è questione su cui la discussione rimane aperta e probabilmente è destinata a rimanerlo per sempre.

Alcuni dei saggi riproposti hanno un taglio prettamente divulgativo, determinato dall’occasione o dalla collocazione editoriale. Mi riferisco, in particolare, a Le regole del giuoco scenico nell’Atene antica. Prime annotazioni (1985) e La poesia drammatica: i caratteri generali, il dramma satiresco, scritti il primo per un convegno di aggiornamento di docenti della scuola media superiore e il secondo come capitolo de Lo spazio letterario della Grecia antica (1992).11 Nello stesso raggruppamento rientrano le due voci Lo spettacolo e L’attore, pubblicate nel I volume dell’Introduzione alle culture antiche (1983).12 Anche in questo caso gran parte del materiale e delle considerazioni è confluito in maniera più organica nella successiva La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca,13 ma rileggendo quei contributi se ne possono apprezzare diversi pregi, a partire dall’attenzione costante che Lanza rivolgeva, parlando e scrivendo di teatro tragico, alla dimensione politica, filosofica e antropologica. Le sue analisi sull’evoluzione del teatro, sulla preistoria, protostoria e storia dei generi drammatici, sul ruolo della scrittura, sulla professione dell’attore nella Grecia classica e sulle forme specifiche della sua recitazione, hanno qualcosa di pioneristico e anticipano di parecchi anni l’affermarsi di approcci centrati sulle nozioni di ‘teatralità’ e ‘performance’.

Se la questione delle origini della tragedia si perde in una lontana ‘preistoria’, sì che risulta impossibile fare luce in modo chiaro e definitivo sul tema in base alle sporadiche e frammentarie testimonianze che possediamo, molto si può ricostruire a proposito della prassi teatrale del V secolo, di quelle “regole del gioco scenico” che investono il rapporto tra poeta e attore, quello tra scrittura e oralità, ma anche l’uso delle didascalie, il ruolo delle partiture musicali, gli oggetti di scena, le maschere, i costumi, i macchinari e la scenografia, la giuria e le modalità di finanziamento. Su tutti questi aspetti, che con una piccola forzatura potremmo definire di ‘cultura materiale’, Lanza ha indagato a fondo, ben consapevole del fatto che la loro conoscenza è una precondizione indispensabile per capire il senso della tragedia greca, cercando di superare i limiti posti dalla Poetica di Aristotele, unico trattato che si sia conservato sull’arte drammatica, ma datato al IV secolo e focalizzato su un approccio decisamente orientato sul versante testuale-letterario del teatro. Tra le tante osservazioni che si potrebbero esprimere a questo proposito, mi pare giusto indicare l’attenzione data alla figura dell’attore. Mentre l’attore comico è l’erede di una tradizione di spettacolo staccato da qualsiasi istituzione civile e non necessariamente legato a testi scritti, l’attore tragico nasce quando il poeta, al tempo stesso tragediografo e regista, decide di introdurre nella rappresentazione una seconda voce che risponda al coro. Lanza indaga in particolare lo statuto specifico dell’attore tragico evidenziando come ben presto egli emerga e si affermi sempre più quale figura di professionista a differenza del tragediografo e dei coreuti.

Gli studi di Lanza, segnati da un approccio mai assiomatico o dogmatico, ma sempre estremamente problematico, prestano costantemente attenzione alla cornice istituzionale e al contesto politico e sociale, il che non significa solo concepire il teatro ateniese come un fenomeno prettamente ‘politico’, saldamente ancorato nel cuore della città (con allusioni più o meno velate ai fatti politici della contemporaneità di allora), ma soprattutto, e più profondamente, mettere in rilievo le modalità di drammatizzazione del mito e l’interazione tra il materiale della tradizione e la sua intelligibilità da parte del pubblico. Fedele al principio per cui non c’è teatro senza pubblico, l’analisi s’interroga su come venivano percepiti gli spettacoli teatrali dagli spettatori dell’epoca per capire cosa rendeva uno spettacolo credibile, riconoscibile e persuasivo per quel pubblico in quel particolare momento.14 Per tale fine è importante conoscere il patrimonio di conoscenze e credenze condivise dal pubblico del quinto secolo, così come anche le pratiche rituali alle quali l’azione drammatica allude o che o mostra esplicitamente sulla scena. L’importanza riconosciuta al pubblico e alla sua ricezione della performance tragica, s’inserisce per altro in un discorso ancora più ampio che punta a ricostruire i codici di ascolto e gli orizzonti d’attesa, tanti differenti rispetto a quelli dell’epoca moderna e attuale.

Tutti i saggi della presente miscellanea si misurano con temi del teatro tragico attico, campo prediletto di ricerca, ma ce n’è uno che si stacca da quell’orizzonte storico e sul quale vale la pena di richiamare l’attenzione. Si intitola Lo spettacolo della parola: riflessioni sulla testualità drammatica di Seneca ed è la versione scritta di un intervento che Lanza pronunciò nel corso di un congresso dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico a Siracusa su Seneca e il teatro.15 Oltre a testimoniare la capacità da parte di Lanza di addentrarsi in un territorio non di sua diretta competenza, il saggio è importante giacché affronta le peculiari caratteristiche di una dimensione tragica in un contesto completamente differente rispetto a quello ateniese di V secolo.

