Luca Grecchi – Logos, pathos, ethos. La “Retorica” di Aristotele e la retorica… di oggi. È credibile solo quel filosofo che si comporta, nella vita, in maniera conforme a quello che argomenta essere il giusto modo di vivere.

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Logos, pathos, ethos.

La Retorica di Aristotele e la retorica… di oggi

 

 

Risulta credibile, a lungo andare, solo quel filosofo di cui si sa che si comporta, nella vita, in maniera conforme a quello che argomenta essere il giusto modo di vivere. Questo vale sia per i filosofi che hanno incarichi accademici, sia per quelli che non li hanno; per i primi, però, ciò deve valere in misura maggiore, poiché costoro hanno, verso i giovani studenti, il dovere di essere un esempio.

 

 

Il significato del termine “retorica”, nel linguaggio comune, è associato ad un modo di parlare artificioso, volto, per via appunto di artifizi (utilizzando cioè le passioni anziché gli argomenti), a rendere efficace un discorso che altrimenti non lo sarebbe. Il discorso retorico si addice soprattutto a quelle realtà che non sono immutabili, ma che sono vere soltanto – con linguaggio aristotelico – “per lo più”, ossia in generale, quali appunto le materie etiche e politiche. E’ questo in effetti il campo in cui la riflessione sulla retorica, ossia sul modo efficace di persuadere il pubblico tramite discorsi, si è sviluppato nella antica Grecia.
Già in epoca classica, a grandi linee, si contrapposero due tendenze: la prima, quella della Sofistica eristica, intendeva la retorica come l’arte di effettuare discorsi persuasivi indipendentemente dal valore di verità delle tesi sostenute, facendo semplicemente leva sull’eloquio e sulla emotività dell’uditorio; la seconda, presente in Platone ed in Aristotele, intendeva invece la retorica come l’arte di effettuare discorsi persuasivi per rendere maggiormente efficaci, per il pubblico, contenuti veri e giusti. La retorica di Platone e di Aristotele si distingueva dalla retorica della Sofistica eristica, in quanto solo la prima, possedendolo, era in grado di trasmettere il sapere più importante, ossia quello relativo alla verità ed al bene, il quale può consentire di educare (se si è filosofi), o di governare (se si è politici), nel modo giusto. Il vero filosofo, così come il vero politico, si pone infatti come fine il bene comune. Solo chi ritiene che il bene comune coincida con il proprio bene – vivere in un ambiente giusto, armonico, comunitario consente a ciascuno di vivere meglio – può essere un buon filosofo o un buon politico, poiché si occuperà del bene di tutti come del proprio. Chi invece ritiene opposte le due cose, tenderà a ritenere il proprio vantaggio personale (il proprio successo) come il fine, e pertanto non potrà essere né un buon filosofo, né un buon politico.
Per quanto le considerazioni di Platone sulla retorica siano molto importanti, è unanimemente riconosciuto che la migliore trattazione complessiva di questa tematica, in epoca antica, è stata la Retorica di Aristotele. In questo testo lo Stagirita, fra le altre cose, pone in essere una corretta indicazione delle tre caratteristiche principali di cui deve disporre un buon retore, ossia un efficace comunicatore di contenuti (contenuti che anche per Aristotele, come per Platone, devono essere contenuti veri e buoni per qualificare realmente il retore, nella fattispecie, come filosofo o come politico, e non semplicemente come retore). Queste caratteristiche sono essenzialmente tre, e sono state dalla tradizione sintetizzate con le parole logos, pathos ed ethos.

In estrema sintesi, con il termine logos si intende la capacità, in chi effettua discorsi, di comunicare in maniera logica, razionale, ordinata; sembra una ovvietà, ma purtroppo né tra i filosofi (anche accademici), né fra i politici (anche parlamentari), essa può essere data per scontata.

