«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
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Serafina Rotondaro è attualmente dirigente scolastica. Laureata in Filosofia ha conseguito il dottorato di ricerca in Filosofia presso l’Università degli Studi di Napoli «Federico II»˝, ove è stata anche assegnista di ricerca occupandosi del volontario e dell’involontario nella filosofia di Platone. È stata cultrice della materia collaborando con la cattedra di Filosofia Antica del Prof. Giovanni Casertano, che è stato anche suo relatore per la tesi di laurea. Ha ricoperto incarichi di docente a contratto di Storia della Filosofia Antica presso l’Università degli Studi di Messina e presso l’Università degli Studi della Basilicata. È stata vincitrice di una borsa di studio post dottorato presso il CRIE (Centro di Ricerca sulle Istituzioni Europee – Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa) impegnandosi in attività di studio e di ricerca sul tema Unità e disunità della polis. È autrice di vari articoli sul pensiero antico e su Platone pubblicati in volumi collettanei e riviste internazionali.
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Ci sono libri che ci accompagnano per una vita, quasi segnando le svolte della nostra esistenza e le trasformazioni che in essa si compiono. Uno di questi è il Fedro di Platone, dialogo che parla della bellezza in tutte le sue forme (da quella dei corpi a quella dei discorsi, scritti e orali, da quella della natura a quella dell’anima) e che è, a sua volta, di una bellezza abbagliante, nella forma e nei contenuti e, come un dono prezioso e fragile, va scoperto con delicata lentezza.
Il Fedro è un vero proprio inno alla vita, alle sue trame sottili, visibili e invisibili, e alla sua infinita e insostenibile “luce”, e un invito a goderne, con saggezza, misura e intelligenza, sì, ma a pieno e senza sprechi.
In questo dialogo, multifocale come pochi altri, Platone insegna che dobbiamo imparare a “vedere sempre le cose diversamente e con altri occhi”, a volare alto senza mai rinnegare la nostra umanità, che abbiamo bisogno di nutrire ogni componente della nostra esistenza, anche quelle più basse, che non tutto può essere dimostrato o spiegato ma che, a volte, bisogna limitarsi a credere e, ancora di più, a sentire.
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1.1. Dove si dice che la verità, come Socrate, è zotica e ostinata
1.2. Qui ci si accorge che dire la verità è cosa diversa dal persuadere
1.3. Se gli dèi dicono sempre la verità, sono gli uomini a dimostrarla
1.4. Qui si scopre che il senso di un discorso non è nelle parole che esso usa
1.5. Dove si intravvede la difficoltà di invocare i fatti contro le parole, e si afferma che trovare la verità è questione di metodo
1.6. Dove si stabilisce la differenza tra dire il falso e mentire, e si scopre che la menzogna ha anche un risvolto politico
Capitolo 2 – La verità e i discorsi che la fondano
2.1. Dove si afferma che la verità ha poco a che vedere con le sensazioni corporee
2.2. Dove si scopre che la verità è comunque sempre legata all’opinione
2.2.1. Dove si afferma che l’importante non è solo avere una verità, ma credervi e testimoniarla
2.3. Dove si dice che la verità è l’orizzonte dei discorsi che la cercano
Capitolo 3 – Gli ambigui meccanismi della persuasione
3.1. Dove si scopre che la persuasione è propria della retorica ingannatrice, ma che anche la scienza non ne può fare a meno
3.2. Dove si scopre che si può discutere senza comunicare
3.3. Qui accade che quando Socrate ritiene di dire la verità, non convince nessuno
3.4. Dove si dice che per convincere qualcuno bisogna essergli amico, …
3.5. … non solo, ma bisogna anche avere le sue stesse passioni
3.6. Qui si afferma che la verità è inconfutabile, è liberatoria, è bene comune e nutrimento dell’anima, ma non si dice “che cosa” essa è
3.7. Qui si scopre che i fatti non dimostrano nulla, perché ciò che conta è l’interpretazione dei fatti
3.8. Dove si scopre che ciascun interlocutore afferma la verità della sua opinione e non convince l’altro, né da lui è convinto: perché, in effetti …
3.9 …. la verità non è solo questione di logica, ma principalmente di scelta di vita
Capitolo 4 – Conoscere la verità o essere convinti della verità?