Attraverso numerosi esempi tratti soprattutto dal Thyestes, dall’Oedipus e dalla Phaedra, si evidenzia come la spettacolarità di quelle opere, in assenza di una vera e propria rappresentazione davanti a un pubblico, del tipo di quella che aveva luogo nel teatro di Dioniso ad Atene, è interamente costruita sulla testualità e sul linguaggio. In mancanza di una scenografia, è la parola che si fa spettacolo: dai dialoghi, dai lunghi resoconti, dai canti corali e dalla presenza insistita di sentenze moraleggianti si generano immagini ‘spettacolari’, capaci di condensare il significato di intere scene e personaggi nei loro caratteri essenziali. Più che misurare il rapporto di vicinanza e distanza rispetto agli origi­nali greci, Lanza si concentra sugli aspetti compositivi, verbali e retorici, con i quali il teatro di Seneca riesce a rappresentare concretamente e suggestivamente i momenti topici più significativi della tradizione drammaturgica – in particolare la morte declinata nelle forme più varie e orribili – con un parossistico accumulo di elementi che ne definiscono la tensione drammatica e senza quel riequilibrio conclusivo che nei finali delle tragedie greche segnava un inversione della curva emotiva. Il teatro senechiano è letto in questa prospettiva come un modello che propone via via nel corso dell’azione un massimo di tensione conflittuale senza prevedere alcun meccanismo di compensazione: un modello che ha avuto, per altro, grande fortuna ispirando il teatro elisabettiano e non solo.

La raccolta dei saggi confluiti in questo volume consente al lettore di ritrovare, in una veste tipografica chiara e ordinata, testi che sono stati pubblicati su riviste e miscellanee non facilmente accessibili e di ripercorrere i sentieri delle ricerche compiute da Diego Lanza nei decenni della sua maturità di studioso. Corre l’obbligo di ringraziare i direttori delle riviste e i curatori dei volumi che si sono resi disponibili per la ristampa dei saggi, oltre ai famigliari e a Carmine Fiorillo della casa editrice «petite plaisance» per l’instancabile impegno nell’onorare la memoria di Lanza ristampandone gli scritti. Rimangono esclusi dalla presente miscellanea i saggi dedicati a Euripide, ristampati in Dramata I. Scritti sulla drammaturgia euripidea (petite plaisance, Pistoia 2023), e altri studi su temi tragici che Lanza aveva a suo tempo inserito come appendici nel volume Il tiranno e il suo pubblico (Einaudi, Torino 1977; rist. petite plaisance, Pistoia 2020) e in La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca (il Saggiatore, Milano 1997; rist. petite plaisance, Pistoia 2019).16 Nel volume Dramata IV, di prossima pubblicazione, saranno presentati i saggi ‘minori’ concernenti la Poetica di Aristotele.

 

 

 

 

1 Pubblicato in I Greci, a cura di S. Settis, vol. I Noi e i Greci, Einaudi, Torino 1996, pp. 469-504, cfr. infra, pp. 267-318. Citazione a p. 291.

2 Alla ricerca del tragico, in «Belfagor», 31, 1976, pp. 33-64, cfr. infra, pp. 17-59.

3 La «tragedia» e il «tragico», in «Quaderni di storia», 37, gennaio/giugno 1993, pp. 65-73, cfr. infra, pp. 173-183.

4 La tragedia e il tragico, in I Greci, a cura di S. Settis, vol. I Noi e i Greci, cit., pp. 469-504, cfr. infra, pp. 267-318.

5 La tragedia e il tragico, cfr. infra, p. 318.

6 Les temps de l’émotion tragique. Malaise et soulagement, in «Mètis. Anthropologie des mondes grecs anciens», 3, n. 1-2, 1988, pp. 15-39, cfr. infra, pp. 139-172.

7 I tempi dell’emozione tragica, in «Elenchos», 16, 1995, pp. 5-22, cfr. infra, pp. 225-243.

8 Pathos, in I Greci, a cura di S. Settis, vol. 2 Una storia greca, II Definizione, Einaudi, Torino 1997, pp. 1147-1155, cfr. infra, pp. 319-332.

9 De l’émotion tragique, aujourd’hui, in «Europe», janvier-février 1999, pp. 70-81, cfr. infra, p. 333-348.

10 il Saggiatore, Milano 1997; rist. Petite Plaisance, Pistoia 2019. Cfr. soprattutto pp. 187-219.

11 Le regole del giuoco scenico nell’Atene antica. Prime annotazioni, (1985) in Mondo classico: percorsi possibili, a cura del CIDI Roma e del CRS, Longo, Ravenna 1985, pp. 109-117, cfr. infra, pp. 109-121; La poesia drammatica: i caratteri generali, il dramma satiresco, in Lo spazio letterario della Grecia antica, a cura di G. Cambiano, L. Canfora, D. Lanza, vol. I La produzione e la circolazione del testo, t.1 La polis, Salerno, Roma 1992, pp. 279-300, cfr. infra, pp. 199-224.

12 Lo spettacolo, in Introduzione alle culture antiche, a cura di M. Vegetti, vol. I (Oralità scrittura spettacolo), Torino Boringhieri 1983, pp. 107-126, cfr. infra, pp. 61-88; L’attore, in Introduzione alle culture antiche, a cura di M. Vegetti, vol. I (Oralità scrittura spettacolo), cit., pp. 127-139, cfr. infra, pp. 89-108.

13 Op. cit., pp. 23-96.

14 Su questo aspetto cfr. anche il saggio uscito in lingua tedesca Glaubwürdigkeit auf der Bühne als gesellschaftliches Problem, in «Philologus», 135, 1991, pp. 97-104, cfr. infra, pp. 185-197.

15 Pubblicato in «Dioniso», 52, 1981, pp. 463-476, cfr. infra, pp. 387-403.

16 Per completezza li elenchiamo qui di seguito: Clitemestra, i cori dell’Elettra e la gnome (in Il tiranno e il suo pubblico, pp. 331-335), Tiresia sulla scena: l’indovino e il sacerdote (in Il tiranno e il suo pubblico, pp. 337-341); La paura di Edipo (in La disciplina dell’emozione, pp. 243-257), Edipo rivisitato da Sofocle (in La disciplina dell’emozione, pp. 259-279), Una ragazza, offerta in sacrificio … (in La disciplina dell’emozione, pp. 281-301 e in Dramata, I. Scritti sulla drammaturgia euripidea, Petite Plaisance, Pistoia 2023, pp. 133-152), La donna nella tragedia greca (in La disciplina dell’emozione, pp. 303-319), Ridondanze del mito nella tragedia greca (in La disciplina dell’emozione, pp. 321-332), Finis tragoediae (in La disciplina dell’emozione, pp. 351-361).