Con il termine pathos si intende solitamente la capacità, in chi effettua discorsi, di comunicare tenendo conto dello stato d’animo di chi ascolta, che può essere caratterizzato da emozioni quali paura, rabbia, o altre. Diffusi sono ad esempio, nel nostro tempo, sentimenti di paura per le condizioni occupazionali, o di rabbia verso la delinquenza. Forze politiche con pochi scrupoli, prive di una adeguata analisi delle reali cause di questi fenomeni (che possono essere comprese solo avendo presenti le strutture costitutive della totalità sociale), hanno costruito fortune elettorali cavalcando l’onda di questi sentimenti. Aristotele, nella Retorica, consigliava a chiunque debba effettuare discorsi in pubblico di considerare lo stato d’animo dell’uditorio; non, certo, per sostenere la tesi più adatta a ricevere consenso – questa la cattiva retorica, che criticava –, ma semplicemente per esporre la propria tesi nella maniera più efficace. E’ evidente infatti che un uditorio giudica differentemente le medesime questioni, se si trova in stati d’animo differenti.

Con il termine ethos si intende invece la capacità, in chi effettua discorsi, di apparire credibile, di solito assicurata dal possesso di alcune qualità, quali la saggezza, l’onestà, e più in generale la benevolenza. Aristotele non si sofferma molto sulla differenza fra apparire ed essere benevolo; il suo approccio non sofistico gli fa infatti ritenere che, nel tempo, può apparire benevolo soltanto chi lo è veramente (ossia, come detto, chi davvero conosce il bene e tende, nelle singole questioni, a realizzarlo). L’ethos, nota Aristotele, è il punto dolente su cui cadono spesso anche i retori più persuasivi, se appunto non sono benevoli. E’ relativamente facile, infatti, svolgere discorsi coerenti, ed anche solleticare i sentimenti più diffusi nella opinione pubblica. Non è invece facile essere una persona autentica, ossia una di quelle persone per le quali le cose che si dicono coincidono con le cose che si fanno. Per fare questo, infatti, occorre per Aristotele non solo avere una buona natura, ma anche aver coltivato questa natura fin dalla giovinezza, con buone abitudini (che si devono soprattutto ai genitori) e con una buona educazione (che si deve soprattutto alla scuola).
Pensiamo ad un politico. Egli può essere un abilissimo comunicatore – ossia, oggi, essere abilissimo ad utilizzare slogan: le tecniche della retorica politica sono purtroppo oramai simili a quelle del marketing commerciale –, ed al contempo un abilissimo conoscitore dei sentimenti delle masse. Può pertanto, mediaticamente, presentarsi ad esempio come un uomo nuovo, come un rottamatore di privilegi, come una persona disinteressata al potere. Se però, sempre per parlare in generale, gli capita di governare per un certo numero di anni realizzando poco o nulla di ciò che ha promesso; o, ancora, se lega l’esito del proprio destino politico ad una particolare riforma affermando che lascerà la politica nel caso essa venga rifiutata dai cittadini, e poi, nonostante l’insuccesso, non lo fa, ebbene, a questa persona viene appunto a mancare la credibilità, ossia l’ethos. Ethos significa infatti “comportamento, carattere”, ed è evidente che una persona che non fa quello che dice, è una persona inaffidabile: se non ha lasciato la politica dopo averlo affermato; se non ha eliminato i privilegi quando lo poteva fare, perché gli si dovrebbe credere quando afferma che la prossima volta lo farà? Aristotele sosteneva che quando il fine di un politico è realmente quello di favorire il bene della polis, quindi il bene dei suoi cittadini, per prima cosa non dovrebbe comportarsi da padrone (Politica, 1325 a 27-28), ossia non dovrebbe essere troppo legato al potere.
Quanto affermato per il politico vale, mutatis mutandis, anche per il filosofo. Risulta infatti credibile, a lungo andare, solo quel filosofo di cui si sa che si comporta, nella vita, in maniera conforme a quello che argomenta essere il giusto modo di vivere. Questo vale sia per i filosofi che hanno incarichi accademici, sia per quelli che non li hanno; per i primi, però, ciò deve valere in misura maggiore, poiché costoro hanno, verso i giovani studenti, il dovere di essere un esempio.
Quanto affermato, in ogni caso, vale davvero per tutti, e nessuno può sentirsi escluso; nemmeno, credo, l’attuale Pontefice, dal quale, dopo oltre quattro anni di un pontificato presentatosi all’insegna della lotta alla povertà ed ai privilegi delle gerarchie ecclesiastiche, ci si aspetterebbe forse qualche atto concreto di maggiore rilevanza, considerando da un lato le enormi risorse di cui dispone il Vaticano, e dall’altro la gravità dei problemi umanitari in essere.
Nessuno comunque, dicevo, può sentirsi escluso da questa riflessione: si è davvero credibili, infatti, solo se si è realmente benevoli, e se ci si comporta in maniera coerente con quanto si afferma. Ciascun genitore, del resto, sa bene che il proprio insegnamento può realmente passare ai figli, solo se autenticamente sentito e posto in essere in prima persona.

