Giovanni Casertano – È possibile raggiungere la verità; ma bisogna conservare sempre la coscienza che, una volta raggiunta, essa non deve diventare soddisfazione acquietante, vano orgoglio, presunzione di sapienza, ma sempre stimolo a migliorarla, a perfezionarla, ad ampliarla, anche a cambiarla, nel costante dialogo con quegli altri uomini disposti a cercarla, a trovarla, a viverla.

Indice

 

Introduzione

Capitolo 1 – La verità senza le idee

1.1. Dove si dice che la verità, come Socrate, è zotica e ostinata

1.2. Qui ci si accorge che dire la verità è cosa diversa dal persuadere

1.3. Se gli dèi dicono sempre la verità, sono gli uomini a dimostrarla

1.4. Qui si scopre che il senso di un discorso non è nelle parole che esso usa

1.5. Dove si intravvede la difficoltà di invocare i fatti contro le parole, e si afferma che trovare la verità è questione di metodo

1.6. Dove si stabilisce la differenza tra dire il falso e mentire, e si scopre che la menzogna ha anche un risvolto politico

Capitolo 2 – La verità e i discorsi che la fondano

2.1. Dove si afferma che la verità ha poco a che vedere con le sensazioni corporee

2.2. Dove si scopre che la verità è comunque sempre legata all’opinione

2.2.1. Dove si afferma che l’importante non è solo avere una verità, ma credervi e testimoniarla

2.3. Dove si dice che la verità è l’orizzonte dei discorsi che la cercano

Capitolo 3 – Gli ambigui meccanismi della persuasione

3.1. Dove si scopre che la persuasione è propria della retorica ingannatrice, ma che anche la scienza non ne può fare a meno

3.2. Dove si scopre che si può discutere senza comunicare

3.3. Qui accade che quando Socrate ritiene di dire la verità, non convince nessuno

3.4. Dove si dice che per convincere qualcuno bisogna essergli amico,

3.5. … non solo, ma bisogna anche avere le sue stesse passioni

3.6. Qui si afferma che la verità è inconfutabile, è liberatoria, è bene comune e nutrimento dell’anima, ma non si dice “che cosa” essa è

3.7. Qui si scopre che i fatti non dimostrano nulla, perché ciò che conta è l’interpretazione dei fatti

3.8. Dove si scopre che ciascun interlocutore afferma la verità della sua opinione e non convince l’altro, né da lui è convinto: perché, in effetti …

3.9 …. la verità non è solo questione di logica, ma principalmente di scelta di vita

Capitolo 4 – Conoscere la verità o essere convinti della verità?

4.1. Dove si dice che la verità deve apparire anche verosimile, se vuole persuadere: e allora Socrate inventa un mito

4.2. Qui la verità si destreggia tra il senso delle cose, il senso del mito, e il ragionamento rigoroso

4.3. Dove si afferma che amore della conoscenza, esperienza e tecnica dialettica caratterizzano non il sapiente, ma il filosofo

4.4. Dove ci si chiede quale verità possiedono le convinzioni di colui che crede di conoscere la verità

Capitolo 5 – Linguaggio, discorso e verità

5.1. Qui si stabilisce una differenza tra giustizia e verità e tra orizzonte logico e orizzonte etico

5.2. Qui si delinea il problema di chi possa usare la menzogna utile, e perché; e si parla di derubati, di ammaliati e di violentati

5.3. Qui si apre al problema tra dimensione privata e dimensione pubblica della verità, …

5.4 …. e si parla della caverna e delle diverse verità che l’uomo incontra nel suo viaggio

5.5. Dove si opera una distinzione tra opinione vera e scienza, ma principalmente rispetto al bene

5.6. Dove si stabilisce il difficile rapporto tra dolori veri e piaceri (a volte) veri, tra opinioni (a volte) false e esperienza della verità

Capitolo 6 – Nome, immagine, discorso e verità

6.1. Qui appaiono due personaggi sconosciuti, e Socrate fa ammettere loro che, se un nome è vero, lo è perché fa parte di un discorso vero

6.2. Qui si sostiene che degli dèi non si sa nulla, e si inventa un costruttore di nomi

6.3. Qui Socrate dimostra che è ridicolo pensare che con un’indagine sui nomi si possa giungere alla verità

6.4 …. ma sostiene che è possibile tentare una scienza del discorso,

6.5 . … cioè una scienza dell’uso del linguaggio e dei nomi, cioè della comunicazione