Alcune pubblicazioni di Diego Lanza


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

Menandro – «Com’è piacevole l’uomo, quando è uomo». Cecilio Stazio dirà che «l’uomo per l’uomo è un dio, se conosce il suo dovere». E Plinio il Vecchio aggiunge: «Essere dio, per un mortale, significa aiutare un altro mortale». Udiamo qui l’eco della filosofia di Aristotele e della sua etica.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Diego Lanza – Dramata 1. Scritti sulla drammaturgia euripidea. Prefazione di Gherardo Ugolini.

Diego Lanza

Diego Lanza (1937-2018), grecista e accademico dei Lincei, è stato titolare della cattedra di Letteratura greca all’Università di Pavia a partire dal 1968. Studioso di rara sensibilità, nel corso della sua prolifica carriera ha curato edizioni con commento di Anassagora e Aristotele e ha contribuito a opere collettive come Lo spazio letterario della Grecia antica (Salerno Editrice, 1992-1996) e I Greci. Storia, cultura, arte, società (Einaudi, 1996-2002). È autore di opere e saggi di grande respiro storico-letterario. Nel 2013 esce Interrogare il passato. Lo studio dell’antico tra Ottocento e Novecento (Carocci), e nel 2017 Tempo senza tempo. La riflessione sul mito dal Settecento ad oggi (Carocci). Nel 2018 Bompiani ha pubblicato la nuova edizione delle Opere biologiche di Aristotele a cura di D. Lanza e M. Vegetti, con il titolo Aristotele, La vita. Testo greco a fronte. Nel 2019 vedono nuova luce La disciplina dell’emozione e Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune (Petite Plaisance), nel 2020 Il tiranno e il suo pubblico (Petite Plaisance), nel 2022 Nous e thanatos. Scritti su Anassagora e sulla filosofia antica (Petite Plaisance) e, postumo, sua unica prova narrativa, esce Il gatto di piazza Wagner (L’Orma, 2019).

Diego Lanza (1937-2018) – Di mio padre ricordo l’orgoglio tenace, la fedeltà alle proprie decisioni, l’energia necessaria a una silenziosa coerenza, il disprezzo per il mormorio del senso comune. Mi ha insegnato ad essere come chi amiamo si aspetta che noi siamo, perché non pesare su chi ci ama con le nostre sofferenze è amorosa accortezza.
Diego Lanza (1937-2018) – La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca. Prefazione di Anna Beltrametti
Diego Lanza (1937-2018) – Appassionato filologo e grecista, innovativo nella lettura interdisciplinare dei testi, sempre in tensione etica, morale, filosofica, che ci consegna quale suggello, testimonianza vivificante e forte dono.
Diego Lanza (1937-2018) – «Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune». Prefazione di M. Stella. Postfazione di G. Ugolini.
Diego Lanza (1937-2018) – Euripide porta sulla scena lo spettatore, l’uomo della vita di ogni giorno.
Diego Lanza, Gherardo Ugolini – «Storia della filologia classica». Si è cercato di illustrare tutta la problematicità della filologia, mostrando al contempo quanto lo studio dell’antico abbia sempre interferito con i dibattiti che hanno via via segnato lo svolgersi della cultura europea negli ultimi due secoli.
Diego Lanza (1937-2018) – Il libro di A. Meillet ci offre un’immagine della lingua greca oltremodo ricca, nel costante riferimento a precise condizioni storiche. Il rapporto tra lingua e società si definisce con chiarezza come rapporto tra lingua e civiltà, cultura in senso antropologico.
Diego Lanza (1937-2018) – «Il tiranno e il suo pubblico» è il tentativo di definire la genesi, lo sviluppo e la fortuna di una figura ideologica, che sempre meglio si precisa nella letteratura ateniese tra la metà del V e la metà del IV secolo a.C.
Silvia Gastaldi, Fulvia de Luise, Gherardo Ugolini, Giusto Picone – ** MARIO VEGETTI e DIEGO LANZA **, In ricordo di una amicizia filosofica.
Diego Lanza (1937-2018) – Nous e thanatos. Scritti su Anassagora e sulla filosofia antica. Prefazione di Gherardo Ugolini


Prefazione di Gherardo Ugolini

Il piano dellopera prevede quatto volumi di «Dramata»

Dramata, I. Scritti sulla drammaturgia euripidea / Dramata, II. Scritti sulla tragedia antica e le teorie del tragico / Dramata, III. Scritti sulla commedia antica / Dramata, IV. Scritti sulla Poetica di Aristotele


I libri di Diego Lanza che abbiamo pubblicato

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Salvatore Bravo – Dove prende forma la felicità se non nell’incontro? Scopriamo allora in noi la virtù dello sguardo profondo che guarda nell’altro la “totalità” dove i più, invece, vedono solo “frammenti”. Saper guardare è “tenerezza” del logos che non rifiuta i suoi inciampi e i suoi limiti, ma ha fiducia nell’approssimarsi all’alterità, perché ha rinunciato all’autoreferenzialità e a ogni narcisistica postura.