Luca Grecchi



Intervista di Domenico Segna

a Luca Grecchi

su l’umanesimo nel medioevo e nel rinascimento

 

La ricerca che contraddistingue da anni l’attività filosofica di Luca Grecchi è quella di ri-trovare l’«umanesimo» sia nella filosofia greca sia in quel periodo che va dal IV al XV secolo. L’«umanesimo» è stato declinato in diversi modi: che cosa intende con questo termine?

Con il termine “umanesimo” intendo la cura dell’uomo rispettosa del cosmo: cura della propria e altrui umanità, e insieme rispetto attivo verso la natura e verso tutto ciò che di socialmente e tecnicamente buono l’uomo ha prodotto: il bene, per l’uomo, si compone di rispetto e cura verso ciò che si conforma alla natura umana e alla natura in genere, che consente la vita umana. Il termine “umanesimo”, come tutti i termini che hanno una lunga tradizione filosofica, si declina in diversi modi. Nei miei libri, ho parlato di umanesimo dell’antica filosofia cinese, indiana, islamica, greca (e in essa di umanesimo di Omero, dei presocratici, di Platone, di Aristotele, di Plotino): è evidente che ciascuno di questi umanesimi si declina in modo differente. Tuttavia, mentre nelle culture antiche, fino appunto al Medioevo, ho visto in essere in maniera prevalente la cura dell’uomo rispettosa del cosmo, nel Rinascimento si iniziano fortemente a vedere le caratteristiche antiumanistiche della modernità, ossia lo scarso rispetto sia per l’uomo sia per la natura, che assumeranno poi pienamente, nel modo di produzione capitalistico, il ruolo di merce, strumenti del profitto, che è il fine principale del sistema.

Nei due volumi lei ribalta un’interpretazione, da tempo consolidata, che vede il Medioevo come epoca di «oscurità dogmatica» a cui si contrappone lo «splendore umanistico» del Rinascimento: centrale in questo rovesciamento è la dimensione anticrematistica che, di fatto, fa da tessuto connettivo alla sua elaborazione filosofica.

La mia interpretazione, per alcuni aspetti, non è nuovissima, nel senso che i pensatori cristiani, da decenni, sostengono il grande valore teoretico e umanistico della Patristica e della Scolastica medievali, nelle loro varie forme; alcuni si sono perfino spinti – soprattutto nella prima metà del Novecento: da tempo gli storici della filosofia sono diventati tutti “specialisti”, dunque non giudicano più – alla critica radicale dell’individualismo filo-crematistico (amante, cioè, delle cose, in greco chremata, e, per estensione, delle merci, del denaro) rinascimentale. A differenza però dell’interpretazione cristiana, la mia rivalutazione del Medioevo non è basata sulla sua fedeltà alla Rivelazione; il fatto di aderire a un dogma, quale che esso sia – per quanto nobile come il messaggio cristiano –, è in effetti l’approccio meno filosofico che esista. Quale libertà di ricerca vi può essere in un pensiero in cui il risultato finale deve sempre essere compatibile col presupposto di partenza? Per questo motivo ho preferito parlare, per queste due epoche storiche, di cultura, e non di filosofia. Per il Medioevo però ribadisco che, in linea generale, si tratta di un umanesimo; per il Rinascimento invece, al di là della decaffeinata ripresa formale della Grecità classica (che era comunitarista ed anti-crematistica, temi su cui il Rinascimento fu assai poco sensibile), si può in diversi casi parlare addirittura di un antiumanesimo. Il senso della parola “umanesimo” presente nei titoli dei miei due volumi, dunque, rimane lo stesso, ma le due epoche sono, nella loro struttura sociale e culturale, molto differenti.