Capitolo 7 – L’anima, la scienza, l’opinione e la verità

7.1. Dove Socrate affila (e trucca) le sue armi per confutare Protagora

7.2. Qui si afferma una continuità tra sensazione e ragionamento, e si dice che solo l’analogia ci permette di toccare la verità

7.3. Dove si scopre ancora che la verità è fondamentalmente uso di un metodo corretto e impegno di vita

Capitolo 8 – Verità è realtà

8.1. Dove si scopre che essere e non essere sono inseparabili

8.2. Qui uno Straniero di Elea confessa di non aver ucciso il padre Parmenide, ma solo di aver fatto progredire il suo discorso

8.3. Dove si dimostra che (una) verità è solo all’interno di un discorso che ne dichiara senso e relazioni

Capitolo 9 I piaceri, il bene, le opinioni e la verità

9.1. Dove Socrate riafferma la centralità del dialogo e dell’accordo a proposito della questione della verità, . ..

9.2. ... ribadendo che il bene e la felicità sono strettamente legati all’amore per la ricerca e per la verità

9.3. Qui Socrate afferma che anche i piaceri, come le opinioni, possono essere veri o falsi

9.4. Qui si parla di uno scrivano e di un pittore che alloggiano nelle nostre anime e che fanno qualche confusione tra vero, falso, buono e cattivo

9.5. E infine, continuando a parlare un po’ ambiguamente dei piaceri falsi, Socrate riafferma in effetti il primato della nostra facoltà di amare il vero

Capitolo 10 – La verità tra ricordi, aspettative e discorso sul tempo

10.1. Qui Solone racconta i miti dell’incendio del mondo e del diluvio universale; e il sacerdote egiziano gli obietta che racconta favole e non verità

10.2. Qui Crizia ricostruisce con la memoria un discorso vero, servendosi dei miti di Solone e di Socrate

10.3. Dove si vede che i discorsi sono imparentati con le cose, e si accenna a un’immagine mobile dell’eterno

10.4. Qui si parla delle parti, delle idee e dei numeri del tempo

10.5. Qui si stabilisce che il nostro discorso metodologico e razionale è vero, e il nostro discorso sulle esperienze è verosimile

Capitolo 11 – Verità, giustizia e vita

11.1. Dove si vede che l’uomo non sa la verità, ma può avere opinioni vere: e quando ciò accade, è la verità a impadronirsi di lui, e non viceversa

11.2. Qui, riaffermando il legame tra verità e giustizia, si parla di come bisogna mentire menzogne, e incantare per persuadere gli uomini a vivere con giustizia: perché questa è la verità più vera

Riferimenti bibliografici


Introduzione

È facile cedere ad una immagine di Platone che viaggia dall’antichità ad oggi, all’immagine cioè di una filosofia che stabilisce nettamente i confini e l’opposizione tra corpo e anima, tra sensi e ragione, tra cose e idee, tra opinione e conoscenza. Tra vero e falso. Ma bisogna resistere, anche, anzi principalmente, perché una lettura diretta e senza preconcetti della pagina platonica, inserita volta a volta nel singolo contesto di ogni singolo dialogo, non conferma mai quell’immagine.

Anche la verità platonica non è quella che vive in un ipotetico mondo delle idee, separato da ogni possibile contatto col mondo concreto e reale, così come l’amore platonico, il proposito platonico, e tutto ciò che, ancora oggi, qualifichiamo con quell’aggettivo, con l’esplicito proposito di individuarlo in termini di pura velleitarietà, inconcludenza, astrattezza.

La verità platonica ha a che fare esattamente col nostro mondo di incertezze, inquietudini, errori, fallimenti, ma anche col nostro mondo di relative certezze, di aspettative, di volontà di cambiamento; in una parola, col nostro concreto vivere in un mondo reale, col nostro concreto atteggiarci nelle molteplici prospettive entro le quali lo viviamo.

In questo studio mi sono proposto di inseguire l’idea della verità in tutti i dialoghi di Platone. E mi sembra, in primo luogo, di non aver mai trovato una definizione che dica “che cosa è” la verità. Se una delle caratteristiche della filosofia platonica, nel suo riallacciarsi, esplicitamente e drammaticamente rappresentato, a quella socratica, è appunto quella di cercare e di individuare il “che cosa è” di ogni cosa e di ogni idea, potrebbe sembrare strano non imbattersi mai in una definizione della verità.