«Nella domanda che nasce, si alimenta e dimora la filosofia. Invece, soprattutto in ambito accademico, perplessità e domande sembrano essere diventate qualcosa da temere a fronte della minacciata ostracizzazione da parte della comunità scientifica, che pretende una produzione “in serie” della conoscenza, oltre alla coerenza, alla verificabilità, e alla ripetibilità di procedure calcolabili: operazioni senza resto. […] Io parlo di quel resto, e cioè di quanto del riferimento antico eccede l’utilità scientifica, anche solo su un piano intuitivo, abitando invece una dimensione più simbolica e sacra, più umana o, anche, spirituale. […] Una ricerca che non sia profondamente connessa con la spiritualità del ricercatore è una ricerca sterile […]. La filosofia del tragico riguarda una spinta tutta simbolica e mitologica di aderenza alla vita. […] Questo lavoro intende dimostrare come per praticare la filosofia sia assolutamente inevitabile e necessario sporcarsi le mani immergendole nella materia mitologica, rivelando uno sguardo diverso anche su materie settoriali e molto ben standardizzate, che non siamo soliti trattare con un orientamento filosofico. […] La filosofia del tragico ci costringerà inevitabilmente a mettere in discussione tutto ciò che viene avulso dal mondo, nel parlare del mondo, e cioè, avulso dal divenire».

Alessandra Filannino Indelicato, Introduzione



Alessandra Filannino Indelicato

Per una filosofia del tragico

Tragedie greche, vita filosofica e altre vocazioni al dionisiaco

Prefazione di Claudia Baracchi

Mimesis Edizioni, Milano 2019, pp. 216, Euro 20




«Pochi sanno che Dioniso, il nume tutelare del teatro antico, è padre tanto della tragedia quanto della commedia, e che nel teatro della vita, proprio come durante uno spettacolo, abbiamo il compito di guardare, capire e fare spazio a ciò che succede, nostro malgrado. […] Coprendo e ricoprendo l’autentica densità del mito in se stesso, ammutolendolo e assottigliandone la profondità, non facciamo che seguire una modalità consumistica, anche di ricercare e di studiare».

Ancora sentiamo levarsi dall’Antica Grecia il terribile pianto di un capro sacrificale. Alle urla strazianti di dolore si uniscono i canti commossi e le danze sfrenate in onore di Dioniso: la tragedia nasce come un sacro rituale di compartecipazione al ciclo di vita, morte e rinascita. Nell’epoca del consumismo e del “tutto subito”, abbiamo urgente bisogno di una filosofia del tragico, aperta alla complessità simbolica della vita. In questa direzione, l’Euripide di Baccanti ci consegna un Dioniso δαίμων (daimon), mediano, misterioso e contraddittorio; incarnazione dell’eccesso panico così come maestro di una puntuale presenza all’istante – l’autentico compito di ogni filosofia. Dioniso lo Straniero, ma secondo soltanto ad Atena nei festeggiamenti; Dioniso l’Androgino, l’irrazionale, l’addolorato: molteplici nomi tentano di definirlo, nessuno riesce mai a comprenderlo. Perché la filosofia dovrebbe dunque, e provocatoriamente, occuparsi del tragico? Cosa significa rispondere a una vocazione al dionisiaco? E perché questo ci riguarda?



Indice

Prefazione. Nello specchio di Dioniso
di Claudia Baracchi

Introduzione
Filosofie del tragico, mitologie e scienze umane

Prima parte

Capitolo I

La filosofia del tragico: scenografie rapsodiche, panorami insoliti

  1. Al cuore della filosofia del tragico: etica comefilosofia prima e vita filosofica
  2. Il tragico dell’origine: spinte genealogiche e miti originari a partire da Esiodo
  3. Appunti su μῦθος (mythos) e ἀλήθεια (alḕtheia) nellaRepubblica di Platone
  4. Sulla μίμησις (mìmēsis), sulla vita: Aristotele e l’arte omeopatica delle passion
  5. Cantando il capro, cantare la vita:Nietzsche e la tragedia come paesaggio d’anima
  6. Per un tragico entelechiale: il contributo di Ernst Bernhard
  7. Tracce e risonanze junghiane e kerenyane per una filosofia del tragico
  8. Nicole Loraux e la voce addolorata della tragedia antica

Capitolo II

Introduzione a Dioniso, il nume tutelare del teatro antico

  1. Dioniso il tragico, Dioniso il comico: una scelta di campo
  2. Feste rituali e festeggiamenti in onore di Dioniso
  3. Morte e rinascita come πολυμορφία (polymorphìa)

11.1 Il Polinomio: innumerevoli nomi, innumerevoli identità

11.2 L’animale, l’agreste e il vegetale: simboli sacri e rappresentazioni mondane

11.3 Δίγονος (Dìgonos) e Πενθεύς (Penthéus):il “nato-due-volte” e il “dio dalle insopportabili sofferenze”

11.4 Sussurri e segreti sui misteri dionisiaci: gli ἀπòῤῥητα (apòrrhēta)

Seconda Parte

Capitolo III

Ermeneutica simbolica e filosofia del tragico Dioniso nelle Baccanti di Euripide

  1. L’esercizio e il suo contesto
  2. Leggere il tragico

13.1 “Eccomi a Tebe”. Una divinità daimonica

13.2 “Dioniso, chiunque egli sia”. Un’identità inafferrabile

13.3 “Io lo vedevo e lui vedeva me” La disperante ambiguità dei dialoghi

13.4 “Un dio non dovrebbe assomigliare agli uomini nell’ira”. Dioniso, troppo umano

Conclusione. L’uscita danzante

Nel passaggio da εὐδαιμονία (eudaimonìa) a ἐνδαιμονία (endaimonìa)

Postfazione.
La tragedia che siamo, la tragedia che dovremmo essere consapevoli di essere
di Romano Màdera

Bibliografia




«[…] Alessandra Filannino Indelicato nella figura di Dioniso interroga la vita tragica, che è la vita in quanto tale, così come noi la conosciamo. Tragica perché sempre sul punto di andare in pezzi, tenuta insieme soltanto da uno sguardo che ne colga nessi e strutture là dove, nel fitto degli avvicendamenti e dei coinvolgimenti, ci adoperiamo ciecamente. Tenuta insieme da uno sguardo che ne colga l’unità narrativa, la sensatezza, la necessità. […] Ed è qui che la vita tragica, A. Filannino Indelicato ci mostra, si fa una con la vita filosofica, con l’impegno a una vita consapevole. E con la cura, l’accudimento. La vita tragica contemplata, attraversata con consapevolezza, è vita accompagnata, non lasciata allo stato brado ma coltivata, lavorata, esercitata: non lasciata sola ma seguìta, ricordata, riaccordata, raccontata, curata. […] La proposta di Alessandra Filannino Indelicato colpisce per audacia, urgenza e verità. Perché chiama a più livelli a un rinnovamento e a una serietà».