Nel saggio dedicato all’età medievale vengono, in particolar modo, presi in considerazione due filosofi: Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia, entrambi considerati dello stesso livello di s. Tommaso d’Aquino. Perché questa rivalutazione?

 

Non è tanto una questione di livello. Di questi autori abbiamo rinvenuto pochissimo, mentre di san Tommaso abbiamo moltissimo, sicché in questo senso è difficile fare un confronto autentico. Tuttavia, rivaluto questi autori per due motivi: uno – diciamo così – “soggettivo”, e l’altro “oggettivo”. Il motivo soggettivo è che erano due aristotelici, in un’epoca in cui riprendendo certe tematiche fisiche e metafisiche di Aristotele, in università si correvano gravi rischi, non solo per l’incarico accademico, ma per la stessa vita. Le gerarchie ecclesiastiche, nel XIII secolo, hanno censurato e in vario modo oscurato questi e molti altri studiosi, e ciò – da aristotelico che insegna in università più o meno le loro stesse cose – me li rende molto vicini. Il motivo oggettivo è invece che, rispetto a Tommaso (filosofo che pure apprezzo, e che anche lui, post mortem, subì gli strali della censura ecclesiastica), ma soprattutto rispetto ad altri più mistici o dogmatici commentatori, mi pare che costoro abbiano fatto lo sforzo maggiore per fare davvero filosofia, svincolandosi teoreticamente, per quanto allora possibile, dalla Rivelazione. Il pensiero di Aristotele costituiva, in quell’epoca (e a mio avviso anche ora), il riferimento dialettico migliore per fare realmente filosofia.

Nel volume sul Rinascimento si evidenzia il dibattito storiografico fra chi, come Eugenio Garin, propugna una rottura tra le due età trattate, e chi all’opposto, come Kristeller, una continuità fra di esse. Qual è la sua visione?

 

Come accennavo, pur consapevole della sua massiccia ripresa della classicità, specie platonica, interpreto il Rinascimento soprattutto come la prima porta girevole verso la modernità capitalistica: il mecenatismo, l’estetismo, l’individualismo, la filo-crematistica (tutti contenuti che riprendo nel mio volume), mi conducono in questa direzione. Una direzione critica non molto di moda, perché ancor oggi la parola “Rinascimento” è associata a cose positive, e la parola “Medioevo” a cose negative.

Nella crisi attuale che sconvolge la civiltà occidentale come inserisce il suo ritorno alla metafisica, specificatamente a una metafisica umanistica in cui centrale è il recupero di Aristotele?

La metafisica, in quanto struttura sistematica della verità dell’essere, come tale non dovrebbe essere sensibile al tempo storico. In ogni caso la metafisica umanistica, ossia la proposta teoretica che sto da anni elaborando (sulla quale è appena uscito il mio Compendio di metafisica umanistica, pubblicato da Petite Plaisance), è a mio avviso soprattutto oggi importante perché nell’epoca più antiumanistica e filo-crematistica che sia mai esistita, un’epoca caratterizzata da un modo di produzione sociale che sta avvelenando e ponendo a rischio la stessa vita sul pianeta, essa si pone come una struttura teoretica umanistica e anti-crematistica: una filosofia, insomma, che ricerca con verità il bene, e che tenta di vederlo realizzato, sia sul piano individuale sia sul piano sociale.

Intervista a cura di Domenico Segna e pubblicata sulla rivista “Il Regno”, Anno LXII, n. 1256m 15 aprile 2017, p. 228.