Eppure, se riflettiamo a fondo sul testo platonico, questo fatto non è strano. Perché, in secondo luogo, scopriamo di essere sempre di fronte non alla verità, ma ad una serie di verità che si presentano nel vivo contesto del dialogare platonico. O meglio: siamo di fronte ad una complessità di caratteristiche diverse che connotano la nozione, o l’idea, di verità. Che si presenta, quindi, in maniera diversa a seconda dell’angolo prospettico dal quale guardiamo ad essa. Ed avremo allora una verità logica o gnoseologica, che si presenta nel “discorso vero”, questo sì definito da Platone, perché il discorso, quando condotto con metodo rigoroso (e il metodo corretto è, con Parmenide, una verità), e non il mito, né l’intuizione sovrarazionale, è l’unico strumento che l’uomo possiede per cercare la verità. Avremo una serie di caratteristiche della verità, come la sua necessità logica, la sua inconfutabilità, la sua universalità, anche la sua “scomodità”, che la inquadrano però solo formalmente, senza mai dirci “che cosa” essa è. E poi avremo, e principalmente, la sua caratteristica più importante, che è quella di contrapporsi alla falsità.

Ma qui il discorso platonico già si complica. Perché, se da un punto di vista logico c’è, e non ci può non essere, una netta contrapposizione tra vero e falso, questa contrapposizione si sfuma poi fino a perdere i suoi contorni. E questo avviene quando la verità si relaziona all’utilità: allora anche la menzogna può essere nobile, utile; e «mentire una menzogna», secondo la bellissima espressione delle Leggi, è esattamente la stessa cosa che dire la più pura delle verità. Perché, ed è fondamentale ricordarlo, quando Platone parla dell’utilità della verità (e quindi della menzogna), non si riferisce mai al “particulare” del singolo uomo, umile o potente che sia, ma ad un benessere di tutti gli uomini, della società umana nella sua interezza.

Dimensione quindi sociale, o politica, della verità: anche nel suo rapporto con la giustizia, la verità appare con una serie di sfaccettature difficilmente riassumibili in una formula. Anche perché legata ad una tra le più grandi affermazioni apparentemente paradossali di Platone, e cioè che l’uomo giusto e veritiero è sempre felice, e l’uomo ingiusto e falso è sempre infelice. Paradossale, perché va contro quella che è, da Platone ad oggi, l’opinione più largamente diffusa, e non solo tra le masse; apparentemente paradossale, perché il suo valore rivoluzionario risiede proprio nel non essere la piatta osservazione di quel che accade, bensì la rivendicazione di una serietà e di una vita altre rispetto alle tragedie dell’oggi.

Senso logico, senso politico, senso etico della verità. Quel senso che, se da un lato poteva essere identificato, per l’uomo che vive nella verità, nel condurre con giustizia la propria vita, ci viene presentato da Platone in tutta la complessità, e la tragicità, del concreto vivere degli uomini. Perché se c’è un pensatore antimetafisico, alieno dal parlare in astratto e con quei tremendi paraocchi costituiti dalle generalizzazioni facili e comode, attento sempre alla “dualità” ineliminabile che caratterizza l’uomo, fatto di mente e di corpo, inseparabili, questi è proprio Platone.

E qui si apre tutto quel campo complicato che è costituito, appunto, dai rapporti tra la verità e le opinioni e le passioni dell’uomo. Con una serie raffinatissima di riflessioni, Platone ci conduce ad indagare, nella diversità dei contesti dialogici attraverso i quali costruisce la sua filosofia, le sottili differenze che intercorrono tra il credere ad una verità, l’essere convinti di una verità, ed il sapere una verità, il conoscere una verità; come a dire tra dimensione psicologica e dimensione gnoseologica nel possesso di una verità. E quindi sulla differenza tra opinione (anche quando essa è, o appare, vera) e conoscenza. E quindi sul difficilissimo rapporto che si stringe sempre tra le verità che proclamiamo e le nostre passioni, i nostri sentimenti, le nostre aspettative. Sui quali basiamo anche, quando le abbiamo, le nostre capacità di persuadere gli altri: persuasione-verità è infatti un rapporto molto delicato, e che può assumere volta a volta, a seconda di come e con che fine ce lo giochiamo, risvolti negativi o risvolti positivi.