4.1. Dove si dice che la verità deve apparire anche verosimile, se vuole persuadere: e allora Socrate inventa un mito
4.2. Qui la verità si destreggia tra il senso delle cose, il senso del mito, e il ragionamento rigoroso
4.3. Dove si afferma che amore della conoscenza, esperienza e tecnica dialettica caratterizzano non il sapiente, ma il filosofo
4.4. Dove ci si chiede quale verità possiedono le convinzioni di colui che crede di conoscere la verità
Capitolo 5 – Linguaggio, discorso e verità
5.1. Qui si stabilisce una differenza tra giustizia e verità e tra orizzonte logico e orizzonte etico
5.2. Qui si delinea il problema di chi possa usare la menzogna utile, e perché; e si parla di derubati, di ammaliati e di violentati
5.3. Qui si apre al problema tra dimensione privata e dimensione pubblica della verità, …
5.4 …. e si parla della caverna e delle diverse verità che l’uomo incontra nel suo viaggio
5.5. Dove si opera una distinzione tra opinione vera e scienza, ma principalmente rispetto al bene
5.6. Dove si stabilisce il difficile rapporto tra dolori veri e piaceri (a volte) veri, tra opinioni (a volte) false e esperienza della verità
Capitolo 6 – Nome, immagine, discorso e verità
6.1. Qui appaiono due personaggi sconosciuti, e Socrate fa ammettere loro che, se un nome è vero, lo è perché fa parte di un discorso vero
6.2. Qui si sostiene che degli dèi non si sa nulla, e si inventa un costruttore di nomi
6.3. Qui Socrate dimostra che è ridicolo pensare che con un’indagine sui nomi si possa giungere alla verità …
6.4 …. ma sostiene che è possibile tentare una scienza del discorso, …
6.5 . … cioè una scienza dell’uso del linguaggio e dei nomi, cioè della comunicazione
Capitolo 7 – L’anima, la scienza, l’opinione e la verità
7.1. Dove Socrate affila (e trucca) le sue armi per confutare Protagora
7.2. Qui si afferma una continuità tra sensazione e ragionamento, e si dice che solo l’analogia ci permette di toccare la verità
7.3. Dove si scopre ancora che la verità è fondamentalmente uso di un metodo corretto e impegno di vita
Capitolo 8 – Verità è realtà
8.1. Dove si scopre che essere e non essere sono inseparabili
8.2. Qui uno Straniero di Elea confessa di non aver ucciso il padre Parmenide, ma solo di aver fatto progredire il suo discorso
8.3. Dove si dimostra che (una) verità è solo all’interno di un discorso che ne dichiara senso e relazioni
Capitolo 9 – I piaceri, il bene, le opinioni e la verità
9.1. Dove Socrate riafferma la centralità del dialogo e dell’accordo a proposito della questione della verità, . ..
9.2. ... ribadendo che il bene e la felicità sono strettamente legati all’amore per la ricerca e per la verità
9.3. Qui Socrate afferma che anche i piaceri, come le opinioni, possono essere veri o falsi
9.4. Qui si parla di uno scrivano e di un pittore che alloggiano nelle nostre anime e che fanno qualche confusione tra vero, falso, buono e cattivo
9.5. E infine, continuando a parlare un po’ ambiguamente dei piaceri falsi, Socrate riafferma in effetti il primato della nostra facoltà di amare il vero
Capitolo 10 – La verità tra ricordi, aspettative e discorso sul tempo
10.1. Qui Solone racconta i miti dell’incendio del mondo e del diluvio universale; e il sacerdote egiziano gli obietta che racconta favole e non verità
10.2. Qui Crizia ricostruisce con la memoria un discorso vero, servendosi dei miti di Solone e di Socrate
10.3. Dove si vede che i discorsi sono imparentati con le cose, e si accenna a un’immagine mobile dell’eterno
10.4. Qui si parla delle parti, delle idee e dei numeri del tempo
10.5. Qui si stabilisce che il nostro discorso metodologico e razionale è vero, e il nostro discorso sulle esperienze è verosimile
Capitolo 11 – Verità, giustizia e vita
11.1. Dove si vede che l’uomo non sa la verità, ma può avere opinioni vere: e quando ciò accade, è la verità a impadronirsi di lui, e non viceversa
11.2. Qui, riaffermando il legame tra verità e giustizia, si parla di come bisogna mentire menzogne, e incantare per persuadere gli uomini a vivere con giustizia: perché questa è la verità più vera
Riferimenti bibliografici
Introduzione
È facile cedere ad una immagine di Platone che viaggia dall’antichità ad oggi, all’immagine cioè di una filosofia che stabilisce nettamente i confini e l’opposizione tra corpo e anima, tra sensi e ragione, tra cose e idee, tra opinione e conoscenza. Tra vero e falso. Ma bisogna resistere, anche, anzi principalmente, perché una lettura diretta e senza preconcetti della pagina platonica, inserita volta a volta nel singolo contesto di ogni singolo dialogo, non conferma mai quell’immagine.