 

Intervista di Domenico Segna

a Luca Grecchi

su l’umanesimo nel medioevo e nel rinascimento

 

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Compendio di metafisica umanistica

indicepresentazioneautoresintesi

«L’anima è, in certo modo, tutte le cose».
Aristotele, De anima, 431 b 21

Pubblico in questa sede il testo, lievemente modificato, della relazione da me tenuta, il giorno 1 dicembre 2016, all’Università degli studi di Macerata, all’interno del convegno intitolato Sistema, sistematico, asistematico. Chiarimenti per un concetto ambiguo, organizzato dai professori Arianna Fermani e Maurizio Migliori. Si tratta della sintesi di ciò che in questi anni ho definito più volte “metafisica umanistica”, struttura teoretica che costituisce l’oggetto di un libro che annunciai già nel 2003, ma che sono continuamente costretto a rimandare per il problema, ben noto a chi fa ricerca, che più si studia e più si comprende di essere ignoranti (ossia che mancano ancora – ad oggi: spero non per sempre – alcuni necessari elementi per poter costituire compiutamente il discorso). In ogni caso, poiché diversi amici mi hanno da tempo richiesto di esporre quanto meno una sintesi della metafisica umanistica, ossia di quella che ritengo essere la struttura sistematica meglio in grado di descrivere fondatamente la realtà sul piano onto-assiologico, ho colto l’occasione di questo convegno per effettuarne una esposizione, non sapendo ancora quanto tempo mi ci vorrà per concludere la sistematizzazione complessiva.

[…] Ritengo necessario affrontare il tema veritativo anche sul piano politico-sociale. Come può infatti la metafisica, il sapere dell’intero e del fondamento, trascurare quanto più caratterizza oggi l’intero (la crematistica impone ovunque le proprie modalità: non solo alla società, ma anche alla natura), e quanto più nega il fondamento (la natura razionale e morale dell’uomo)? Come detto, per essere coerente con il proprio carattere onto-assiologico, l’approccio veritativo della metafisica umanistica non può limitarsi a descrivere come le cose sono (sul piano sociale, descrivere il modo di produzione capitalistico), e nemmeno a valutare l’attuale stato di cose (valutarlo negativamente, come poc’anzi fatto). Deve fare di più, ossia deve dire come, almeno nelle sue linee generali, un modo di produzione sociale dovrebbe strutturarsi per essere conforme al fondamento onto-assiologico, ossia per realizzare le potenzialità razionali e morali presenti negli uomini, consentendo loro la felicità. Dato che la natura umana è determinata, ossia dotata di stabili caratteristiche costitutive (e non di qualsiasi caratteristica), è normale che essa possa realizzarsi solo in una totalità sociale determinata, ossia dotata di conformi caratteristiche (e non in qualsiasi totalità sociale): da qui la necessità anche teoretica della progettualità.

Luca Grecchi

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In copertina:
Paul Klee, Der Seiltänzer [Il funambolo], 1923.

Il funambolo di Klee cerca di trovare un nuovo equilibrio sospeso a mezz’aria su una corda tesa, nel suo essere uomo in uno spazio di-segnato in basso da strutture leggere, tra loro correlate in profondità, ma protese nella comune tensione verso l’alto. L’artista e il funambolo anelano ad un distacco smaterializzante, ma non perdono il contatto necessario e insieme vincolante con la realtà e con il mondo terreno, senza comunque soccombervi, e cercando invece di elevarsi alla compiuta umanità dell’esser uomo, proprio perché l’Uomo è l’unico ente in grado di pensare l’essere.


Due volumi

Novità Aprile 2016
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Umanesimo Cultura MedioevaleClicca qui sotto per aprire la scheda completa.

Luca Grecchi, L’umanesimo nella cultura medioevale (IV-XIII sec.)

Collana: DM Università
Formato: 17 x 24
Pagine: 220
Prezzo: 22,00
ISBN: 978-88-99126-72-8
Promozione: Bibliomanie
Distribuzione: PDE

In questa opera ò’autore studia analiticamente quelle forme della cultura medievale che possono essere chiamate “umanistiche”.
Lo stile chiaro e la ricchezza di informazioni, sempre presentate nella loro completezza, fa sì che il lettore possa seguire con chiarezza lo svolgersi dell’indagine proposta.
Sorrette da un apparato filologico rigoroso, le tesi esposte nel volume sono profondamente innovative per l’immagine che propongono della cultura medioevale.