Claudia Baracchi, Prefazione.

*
***
*

«Questo libro è un contributo serio e generoso alla rinascita e al rinnovamento della filosofia come modo di vivere e, quindi, come insieme di pratiche filosofiche. Un contributo che rinnova ritornando, secondo una lezione classica che riconosce la rivoluzione proprio mentre ne rintraccia la più oscura genealogia. Qui, a differenza del reperto archeologico, portare alla luce, esporre all’aria, non dissolve, ma fortifica e acuisce la capacità di vedere».

Romano Màdera, Postfazione.




RINGRAZIAMENTI

Un ringraziamento speciale va a tutti gli amici che mi hanno incoraggiato a portare a termine questo lungo lavoro, durato quasi sei anni. In particolare, a chi mi ha aiutato nella revisione del testo: Marina Barioglio, Elena Bartolini, Andrea I. Daddi, Donata Feroldi, Luca Grecchi. Grazie a Claudia Baracchi e Romano Màdera, maestri dalla grande anima e insostituibili, ai quali sarò grata per tutta la vita. Agli amici immensi: Amos Badalin, Carmen Cocco, Gloria Diffidenti, Fabio Galimberti, Tommaso Giovenzana, Giusi Negroni. E a tutti gli amici di Philo. Grazie della philia. Un anemone e una viola a D., e un grazie per accompagnarmi alla scoperta di Dioniso, grazie per essere rimasta. Anche a te, Chandra, donna sangue-carezza, alla tasca di cangura, perché le tue poesie salvano me e molte altre, anche se, forse, tu continui a non saperlo davvero. Ermione, quanto ti devo? Mi hai adottato, piccola e selvaggia felina, maestra d’altrove, famiglia. Fabrizio, grande anima, la tua umiltà e il tuo cuore mi hanno insegnato a temere meno l’esposizione, e a legittimarmi l’arrivederci: e ora guarda, guarda tutto questo e il nuovo e l’America e tu, la tua America e le nostre gatte. Alle Filannino, donne che corrono coi lupi, in special modo alle mie sorelle Michela e Manuela, a mia cugina Marilena e, ovviamente, alla grande Lena, mia madre, che avrebbe voluto studiare psicologia e greco antico. Ai miei nipoti, tutti quanti, con la preghiera che si involino all’ascolto appassionato del loro daimōn. In ultimo, un grazie a chi, pur non conoscendomi, deciderà di spendere un po’ del suo tempo per leggermi.

Alessandra


Giornata di studi in onore di Anna Beltrametti – 3 Ottobre 2002 – Università di Pavia: «RIPENSARE LA TRAGEDIA GRECA. Tra storia, filosofia, emozioni, ricezione». Elisa Romano, Università di Pavia / Valeria Andò, Università di Palermo / Sotera Fornaro, Università della Campania / Martina Di Stefano, Università di Pavia / Maria Pia Pattoni, Università Cattolica di Brescia / Ester Cerbo, Università di Roma Tor Vergata / Maurizio Harari, Università di Pavia / Massimo Stella, Università Ca’ Foscari di Venezia / Gherardo Ugolini, Università di Verona / Martina Treu, Università IULM di Milano /Raffaella Viccei, Università Cattolica di Brescia.

Nancy Spero, Artemis, 1983, MOMA New York

COLLEGIO SANTA CATERINA DA SIENA
Aula conferenze (Via San Martino 17)

Ore 9: Saluti istituzionali
Ore 9.15: Elisa Romano, Università di Pavia
Introduzione ai lavori

Ore 9.30
Valeria Andò, Università di Palermo
Sotera Fornaro, Università della Campania
Francesco Massa, Université de Fribourg
Martina Di Stefano, Università di Pavia
Omaggio ad Anna Beltrametti

Pausa

Ore 11: Maria Pia Pattoni, Università Cattolica di Brescia
Alcesti nel Novecento, tra desiderio di emancipazione e spinte nichiliste
Ore 11.40: Ester Cerbo, Università di Roma Tor Vergata
Filottete e L’altra ferita: dopo Sofocle, Aldo Braibanti

***

UNIVERSITA’ DI PAVIA
Aula Volta (Palazzo Centrale, Strada Nuova 65)

Ore 14.30: Maurizio Harari, Università di Pavia
Un’ascia (anche) per Elettra
Ore 15.10: Massimo Stella, Università Ca’ Foscari di Venezia
L’Arcadia degli Spiriti: filologia e fantasmi dell’Antico
Ore 15.50: Gherardo Ugolini, Università di Verona
Berlino 1936: L’Orestea al tempo del nazismo

Pausa

Ore 16.45: Martina Treu, Università IULM di Milano
Emozione di moltitudine: il coro ritrovato
Ore 17.25: Raffaella Viccei, Università Cattolica di Brescia
Cassandra nel XXI secolo: teatro e arte

Livio Rossetti – Convincere Socrate. Tre scene, Nota introduttiva di Linda M. Napolitano Valditara

Livio Rossetti - Convincere Socrate

Livio Rossetti

Convincere Socrate

Nota introduttiva di Linda M. Napolitano Valditara

ISBN 978–88–7588-285-3, 2021, pp. 96, Euro 12 – “Antigone. Collana di teatro” [13].

indicepresentazioneautoresintesi



I am grateful for having had opportunity to read your wonderful “Convincere Socrate”. Truly, you make the characters come alive. My favorite scene was the second scene, where Socrates’ friends are trying to come up with a plan. So true to life to have lots of side issues and irrelevant thoughts voiced in meetings where a decision needs to be made. The reader experiences the effect that is experienced also in tragedy, in that s/he sees actors acting in the hope or even confidence that they will be able to effect a result that the reader knows will be impossible. And trying to change Socrates is up there with trying to change fate.