Anche la verità platonica non è quella che vive in un ipotetico mondo delle idee, separato da ogni possibile contatto col mondo concreto e reale,cosìcome l’amore platonico, il proposito platonico, e tutto ciò che, ancora oggi, qualifichiamo con quell’aggettivo, con l’esplicito proposito di individuarlo in termini di pura velleitarietà, inconcludenza, astrattezza.
La verità platonica ha a che fare esattamente col nostro mondo di incertezze, inquietudini, errori, fallimenti, ma anche col nostro mondo di relative certezze, di aspettative, di volontà di cambiamento; in una parola, col nostro concreto vivere in un mondo reale, col nostro concreto atteggiarci nelle molteplici prospettive entro le quali lo viviamo.
In questo studio mi sono proposto di inseguire l’idea della verità in tutti i dialoghi di Platone. E mi sembra, in primo luogo, di non aver mai trovato una definizione che dica “che cosa è” la verità. Se una delle caratteristiche della filosofia platonica, nel suo riallacciarsi, esplicitamente e drammaticamente rappresentato, a quella socratica, è appunto quella di cercare e di individuare il “che cosa è” di ogni cosa e di ogni idea, potrebbe sembrare strano non imbattersi mai in una definizione della verità.
Eppure, se riflettiamo a fondo sul testo platonico, questo fatto non è strano. Perché, in secondo luogo, scopriamo di essere sempre di fronte non alla verità, ma ad una serie di verità che si presentano nel vivo contesto del dialogare platonico. O meglio: siamo di fronte ad una complessità di caratteristiche diverse che connotano la nozione, o l’idea, di verità. Che si presenta, quindi, in maniera diversa a seconda dell’angolo prospettico dal quale guardiamo ad essa. Ed avremo allora una verità logica o gnoseologica, che si presenta nel “discorso vero”, questo sìdefinito da Platone, perché il discorso, quando condotto con metodo rigoroso (e il metodo corretto è, con Parmenide, una verità), e non il mito, né l’intuizione sovrarazionale, è l’unico strumento che l’uomo possiede per cercare la verità. Avremo una serie di caratteristiche della verità, come la sua necessità logica, la sua inconfutabilità, la sua universalità, anche la sua “scomodità”, che la inquadrano però solo formalmente, senza mai dirci “che cosa” essa è. E poi avremo, e principalmente, la sua caratteristica più importante, che è quella di contrapporsi alla falsità.
Ma qui il discorso platonico già si complica. Perché, se da un punto di vista logico c’è, e non ci può non essere, una netta contrapposizione tra vero e falso, questa contrapposizione si sfuma poi fino a perdere i suoi contorni. E questo avviene quando la verità si relaziona all’utilità: allora anche la menzogna può essere nobile, utile; e «mentire una menzogna», secondo la bellissima espressione delle Leggi, è esattamente la stessa cosa che dire la più pura delle verità. Perché, ed è fondamentale ricordarlo, quando Platone parla dell’utilità della verità (e quindi della menzogna), non si riferisce mai al “particulare” del singolo uomo, umile o potente che sia, ma ad un benessere di tutti gli uomini, della società umana nella sua interezza.