E poi c’è l’aspetto discorsivo, dialettico, della verità. Questa abita infatti solo ed esclusivamente nei discorsi che la annunciano; ed anche quando, per fini retorici o didascalici, Platone parla di una «verità dei fatti, delle cose, in se stessi» per contrapporla ad una verità solo apparente, quale viene fatta rilucere nelle parole degli imbonitori, dei maghi, o semplicemente dei furfanti, il discorso rimane il solo e l’unico palcoscenico sul quale si rappresenta la vita della verità. Il discorso, cioè il dialogo: nel quale le opinioni si scontrano, si confutano, ma possono trovare anche punti di convergenza, modificarsi, migliorarsi. Purché, ed è fatto che Platone non manca di sottolineare con forza, il discorso e il dialogo si svolgano tra uomini che sinceramente amano la verità, vogliono la verità, tendono alla verità, e non «commettono ingiustizia nei loro discorsi», come vuole un’altra bellissima espressione platonica.

Ma, in effetti, e più profondamente, non è strano non trovare una definizione della verità in Platone. Perché la verità, come si dice più volte nei dialoghi, è questione di dèi, e non di uomini. Appartiene agli dèi e ai sapienti. E gli uomini, dopo le grandi e un po’ mitiche figure degli antichi, antichi già per Platone, ormai non possono più essere sapienti. Ma possono diventare “filosofi”, figure certo più modeste di dèi e sapienti, ma con qualcosa in più: l’amore per la sapienza e la verità, che, quando conquista le loro anime, per dirla con l’Alcibiade del Simposio, le colpisce e le attanaglia con morsi più selvaggi di quelli di una vipera. E l’amore per la sapienza e per la verità deve costituire sempre la passione dominante degli uomini filosofi: dire che la verità è solo degli dèi e non degli uomini non significa rinunciare alla verità; al contrario, impegna l’uomo che la sceglie come l’orizzonte della propria vita a perseguirla sempre, a conquistarla. Perché è possibile raggiungerla; ma bisogna conservare sempre la coscienza che, una volta raggiunta, essa non deve diventare soddisfazione acquietante, vano orgoglio, presunzione di sapienza, ma sempre stimolo a migliorarla, a perfezionarla, ad ampliarla, anche a cambiarla, nel costante dialogo con quegli altri uomini disposti a cercarla, a trovarla, a viverla.

Giovanni Casertano, Paradigmi della verità in Platone, Editori Riuniti – University Press, Roma 2007, pp. 10-13.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Arianna Fermani – «Equità e giustizia dal volto umano. Aristotele tra nomos e phronesis». La radice ontologica della philia è anche la radice ontologica della giustizia. Chi ha bisogno di giustizia è anche capace di philia, e chi vive di philia non tollera l’ingiustizia. Giustizia e philia rappresentano ciascuno la misura dell’altro: la giustizia è infatti la misura della philia, e la philia è la pietra angolare della libera comunità umana.

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Aristotele (384-322 a.C.) – La mano di Aristotele: più intelligente dev’essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti.

Aristotele - La mano

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«La specializzazione della mano significa lo strumento:
e strumento significa l’attività umana specifica.
La mano dell'uomo è altamente perfezionata
dal lavoro di centinaia di migliaia di anni...
Nessuna mano di scimmia ha mai prodotto il più rozzo coltello di pietra...
La mano dell'uomo ha raggiunto quell'alto grado di perfezione...
solo attraverso il lavoro...
E l’uomo ha fatto tutto ciò, innanzitutto ed essenzialmente,
per mezzo della mano».