INDICE

Introduzione

La crematistica nel Medioevo

L’anticrematistica nel Medioevo

La violenza nel Medioevo

Il concetto di Medioevo

I principali “luoghi comuni” sul Medioevo

Filosofia e sistematicità nel Medioevo

La Scolastica medievale

La condanna di Aristotele da parte della chiesa

Bonaventura da Bagnoregio

Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia

L’umanesimo della cultura medievale

L’attualità del Medioevo.

Appendice. Il pensiero filosofico-politico di Dante Alighieri

Bibliografia

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Umanesimo Cultura RinascimentaleClicca qui sotto per aprire la scheda completa.

Luca Grecchi, L’umanesimo nella cultura rinascimentale (XIII-XV sec.)

Collana: DM Università
Formato: 17 x 24
Pagine: 140
Prezzo: 18,00
ISBN: 978-88-99126-73-5
Promozione: Bibliomanie
Distribuzione: PDE

Questo libro prosegue l’indagine dell’altro volume mantenendo i medesimi caratteri di rigore e di chiarezza. Oggetto dell’indagine sono gli aspetti umanistici della cultura rinascimentale, indagati dalla prospettiva della loro continuità con gli analoghi aspetti della cultura medievale. I due libri sono dunque strettamente legati da un unico filo conduttore.

INDICE

Introduzione

La crematistica rinascimentale

La filocrematistica

Elitarismo ed individualismo

Il “neoellenismo” della cultura rinascimentale

L’elogio della vita attiva

La concezione “polimorfa” dell’uomo

La ripresa formale della cultura classica

Continuità e discontinuità fra cultura medievale e rinascimentale

Il Rinascimento verso la modernità

La filosofia nel Rinascimento

Il concetto di Rinascimento

Bibliografia


Dello stesso autore nel Blog di Petite Plaisance:

Luca Grecchi – Quando il più non è meglio. Pochi insegnamenti, ma buoni: avere chiari i fondamenti, ovvero quei contenuti culturali cardinali che faranno dei nostri giovani degli uomini, in grado di avere rispetto e cura di se stessi e del mondo.

Luca Grecchi – A cosa non servono le “riforme” di stampo renziano e qual è la vera riforma da realizzare

Luca Grecchi – Cosa direbbe oggi Aristotele a un elettore (deluso) del PD

Luca Grecchi – Platone e il piacere: la felicità nell’era del consumismo

Luca Grecchi – Un mondo migliore è possibile. Ma per immaginarlo ci vuole filosofia

Luca Grecchi – «L’umanesimo nella cultura medioevale» (IV-XIII secolo) e «L’umanesimo nella cultura rinascimentale» (XIV-XV secolo), Diogene Multimedia.

Luca Grecchi – Il mito del “fare esperienza”: sulla alternanza scuola-lavoro.

Luca Grecchi – In filosofia parlate o scrivete, purché tocchiate l’anima.

Luca Grecchi – L’assoluto di Platone? Sostituito dal mercato e dalle sue leggi.

Luca Grecchi – L’Italia che corre di Renzi, ed il «Motore immobile» di Aristotele

Luca Grecchi – La natura politica della filosofia, tra verità e felicità

Luca Grecchi – Socrate in Tv. Quando il “sapere di non sapere” diventa un alibi per il disimpegno

Luca Grecchi – Scienza, religione (e filosofia) alle scuole elementari.

Luca Grecchi – La virtù è nell’esempio, non nelle parole. Chi ha contenuti filosofici importanti da trasmettere, che potrebbero favorire la realizzazione di buoni progetti comunitari, li rende credibili solo vivendo coerentemente in modo conforme a quei contenuti: ogni scissione tra il “detto” e il “vissuto” pregiudica l’affidabilità della comunicazione e non contribuisce in nulla alla persuasione.