Dimensione quindi sociale, o politica, della verità: anche nel suo rapporto con la giustizia, la verità appare con una serie di sfaccettature difficilmente riassumibili in una formula. Anche perché legata ad una tra le più grandi affermazioni apparentemente paradossali di Platone, e cioè che l’uomo giusto e veritiero è sempre felice, e l’uomo ingiusto e falso è sempre infelice. Paradossale, perché va contro quella che è, da Platone ad oggi, l’opinione più largamente diffusa, e non solo tra le masse; apparentemente paradossale, perché il suo valore rivoluzionario risiede proprio nel non essere la piatta osservazione di quel che accade, bensì la rivendicazione di una serietà e di una vita altre rispetto alle tragedie dell’oggi.
Senso logico, senso politico, senso etico della verità. Quel senso che, se da un lato poteva essere identificato, per l’uomo che vive nella verità, nel condurre con giustizia la propria vita, ci viene presentato da Platone in tutta la complessità, e la tragicità, del concreto vivere degli uomini. Perché se c’è un pensatore antimetafisico, alieno dal parlare in astratto e con quei tremendi paraocchi costituiti dalle generalizzazioni facili e comode, attento sempre alla “dualità” ineliminabile che caratterizza l’uomo, fatto di mente e di corpo, inseparabili, questi è proprio Platone.
E qui si apre tutto quel campo complicato che è costituito, appunto, dai rapporti tra la verità e le opinioni e le passioni dell’uomo. Con una serie raffinatissima di riflessioni, Platone ci conduce ad indagare, nella diversità dei contesti dialogici attraverso i quali costruisce la sua filosofia, le sottili differenze che intercorrono tra il credere ad una verità, l’essere convinti di una verità, ed il sapere una verità, il conoscere una verità; come a dire tra dimensione psicologica e dimensione gnoseologica nel possesso di una verità. E quindi sulla differenza tra opinione (anche quando essa è, o appare, vera) e conoscenza. E quindi sul difficilissimo rapporto che si stringe sempre tra le verità che proclamiamo e le nostre passioni, i nostri sentimenti, le nostre aspettative. Sui quali basiamo anche, quando le abbiamo, le nostre capacità di persuadere gli altri: persuasione-verità è infatti un rapporto molto delicato, e che può assumere volta a volta, a seconda di come e con che fine ce lo giochiamo, risvolti negativi o risvolti positivi.
E poi c’è l’aspetto discorsivo, dialettico, della verità. Questa abita infatti solo ed esclusivamente nei discorsi che la annunciano; ed anche quando, per fini retorici o didascalici, Platone parla di una «verità dei fatti, delle cose, in se stessi» per contrapporla ad una verità solo apparente, quale viene fatta rilucere nelle parole degli imbonitori, dei maghi, o semplicemente dei furfanti, il discorso rimane il solo e l’unico palcoscenico sul quale si rappresenta la vita della verità. Il discorso, cioè il dialogo: nel quale le opinioni si scontrano, si confutano, ma possono trovare anche punti di convergenza, modificarsi, migliorarsi. Purché, ed è fatto che Platone non manca di sottolineare con forza, il discorso e il dialogo si svolgano tra uomini che sinceramente amano la verità, vogliono la verità, tendono alla verità, e non «commettono ingiustizia nei loro discorsi», come vuole un’altra bellissima espressione platonica.
Ma, in effetti, e più profondamente, non è strano non trovare una definizione della verità in Platone. Perché la verità, come si dice più volte nei dialoghi, è questione di dèi, e non di uomini. Appartiene agli dèi e ai sapienti. E gli uomini, dopo le grandi e un po’ mitiche figure degli antichi, antichi già per Platone, ormai non possono più essere sapienti. Ma possono diventare “filosofi”, figure certo più modeste di dèi e sapienti, ma con qualcosa in più: l’amore per la sapienza e la verità, che, quando conquista le loro anime, per dirla con l’Alcibiade del Simposio,le colpisce e le attanaglia con morsi più selvaggi di quelli di una vipera. E l’amore per la sapienza e per la verità deve costituire sempre la passione dominante degli uomini filosofi: dire che la verità è solo degli dèi e non degli uomini non significa rinunciare alla verità; al contrario, impegna l’uomo che la sceglie come l’orizzonte della propria vita a perseguirla sempre, a conquistarla. Perché è possibile raggiungerla; ma bisogna conservare sempre la coscienza che, una volta raggiunta, essa non deve diventare soddisfazione acquietante, vano orgoglio, presunzione di sapienza, ma sempre stimolo a migliorarla, a perfezionarla, ad ampliarla, anche a cambiarla, nel costante dialogo con quegli altri uomini disposti a cercarla, a trovarla, a viverla.