F. Engels,
Dialettica della natura,
Editori Riuniti, Roma, 19713, pagg. 49-50

«Anassagora afferma che l’uomo è il più intelligente degli animali grazie all’aver mani; è invece ragionevole dire che ha ottenuto le mani perché è il più intelligente. Le mani sono infatti uno strumento, e la natura, come farebbe una persona intelligente, attribuisce sempre ciascuno di essi a chi può servirsene; giacché è più conveniente dare flauti a chi è già flautista, che non attribuire l’arte del flauto a chi possiede flauti. La natura attribuisce ciò che è minore a ciò che è maggiore e più importante, non il più nobile e il maggiore al minore. Se dunque questa è la via migliore, e la natura nel campo delle possibilità realizza quella migliore, allora non è che l’uomo sia il più intelligente grazie alle mani, ma ha le mani grazie all’esser il più intelligente degli animali. E il più intelligente dev’essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; ora la mano sembra costituire non uno ma più strumenti: in un certo senso essa è uno strumento preposto ad altri strumenti. A colui dunque che è in grado di impadronirsi del maggior numero di tecniche la natura ha dato, con la mano, lo strumento in grado di utilizzare il più gran numero di altri strumenti.
Quanto a coloro che sostengono che l’uomo non è costituito bene, anzi peggio di tutti gli altri animali (dicono infatti che non ha protezione per i piedi, è nudo e sprovvisto di armi da combattimento), il loro discorso non è corretto. Gli altri animali hanno un solo mezzo di difesa, e non è loro concesso di sostituirlo con un altro, anzi devono dormire e fare qualsiasi altra cosa tenendo sempre, per cosÌ dire, le scarpe ai piedi, cioè senza deporre la corazza che hanno sul corpo, né possono cambiare l’arma che gli è toccata in sorte.
All’uomo, invece, sono concessi molti mezzi di difesa, ed egli può sempre mutarli, adottando inoltre l’arma che vuole e quando la vuole. La mano infatti può diventare artiglio, chela, corno, o anche lancia, spada e ogni altra arma o strumento: tutto ciò può essere perché tutto può afferrare e impugnare.
Anche la forma della mano è stata dalla natura congegnata in questo senso. Essa è articolabile e divisa in più parti, perché nella divisione è implicita anche la capacità di coesione, mentre la prima non è implicita nella seconda. Ed è possibile servirsene come di un sol organo, di due o di molti»

Aristotele,
Opere biologiche, Le parti degli animali, Libro IV, 687a-687b,
a cura di Diego Lanza e Mario Vegetti
Utet, 1971, pp. 710-711.


 

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Massimo Bontempelli – «Tempo e memoria. La filosofia del tempo tra memoria del passato, identità del presente e progetto del futuro». Per ricordare Massimo Bontempelli e la sua passione durevole per la filosofia.




Luca Grecchi, Ricordo filosofico di Massimo BontempelliScarica


Libri di Massimo Bontempelli


Storia:

  • Il senso della storia antica. Itinerari e ipotesi di studio. (2 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1978.
  • Antiche strutture sociali mediterranee. (2 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1979.
  • Storia e coscienza storica (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1983.
  • Storia (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1984. [Per il triennio]
  • Civiltà e strutture sociali dall’antichità al medioevo (2 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1984.
  • Antiche civiltà e loro documenti (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1993.
  • Civiltà storiche e loro documenti (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1994
  • Storia e coscienza storica. (nuova edizione, 3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1998. [Per il triennio]

Filosofia:

  • Il senso dell’essere nelle culture occidentali (3 voll.), con Fabio Bentivoglio, Milano, Trevisini, 1992.
  • Il tempo della filosofia (3 voll.), con Fabio Bentivoglio, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici PRESS, 2011. [riedito nel 2016 in versione aggiornata dalle edizioni Accademia Vivarium Novum]

Saggi e monografie:

  • Eraclito e noi, Milazzo, Spes, 1989.
  • Percorsi di verità della dialettica antica, con Fabio Bentivoglio, Milazzo, Spes, 1996.
  • Nichilismo, verità, storia, con Costanzo Preve, Pistoia, CRT, 1997.
  • Gesù. Uomo nella storia, Dio nel pensiero, con Costanzo Preve, Pistoia, CRT, 1997.
  • La conoscenza del bene e del male, Pistoia, CRT, 1998.
  • La disgregazione futura del capitalismo mondializzato, Pistoia, CRT, 1998.
  • Tempo e memoria, Pistoia, CRT, 1999.
  • Filosofia e realtà. Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo, con prefazione di Costanzo Preve, Pistoia, CRT, 2000. [ristampato nel 2020 dalla casa editrice Petite Plaisance]
  • L’agonia della scuola italiana, Pistoia, CRT, 2000.
  • Per conoscere Hegel. Un sentiero attraverso la foresta del pensiero hegeliano, Pistoia, CRT, 2000.
  • Eraclito e noi. La modernità attraverso il prisma interpretativo eracliteo, CRT, 2000.
  • Diciamoci la verità, “Koiné” n.6, Pistoia, CRT, 2000.
  • Le sinistre nel capitalismo globalizzato, Pistoia, CRT, 2001.
  • Un nuovo asse culturale per la scuola italiana, CRT, Pistoia 2001.
  • L’arbitrarismo della circolazione autoveicolare, Pistoia, CRT, 2001.
  • Il sintomo e la malattia. Una riflessione sull’ambiente di Bin Laden e su quello di Bush, con Carmine Fiorillo, Pistoia, CRT, 2001 [ristampato nel 2017 dalla casa editrice Petite Plaisance]
  • Diciamoci la verità, CRT, Pistoia 2001.
  • Il respiro del Novecento. Percorso di storia del XX secolo. 1914-1945, Pistoia, CRT, 2002.
  • Il mistero della sinistra, con Marino Badiale, Genova, Graphos, 2005.
  • La Resistenza Italiana. Dall’8 settembre al 25 aprile. Storia della guerra di liberazione, Cagliari, CUEC, 2006.
  • La sinistra rivelata, con Marino Badiale, Bolsena, Massari, 2007.
  • Il Sessantotto. Un anno ancora da scoprire, Cagliari, CUEC, 2008. [ristampato nel 2018]
  • Civiltà occidentale, con Marino Badiale, prefazione di Franco Cardini, Genova, Il Canneto, 2010.
  • Marx e la decrescita, con Marino Badiale, Trieste, Abiblio, 2011.
  • Platone e i preplatonici. Morale e paideia in Grecia, con Fabio Bentivoglio, introduzione di Antonio Gargano, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici PRESS, 2011.
  • Un pensiero presente. 1999-2010: scritti di Massimo Bontempelli su Indipendenza, Roma, Indipendenza – Editore Francesco Labonia, 2014.
  • Capitalismo globalizzato e scuola, con Fabio Bentivoglio, Roma, Indipendenza – Editore Francesco Labonia, 2014.
  • La sfida politica della decrescita, con Marino Badiale, prefazione di Serge Latouche, Roma, Aracne, 2014.
  • Gesù di Nazareth, con prefazione di Marco Vannini, Pistoia, Petite Plaisance, 2017.