David J. Murphy, New York

***

 

«Non c’è dubbio che solo dopo aver letto con attenzione e a lungo meditato l’ampia letteratura socratica (i numerosi lògoi sokratikòi restatici, sia pur spesso in frammenti), come Rossetti fa da molto tempo, si possa scrivere un testo simile, dove ogni personaggio, battuta, rinvio, cenno ha precisa base nelle fonti e viene ri-usato però con deliberata levità».

Linda M. Napolitano Valditara (dalla nota introduttiva)

“Chi di noi è la nuova Euriclea?”

Nota introduttiva di
Linda M. Napolitano Valditara

A inizio estate 2019 leggevo questo piccolo prezioso lavoro teatrale di Livio Rossetti, Convincere Socrate, per farne una recensione. Lo conoscevo già per averne, pochi mesi prima, condiviso la recitazione con l’autore, con colleghi, dottorandi e studenti all’Università di Verona, scegliendomi – da studiosa di Socrate e Platone – l’intrigante parte di Santippe, la stizzosa incomprensiva sposa del protagonista.

Riprendere in mano il testo due anni dopo per questa Introduzione mi fa un effetto strano: anzitutto perché sento ben netta la distanza esistenziale da allora, quando in università si lavorava in presenza e si condividevano, senza forse comprenderne l’implicita ricchezza, tutti gli aspetti e modi del nostro magnifico lavoro filosofico. Una vita fa: tutto è cambiato col coronavirus e abbiamo imparato anche noi a interagire ‘da schermo’ e, prim’ancora, nella prima fase della pandemia, a impartire audio-lezioni parlando per ore… ai libri del nostro studio, senza poter guardare negli occhi i nostri studenti.

Il contenuto testuale e filosofico sapientemente filtrato da Rossetti in pièce teatrale dice invece tutt’altro, che non pochi sanciscono essere ormai del tutto perduto: un vivere insieme, un syzên, ripreso anche da Platone nella sua Lettera VII (341c-d), un con-dividere – uno davanti all’altro, a volto scoperto e senza ubbie di distanza di sicurezza – parole, desideri, speranze, timori e azioni; qualcosa che l’ultimo anno pare aver cancellato per sempre, mettendo a nudo solo il crudo, individualistico gioco, la terribile selezione solipsistica del ‘si salvi chi può’, da solo, e peggio per gli altri…

La cosa strana è però che, nel far risaltare così tutta la differenza dalla ‘vita di prima’, l’impianto del lavoro di Rossetti – appunto un rifacimento teatrale curato e godibile – non solo non appare datato e superato dallo tsunami pandemico: tutto al contrario, per quanto punta sull’interazione, su quanto si fa e si dice davanti all’altro, insieme con lui e anche in dissenso da lui, rivendica con forza un modo di vivere-insieme che nessun distanziamento può cancellare o render irrilevante e superfluo. Quel suo trattenersi a parlare in piazze, strade, palestre e assemblee di Atene fu soprattutto un poter e dover essere per l’essere umano, mai a sufficienza sapiente, destinato perciò alla vita di ricerca senza cui non sarebbe un uomo (Platone, Apologia, 38a): una vita che però non si può vivere da soli, separati dagli altri – tanto che, se poi dagli altri non si viene compresi, la vita può tirarsi dietro perfino un rischio mortale, com’è quello della condanna comminata a Socrate. Proprio il verificarsi di situazioni estreme esige – ancora e anche allora – che siano rimeditate insieme le ragioni che quella vita hanno nutrito e che non possono esser sconfessate neppure dinnanzi alla prospettiva di perdere la vita biologica.

Socrate non si lascia convincere – da chi pure ama e che lo ama – a fuggire davanti alla morte e ancora dialoga per ribadire e rivendicare quanto insieme con loro ha fin lì imparato, anche se ora non può accettare l’invito alla fuga davanti alla morte. Quale insegnamento migliore da meditare insieme, ridandogli voce e interpretandolo, in una pandemia che – notizia di stamani, 22 aprile 2021 – ha già fatto, nel mondo, tre milioni di morti? [… continua a leggere nel libro …]



Livio Rossetti, Strategie macro-retoriche.
Prefazione di Mauro Serra.
ISBN 978–88–7588-280-8, 2021, pp. 192, formato 130×200 mm, Euro 16 – Collana “Il giogo” [130].
In copertina: Joan Mirò, Il mio Alfabeto, 1972.


È strano che in una società invasa da forme di comunicazione sapiente e anche astuta (quindi insidiosa) qual è la nostra non si registri una congrua offerta di strumenti analitici sulle procedure cui è normale ricorrere in ogni momento.
In effetti, nel rivolgere la parola, nello scrivere o anche soltanto nel rispondere al telefono si manifestano moltissime scelte, alcune involontarie e altre consapevoli. Queste scelte delineano l’impostazione e il senso di ciò che io, per esempio, ho finito per dire o scrivere. Quindi parlano di me, del mio stato d’animo, dell’idea che mi ero fatta sul conto della persona o delle persone cui mi sono rivolto, dell’idea che mi ero fatta della situazione, di cosa credevo di fare e dei criteri che ho saputo adottare nel decidere cosa dire e come esprimermi, di cosa tacere, che cosa lasciare intendere etc. E a essere carica di tutti questi impliciti è ogni iniziativa comunicazionale, semplice o impegnativa che sia.
Per cercare di penetrare nei segreti della comunicazione e individuare anche ciò che transita sotto traccia, c’è poco da fare: bisogna attrezzarsi e prendere confidenza con cose così diverse come la ‘retorica dell’anti-retorica’, il feedback comunicazionale, la soglia critica, la saturazione, i meta-segnali e altro ancora. Questo libro fornisce l’apparato concettuale di cui c’è bisogno per mettersi a scavare in profondità.