Giovanni Casertano, Paradigmi della verità in Platone, Editori Riuniti – University Press, Roma 2007, pp. 10-13.
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Al centro di questa foto sta H.G. Gadamer; a sinistra H. Kramer e G. Reale; a destra Th. Szlezak e M. Migliori. La foto è stata fatta il 3 settembre 1996 a Tubinga, nell’intervallo di un incontro con Gadamer degli studiosi di Platone della Scuola di Tubinga e di quella di Milano. Immagine tratta dal volume: G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone, Rilettura della metafisica dei grandi dialoghi alla luce delle “Dottrine non scitte”, Vita e Pensiero, 1977.
Al centro (fra G. Reale e H. Kramer) sta Th. A. Szlezak (i cui libri su Platone sono, come quelli di Kramer e di Gaiser, in Italia ben noti e molto diffusi). È il successore di K. Gaiser alla direzione del Piaton-Archiv. In piedi, alle spalle di Szlezak, sta M. Migliori (allievo di Reale e professore all’Università di Macerata, autore di alcuni dei più recenti e impegnativi lavori sui dialoghi dialettici di Platone). Questo gruppo rappresenta quella che Kramer chiama Scuola di Tubinga e Scuola di Milano. Questa fotografia è stata scattata a Tubinga, nel Platon-Archiv, il 30 aprile del 1994, a conclusione del convegno platonico in onore di H. Kramer, per festeggiare il suo sessantacinquesimo compleanno. Sul tavolo sta il dattiloscritto della traduzione di V. Cicero del volume di K. Gaiser, La dottrina non scritta di Plalone, con Presentazione di G. Reale e Introduzione di H. Kramer. Immagine tratta dal volume: G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone, Rilettura della metafisica dei grandi dialoghi alla luce delle “Dottrine non scitte”, Vita e Pensiero, 1977.
Invito alla lettura
Pubblichiamo qui di seguito come invito alla lettura l’ultimo capitolo del libro «La bellezza della complessità», dal titolo: “Maurizio Migliori, Un paradigma ermeneutico per la storia della filosofia antica. L’approccio multifocale“. Si tratta di un PDF, e può essere letto a video, e/o scaricato e stampato (pp. 29). Per l’indice del volume cliccare qui: indice
Dedico questa raccolta alle allieve e agli allievi che ho incontrato nell’arco di cinquant’anni, nella scuola e nell’Università, e a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggermi e di ascoltarmi, dando un ulteriore senso al mio lavoro di ricerca con l’amato Platone.
M. M.
Questa è l’affermazione che considero come la formula sintetica di quello che Platone pensa della realtà cosmica e del suo “disordinato ordine” (Maurizio Migliori, Uni-molteplicità del reale e dottrina dei Principi):
«Sarà quindi meglio affermare, come più volte abbiamo detto, che nell’universo c’è molto illimitato (ἄπειρόν) e sufficiente (ἱκανόν) limite, e, al di sopra di essi, una causa non da poco, la quale, ordinando e regolando gli anni, le stagioni e i mesi, può, a buon diritto, essere chiamata sapienza e intelligenza» (Platone, Filebo, 30 C 3-7).