Saggi in opere collettanee:

  • Il respiro del Novecento, “Koiné” n. 6, Pistoia, CRT, 1999
  • Metamorfosi della scuola italiana, “Koiné” n. 4, Pistoia, CRT, 2000
  • (Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri, “Koiné” n. 5, Pistoia, CRT, 2000
  • Scienza, cultura, filosofia, “Koiné” n. 8, con Lucio Russo e Marino Badiale, Pistoia, CRT, 2002.
  • I cattivi maestri, in I Forchettoni Rossi, a cura di Roberto Massari, Bolsena, Massari, 2007.
  • Diciamoci la verità, “Koiné” n. 6, Pistoia, CRT, 2000.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Mario Vegetti – «Comunità giusta, politica dell’anima e dimensione dell’utopia in Platone». Riplasmare la propria forma di vita nella prospettiva e nell’orizzonte della città giusta, quella formata da soggetti che riconfigurano moralmente se stessi e costruiscono un legame comunitario nella critica alla società dell’interesse e della prevaricazione, nell’apertura a una comunità di ragione, nella quale ognuno trovi anche, e intanto, le ragioni – che non possono venire disgiunte da una speranza di felicità – per governare se stesso.

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Andrea Zhok – «Oltre “Destra” e “Sinistra”: la questione della natura umana». Una recensione di Alessandro Bartoloni Saint Omer.

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«Le concezioni dell’individuo umano come originario e irriducibile, e del valore come appagamento interiore (utilità percepita), sono incardinate nella spina dorsale della concettualità economica. La realtà umana, la concretezza storica e antropologica, vengono perciò sempre lette come una sorta di eccezioni, di deviazioni, più o meno marcate e possibilmente da correggere, invece l’astrazione di partenza appare per la moderna riflessione economica come un “luogo naturale” aristotelico, un punto di attrazione cui si tende a ritornare sempre, salvo esplicito impedimento. Una volta compresa l’essenziale continuità tra la ragione liberale classica e la razionalità economica classica, si comprende la naturalezza dello sbocco neoliberale. […] Il neoliberalismo, infatti, rappresenta la presa di coscienza storica del carattere normativo dell’economia neoclassica. Non si tratta più di immaginare un mondo (uno “stato di natura”) dove gli esseri umani siano massimizzatori razionali autoreferenziali, dove la storia e la cultura siano inconferenti, dove il mercato sia un’entità originaria e lo Stato un accessorio a esso funzionale. Questo mondo non c’è mai stato. Ma in una prospettiva economica è ritenuto auspicabile che esso ci sia, o che ci si approssimi quanto possibile a quel modello, e questa è l’essenza della proposta neoliberale. È perciò che alla fine del XX secolo lo Stato liberale dismette le proprie remore e si fa carico di creare, o approssimare, le condizioni perché le idealizzazioni del mercato perfetto si realizzino.

Andrea Zhok, Critica della ragion liberale. Una filosofia della storia corrente, Meltemi, Roma 2020, p. 153.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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