Il nome di Livio Rossetti è facilmente associato alla filosofia greca – Socrate e Platone, Parmenide e Zenone – mentre non è intuitivo associarlo al tema della retorica, che è rimasta un filone leggermente in ombra della sua produzione scientifica. In effetti il volume sulle strategie macro-retoriche (1994), ora in seconda edizione, è nato a margine dei suoi studi sul dialogo socratico (alcuni dei quali figurano in Le dialogue socratique, Paris 2011) e avrebbe dovuto fornire le premesse concettuali per indagini più specifiche sull’insidiosa sapienza comunicazionale di Platone, indagini che però… devono ancora materializzarsi.
Docente di filosofia greca all’Università di Perugia per decenni, Rossetti ha pubblicato, da ultimo, Verso la filosofia: nuove prospettive su Parmenide, Zenone e Melisso (Baden Baden 2020), che si può considerare l’editio maior di Parmenide e Zenone sophoi ad Elea (in questa stessa collana, Pistoia 2020), mentre



Sommario

Questo libro

Prefazione di Mauro Serra

I. Iniziative comunicazionali, strategie comunicazionali e retorica

1. L’iniziativa comunicazionale
2. Individuare gli ‘incantesimi’ di ordine comunicazionale
3. Impostazione dell’iniziativa comunicazionale e forme di finissage
4. Progettare una iniziativa comunicazionali significa…
5. Identificare e analizzare l’impianto macroretorico

II. La formattazione dell ’unità comunicazionale

1.Una formattazione a molti livelli. Il feedback comunicazionale
2. Gli obiettivi da raggiungere

III. Ricettore ideale, distanza critica, dissimulazione. Il contratto comunicazionale

1. Lettore ideale e ricettore ideale. Il ruolo della dissimulazione
2. Contratto letterario e contratto comunicazionale. Il foedus iniquus

IV.  Gestione dell a soglia critica e forme di saturazione

1. Orizzonte di attesa, soglia critica e forme di saturazione
2. La pretesa di incidere sulla soglia critica
3. Risalire alla soglia critica prefigurata dal locutore

V. La comunicazione form attante. Il ‘sottotesto’

1. Farsi largo nella mente altrui; la pretesa di ‘comandare a casa nostra’
2. La semplificazione: grimaldello con cui si aggirano le difese altrui
3. Quando l’intreccio di contenuti epistemici e valori comunicazionali resiste all’analisi

VI. Formattazione e obsolescenza degli standard comunicazionali.
Come difendersi dall a formattazione sapiente?

1. Siamo sicuri che la magia dell’evento comunicazionale funzioni ancora?
2. Understatement, autoironia e ‘retorica dell’anti-retorica’
3. Le difese su cui possono contare i ricettori
4. Identificare il sovraccarico comunicazionale

VII. Conclusioni. Oltre la formattazione

Bibliografia

Appendice – Verso una rhetorica universalis

1. La mia comunicazione non è mai del tutto spontanea
2. Platone e la retorica degli altri
3. Le ossessioni dei moderni e le loro ‘aggressioni’ alla retorica
4. Oltre il mero arrocco. Nuovi aspetti della relazione retorica-filosofia nel Novecento
5.Verso una nuova idea di verità
6. Verso una nuova idea di retorica: la rhetorica universalis
Nota bibliografica

Soggettario

Indice dei nomi


Livio Rossetti – Parmenide e Zenone “sophoi” a Elea
Livio Rossetti – Rodolfo Mondolfo storico della filosofia antica
Livio Rossetti – Due falsI originali d autori di «qualità»: Enrico Berti (Arisotele) e Mario Vegetti (Platone).
Livio Rossetti – Anche i bambini pensano: tre modalità primarie di favorire lo sviluppo della filosofia germinale. Il libro di Dorella Cianci e Massimo Iiritano, «Pensare da bambini».

Livio Rossetti 01

Livio Rossetti

Parmenide e Zenone, sophoi ad Elea

Presentazione di Mariana Gardella Hueso.

ISBN 978-88-7588-256-3, 2020, pp. 160, Euro 15

indicepresentazioneautoresintesi

In questo Parmenide e Zenone sophoi a Elea Livio Rossetti ci propone una marcia di avvicinamento a due pensatori antichi di primissimo ordine. Il suo proposito è stato di lavorare su due ‘pezzi da museo’ che ci sono stati trasmessi pieni di polvere e di incrostazioni esegetiche, riportarli alla luce e tornare a osservarli da vicino.
Pretesa eccessiva? Non proprio, perché di Parmenide si sta riscoprendo solo ora lo stupefacente sapere naturalistico che pure formava parte integrante del suo poema, e di conseguenza il suo insegnamento richiede di essere visto da una prospettiva profondamente rinnovata. Quanto poi ai paradossi di Zenone, essi sono stati per lo più trattati come problemi da risolvere o calcoli da eseguire, senza considerare che Zenone avrà avuto interesse a idearli, non certo a risolverli e dissolverli. Quindi, anche qui, netto cambio di prospettiva.
L’autore ci invita dunque a guardare a questi due personaggi estremamente creativi senza pensare alle tradizioni interpretative, con la mente sgombra, con rinnovata curiosità. Lo fa con competenza, ma usando un linguaggio piano, cordiale, arioso, partendo dai luoghi e dal contesto. Avvicinarsi a quel mondo sarà una scoperta.


Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Livio Rossetti …


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Laura Venturi – Recensione per un evento che non ha avuto luogo

Teatri chiusi per covid

Laura Venturi

Recensione per un evento che non ha avuto luogo


La serata è più silenziosa del solito, mi preparo con la radio spenta e la fantasia accesa. Prendo un vestito sobrio e particolare al tempo stesso, mi immagino indossarlo bevendo un prosecco al bar del teatro. Che anche questo fa parte della serata in fondo, penso, quasi a giustificare questa immagine. Un prosecco, il bar, le persone … stasera stranamente mi soffermo su questo tipo di dettagli, quando penso alle ore che mi aspettano. Ho un tuffo al cuore e mi manca quasi il respiro quando immagino la fila all’ingresso, quel cauto camminare cercando di controllare la voglia di entrare nella hall calda e liberarsi del peso della giacca, quel cercare di mantenere un’elegante distanza dall’ospite che ci precede, pur riuscendo ad annusare distintamente il profumo emanato dalla sua sciarpa.


Il saluto alla maschera che controlla i biglietti: gli chiederò da che parte debba dirigermi per trovare il mio posto, anche se lo so benissimo, tanta è la voglia di parlare. Di vedere mani che indicano, gesticolano, che prendono il mio biglietto tra le dita e me lo restituiscono e per spiegare ancora una cosa me lo sottraggono nuovamente per poi consegnarmelo un’ultima volta, sfiorandomi perfino il dorso della mano. Immagino poi la fila al bar, immagino di guardare con benevolenza il cameriere mentre tocca i contanti e poi tocca la mia brezel e poi di nuovo le banconote e poi ancora il cibo altrui, senza guanti e senza rimedio, con allegria e noncuranza. Qualcuno mi pesta un piede per sbaglio, tanto ci tiene al vassoio con le quattro birre che deve ritirare, si gira e si scusa, con una risata di cui sento il vento sulla guancia. Gli sorrido, inalando il suo buonumore.


Quando trovo il mio posto le luci della sala sono ancora accese. Dopo pochi secondi che mi sono seduta arrivano quattro persone che desiderano raggiungere le loro poltrone più avanti nella stessa fila. Mi sorridono, come si sorride a teatro quando si desidera raggiungere una poltrona più avanti nella stessa fila. Sorrido anche io e mi alzo, mi schiaccio contro la mia poltrona chiusa, loro si schiacciano contro la fila davanti, ma il loro fondoschiena struscia contro le mie cosce e il mio addome. Questa stessa scena avrà luogo ancora quattro, cinque volte. Poi potrò stare seduta un po’ più a lungo, prima di dovermi alzare l’ultima volta per far passare la signora che siede alla mia destra. Quella davanti a me indossa un vestito azzurro spento con uno scollo sulla schiena. Il collier argento e i capelli biondi raccolti si gonfiano e sgonfiano con ogni suo respiro, la pelle è dorata e mi sembra di percepirne la tiepida aura profumata.


Poi le luci si spegneranno, e succede che si sentono più forti i respiri, le parole, le risate, quando è buio e sta per cominciare la magia. Si sente la vicinanza, si sente l’energia della folla pronta al miracolo, si sente la sintonia dell’attesa.

Ma intanto attendo, attendo che il tassista raggiunga il teatro. Gli biascico qualche battuta ma non mi sente, la mia voce non riesce a superare la barriera di plexiglass posta tra i sedili posteriori e quelli anteriori. Allora mi ricordo di quell’altra sera, che forse dovrei chiamare mattina, erano le 4 circa, dopo la serata di tango. Salgo sul taxi e il tassista turco mi fa mille domande sulla serata, ha sentito parlare della folle milonga berlinese di Kreuzberg e vuole sentire che ne penso. Gli piace la danza, ma se ne occupa indirettamente dice lui, lui suona il saz e gli altri ballano. Se suona bene, ballano di gusto. Tu hai ballato di gusto, osserva, chiudendo il finestrino “perché sennò ti ammali, sei tutta bagnata”. E sì, ero tutta bagnata, del mio sudore e di quello delle decine e decine di persone che avevano ballato dentro l’aria tropicale della stanza dal pavimento rosso. Abbiamo riso, con quel tassista, mi ha concesso di fumare nella sua macchina, mi ha offerto una birra, ne aveva diverse lì, gli ho detto va bene, ma accosta che ce la fumiamo insieme questa sigaretta, in onore della musica e del ballo.


Contatto, promiscuità dell’anima, Berlino è la città perfetta, anche per quella del corpo, ma quella sera è stata così, ore di danze sfrenate, una sigaretta col tassista, poi ancora quattro chiacchiere con una che, povera anima, anche lei con il cane che doveva pisciare alle 5 del mattino. Il tassista frena e accosta, siamo arrivati davanti al teatro. Sono contenta, pago e scendo, lui riparte.


La piazza è deserta, il teatro è chiuso. Ci sono dei cartelli davanti, non descrivono la prossima produzione, bensì il funzionamento dei tamponi. Il teatro è diventato un grande mercato di tamponi rapidi. Ma a quest’ora no purtroppo, quasi penso che sarei entrata comunque, pur di entrare.


Mi sento chiusa fuori dal calore che ho immaginato. Penso alle persone che non vedrò, penso all’arte di cui non farò esperienza. Sono impalata davanti al portone chiuso, quando avverto come un alito di vento alle mie spalle. Non oso girarmi. Lo sento di nuovo, e insieme individuo come un sussurrio. Le voci si fanno gradualmente più forti. Declamano, piangono, ridono, urlano, sussurrano, scherzano. Virtuosamente modulano toni e modi dei mille personaggi che sono rimasti chiusi fuori dal teatro. Anche il vento è aumentato nel frattempo, e nella piazza deserta distinguo il frullio di piroette, salti, attese e rincorse. Alzo gli occhi e davanti dietro e intorno al teatro scopro centinaia di frammenti di scenografia, tele e pezzi dei panorami più esotici che camuffano l’edificio dentro al quale dorme il palcoscenico.

Laura Venturi


Laura Venturi – Gentian Doda in «Was bleibt». Sei solo, ma non puoi ignorare ciò che ti circonda.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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