Questo testo mette a disposizione del lettore importanti studi, alcuni proposti qui per la prima volta in italiano, altri ormai quasi introvabili. Migliori, studioso di Platone internazionalmente riconosciuto, svolge una trattazione che parte da Eraclito e, attraverso la sofistica, raggiunge il filosofo ateniese, che è oggetto di una serie di contributi di assoluto interesse. Molti dialoghi risultano scandagliati in modo approfondito, soprattutto il Fedro e tutti i dialoghi dialettici (Parmenide, Sofista, Politico e Filebo). In effetti, Migliori ha un particolare interesse per la dialettica, il che spiega gli studi su Eraclito e Gorgia. La dialettica è alla base della filosofia platonica, qui ricostruita in modo chiaro e profondo. Le tesi proposte, originali, ma mai svolte per il gusto della novità, manifestano una testarda fedeltà al testo. Lo prova la abbondanza di citazioni presenti in questi articoli, che costituiscono una delle ricchezze offerte al lettore interessato. Anche quando affronta un tema particolarmente dibattuto, come la scrittura filosofica di Platone, Migliori non si limita ad evidenziare l’importanza decisiva del “gioco protrettico” proposto nel Fedro, ma offre una serie di esempi testuali che mostrano nel concreto le tecniche utilizzate dal filosofo. Tra questi saggi non mancano trattazioni etiche e politiche, al cui interno l’Autore affronta anche tematiche rischiose, come l’analisi del libro X della Repubblica. Mentre vari studiosi vorrebbero quasi espungerlo, Migliori si impegna a mostrare le ragioni che lo rendono utile e necessario per completare questo grande dialogo. Ciò gli dà anche la possibilità di demolire una serie di diffusi luoghi comuni, ad esempio sulla condanna dell’arte, sulle Idee e sull’anima. Quest’ultimo tema è poi affrontato in un saggio, che evidenzia la differenza tra la concezione dell’anima, una delle più grandi “invenzioni” greche, e la visione biblica, centrata sulla resurrezione. Infine, Migliori fa una proposta ermeneutica e filosofica di fondo, che definisce “approccio multifocale”. Questo paradigma consente, da una parte di capire il pensiero classico che pratica normalmente questo tipo di lettura della realtà, dall’altra di avere una visione che rispetta le relazioni e la complessità del nostro mondo, senza cadere nelle trappole logiche e pratiche del relativismo.
Indice
Introduzione di Luca Grecchi
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Note sulla dialettica in Eraclito Premessa La presenza assente del logos Il contenuto del logos L’esito finale dell’eraclitismo
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Gorgia quale sofista di riferimento di Platone Il problema del rapporto tra Gorgia e Platone Un primo nesso tra Gorgia e Protagora Gorgia retore e sofista Il Gorgia Il Parmenide Il Teeteto e il Sofista Conclusioni
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La filosofia dei sofisti: un pensiero posteleatico Diversi possibili itinerari di ricerca Il quadro descrittivo del Sofista Il problema del non essere Il riferimento a Gorgia Il rapporto filosofico con Protagora Intreccio e differenze nell’uso dei due sofisti
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Come scrive Platone. Esempi di una scrittura a carattere “protrettico” Alcune premesse di metodo Un errore volontario Una maturità precoce? Il rinvio della trattazione del Bene Un esercizio infinito Una necessaria diffidenza L’architettonica di un dialogo Allusioni e inserimenti “estemporanei” Il (cauto) utilizzo di altri dialoghi L’utilità del metodo proposto
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La struttura polifonica del Fedro Una situazione paradossale Elementi introduttivi alla lettura del dialogo Un incontro particolare La struttura del dialogo Il motivo dominante: la tecnica di comunicazione orale e scritta e la responsabilità di colui che comunica Il centro tematico dell’opera: il vero tra filosofia e mania Il tema più importante: l’anima e il rapporto uomo-Dio Conclusioni
***
L’unità della Repubblica come esempio di scrittura platonica: il libro X Prologo Alcune riflessioni di valore generale La fine del libro IX e il collegamento con il libro X La condanna dell’arte mimetica Primo punto Secondo punto Terzo punto Il problema delle Idee Le Idee dei manufatti Primo problema Secondo problema La divinità e la produzione delle Idee Il problema dell’anima La partizione dell’anima Immortalità dell’anima e sopravvivenza Il mito di Er Conclusione
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Dialettica e Teoria dei principi Nel Parmenide e nel Filebo di Platone Prologo Alle fonti della dialettica Dialettica e filosofia L’identità uno–molti Un sistema di postulati risolutivi Originarietà della dialettica La dialettica come metodo Natura del metodo dialettico L’indicazione metodica I passaggi metodici Una metodologia complessa La dialettica come filosofia Necessità della struttura polare. La negazione dell’Uno–Uno Due processi per una sola realtà La Polarità originaria Uno e Non Uno Limite e Illimitato Polivalenza funzionale dei Principi Limite, Uno e Bene La Misura La visione dialettica del reale Tutto è Misto Misto e Idee Essere e tempo, divenire e atemporalità. L’inutilità della dialettica dell’Essere senza Uno Il Divenire e l’Istante L’articolazione della dialettica platonica: Tutto e parte Un rapporto dialettico, ma non paritetico Conseguenze della dialettica intero–parte Dialettica e aporie delle Idee La dialettica platonica Una dialettica né binaria né trinaria Metodo dialettico e Principi primi
***
Alcune riflessioni su misura e metretica (il Filebo tra Protagora e Leggi, passando per il Politico e il Parmenide) Prologo Una premessa di metodo. lo scritto platonico come “gioco” La trattazione metafisica del Filebo Prima parte del dialogo: Processo ontogonico e Causa Premessa: la realtà è uni-molteplice Le radici metafisiche di questa realtà uni-molteplice L’Apeiron Il Peras Il misto La causa Conseguenze e conferme sul piano cosmo-ontologico Ordine e disordine del Cosmo alla luce del Politico La causalità ideale alla luce del Parmenide Prime conclusioni Seconda parte del dialogo: il Bene e la Misura Premessa: la trattazione del Bene è necessaria
Alcune “anticipazioni” sul Bene
Le “allusioni” alla natura del Bene
Il segno del Bene-Misura
Le due trattazioni a confronto
La metretica
La metretica nelle prime opere
Le due metretiche del Politico
L’applicazione della “misura” nell’azione del politico
Un breve riferimento alle Leggi
La vita buona e misurata
Due tipi di uguaglianza L’importanza del modello trinario
Appendice I Le Idee sono composte da altre Idee Appendice II La trattazione di cause e concause Fedone Politico Timeo
Due brevi osservazioni finali
***
Cura dell’anima. L’intreccio tra etica e politica in Platone La natura bivalente della politica L’intreccio tra etica e politica Il parallelo tra anima e polis Potere politico e dominio di sé Elementi di antropologia platonica L’anima Beni e virtù Due “Idee” di piacere Il Bene L’azione del politico Il ruolo ordinatore delle leggi Le responsabilità dei soggetti politici Centralità dell’impianto educativo Politica e retorica Il fine della politica: ordine e felicità Il Bene come fine Due modelli di vita a confronto Il piacere e i beni umani Virtù e felicità Un necessario approdo escatologico
***
Polivalenza strutturale della filia in Platone La semanticità di filia nei dialoghi La funzione socio–politica dell’amicizia L’esempio dei conviti Due specifiche applicazioni Critone o dell’amicizia Il rinvio al Primo amico Una riflessione finale
***
La domanda sull’immortalità e la resurrezione. Paradigma greco e paradigma biblico Prologo L’evoluzione del paradigma greco La tradizione orfica e il suo sviluppo filosofico Platone Una duplice valutazione Una riflessione razionale sull’anima Le prove dell’immortalità dell’anima Tripartizione dell’anima e sua sopravvivenza Anima e corpo in Aristotele Immortalità dell’anima ed etica Immortalità dell’anima ed opere essoteriche La concezione ebraica Una visione mitica Una visione unitaria dell’essere umano La condizione dopo la morte Lo stacco tra immortalità dell’anima e resurrezione Socrate e Cristo L’incontro nell’ellenismo e nel cristianesimo Filone di Alessandria Il primo cristianesimo Conclusioni
***
Un paradigma ermeneutico per la storia della filosofia antica: l’approccio multifocale Una situazione straordinaria Il senso e le ragioni di una scelta diversa L’emergere del multifocal approach Il contributo della sofistica L’esperienza platonica L’elaborazione aristotelica Il valore attuale di questa visione dell’antico
In copertina: Vasilij Kandinskij, Verso l’alto (Empor), 1929, olio su cartone. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia. L’energia del pensiero nella ricerca della bellezza si protende verso l’alto (empor). Le forme geometriche astratte disegnano il volto di profilo di una persona: il personaggio è sorretto – in un punto di equilibrio ideale – da un trapezio e da una lettera E (empor). L’occhio, lo sguardo, è rivolto verso un’altra grande E a destra, in alto.
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