Luca Grecchi – Aristotele: la rivoluzione è nel progetto. La «critica» rinvia alla «decisione» di delineare un progetto di modo di produzione alternativo. Se non conosciamo il fine da raggiungere, dove tiriamo la freccia, ossia dove orientiamo le nostre energie, come organizziamo i nostri strumenti?

Luca Grecchi – Sulla progettualità

Luca Grecchi – Perché la progettualità?

Luca GrecchiAristotele, la democrazia e la riforma costituzionale.

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Luca Grecchi

Luca Grecchi (1972), direttore della rivista di filosofia Koinè e della collana di studi filosofici Il giogo presso la casa editrice Petite Plaisance di Pistoia, insegna Storia della Filosofia presso la Università degli Studi di Milano Bicocca. Da alcuni anni sta strutturando un sistema onto-assiologico definito “metafisica umanistica”, che vorrebbe costituire una sintesi della struttura sistematica della verità dell’essere. Esso rappresenta, nella sua opera, la base teoretica di riferimento sia per la fondazione di una progettualità sociale anticrematistica, sia per la interpretazione dei principali pensieri filosofici. Grecchi è soprattutto autore di una ampia interpretazione umanistica dell’antico pensiero greco, nonché di alcuni studi monografici su filosofi moderni e contemporanei, e di libri tematici su importanti argomenti (la metafisica, la felicità, il bene, la morte, l’Occidente). Collabora con la rivista on line Diogene Magazine e con il quotidiano on line Sicilia Journal. Ha pubblicato libri-dialogo con alcuni fra i maggiori filosofi italiani, quali Enrico Berti, Umberto Galimberti, Costanzo Preve, Carmelo Vigna.

Libri di Luca Grecchi

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L’anima umana come fondamento della verità (2002) è il primo libro di Grecchi, che pone, in maniera stilizzata, il sistema metafisico umanistico su cui sono poi strutturati i suoi libri successivi. La tesi centrale di questo libro è appunto che l’anima umana, intesa come la natura razionale e morale dell’uomo, è il fondamento onto-assiologico della verità dell’essere. Questo sistema metafisico costituisce la base per una analisi critica della attuale totalità sociale, e per una progettualità comunitaria finalizzata alla realizzazione di un modo di produzione sociale conforme alle esigenze della natura umana. (Invito alla lettura: Scarica alcune pagine del libro)

Karl Marx nel sentiero della verità (2003) costituisce una interpretazione metafisico-umanistica del pensiero di Marx, che viene analizzato nei suoi nodi essenziali, spesso in aperta critica con la secolare tradizione marxista. Nato originariamente come elaborazione degli studi di economia politica dell’autore compiuti negli anni novanta del Novecento, il testo assume carattere filosofico-politico. Marx è analizzato come il pensatore moderno che, rifacendosi implicitamente al pensiero greco, realizza la migliore critica al modo di produzione capitalistico, pur non elaborando – per carenza di fondazione filosofica – un adeguato discorso progettuale.

Verità e dialettica. La dialettica di Hegel e la teoria di Marx costituisce in un certo senso una integrazione del precedente Karl Marx nel sentiero della verità. Il testo effettua una sintesi originale, appunto, sia della dialettica di Hegel che della teoria di Marx. Pur riconoscendo l’influenza del pensiero di Hegel nelle opere del Marx maturo, Grecchi propone la tesi che il pensiero di Marx, strutturatosi nei suoi punti cardinali prima del suo studio attento ed approfondito della Scienza della Logica, sia nella sua essenza non dialettico. Una versione sintetica di questo libro è stata pubblicata sulla rivista Il Protagora nel 2007.

La verità umana nel pensiero religioso di Sergio Quinzio (2004) con introduzione di Franco Toscani, è una sintesi monografica sul pensiero del grande teologo scomparso nel 1996. Il testo presenta al proprio interno una analisi del pensiero ebraico e cristiano, unita ad una rilettura poetica ed umanistica del testo biblico. Il tema centrale è quello della morte, e della speranza nella resurrezione su cui Quinzio ripetutamente riflette, e che vede continuamente delusa. Al di là dei riferimenti religiosi, la riflessione del teologo si presta ad una profonda considerazione sulla fragilità della vita umana.

Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino (2005) con introduzione di Alberto Giovanni Biuso, è una sintesi monografica sul pensiero del grande filosofo italiano. Il testo presenta al proprio interno una analisi critica del nucleo essenziale della ontologia di Severino e delle sue analisi storico-filosofiche e politiche. Esiste uno scambio di lettere fra Severino e Grecchi in cui il filosofo bresciano mostra la sua netta contrarietà alla interpretazione ricevuta. Il testo, tuttavia, è segnalato nella Enciclopedia filosofica Bompiani come uno dei libri di riferimento per la interpretazione del pensiero severiniano.

Il necessario fondamento umanistico della metafisica (2005) è un breve saggio in cui, prendendo come riferimento la metafisica classica (ed in particolare le posizioni di Carmelo Vigna), l’autore critica la centralità dell’approccio logico-fenomenologico rispetto al tema della verità, ritenendo necessario anche l’approccio onto-assiologico. Per Grecchi infatti la verità consiste non solo nella descrizione corretta di come la realtà è, ma anche di come essa – la parte che può modificarsi – deve essere per conformarsi alla natura umana. Si tratta del primo confronto esplicito fra la proposta di Grecchi della metafisica umanistica e la metafisica classica di matrice aristotelico-tomista.

Filosofia e biografia (2005) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Umberto Galimberti. Nel testo si ripercorre il pensiero galimbertiano nei suoi contenuti essenziali, ma si pone in essere anche una serrata analisi di molti temi filosofici, politici e sociali, in cui spesso emerge una sostanziale differenza di posizioni fra i due autori. Di particolare interesse le pagine dedicate al pensiero simbolico, all’analisi della società, ed alla interpretazione dell’opera di Emanuele Severino. Percorre il testo la tesi per cui la genesi di un pensiero filosofico deve necessariamente essere indagata, per giungere alla piena comprensione dell’opera di un autore.

Il pensiero filosofico di Umberto Galimberti (2005), con introduzione di Carmelo Vigna, è un testo monografico completo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo. Si tratta di un testo in cui Grecchi, sintetizzando la complessa opera di questo autore, prende al contempo posizione non solo nei confronti della medesima, ma anche di filosofi quali Nietzsche, Heidegger, Jaspers, che nel pensiero di Galimberti costituiscono riferimento imprescindibili. Vigna, nella sua introduzione, ha definito il libro «una ricostruzione seria ed attendibile del pensiero del filosofo» in esame.

Conoscenza della felicità (2005), con introduzione di Mario Vegetti, è uno dei testi principali di Grecchi, in cui l’autore applica il proprio approccio classico umanistico alla società attuale, mostrando come essa si ponga in radicale opposizione alle possibilità di felicità. L’autore, seguendo la matrice onto-assiologica del pensiero greco, mostra che solo conoscendo che cosa è l’uomo risulta possibile conoscere cosa è la felicità. Scrive Vegetti, nel testo, che Grecchi è «pensatore a suo modo classico», per il suo «andar diritto verso il cuore dei problemi». Il libro è assunto come riferimento bibliografico, per il tema in oggetto, dalla Enciclopedia filosofica Bompiani. .

Marx e gli antichi Greci (2006) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Costanzo Preve. Nel testo viene effettuata una analisi non tanto filologica, quanto ermeneutica e teoretica dei rapporti del pensiero di Marx col pensiero greco. I due autori, concordando su molti punti, colmano così in parte una lacuna della pubblicistica su questo tema, che risulta essere stato nel tempo assai poco indagato. Di particolare interesse l’analisi effettuata dai due autori di quale potrebbe essere, sulla base insieme del pensiero dei Greci e di Marx, il miglior modo di produzione sociale alternativo rispetto a quello attuale. (Invito alla lettura: Scarica alcune pagine del libro)

Vivere o morire. Dialogo sul senso dell’esistenza fra Platone e Nietzsche (2006), con introduzione di Enrico Berti, è un saggio composto ponendo in ideale dialogo Platone e Nietzsche su importanti temi filosofici, politico e morali: l’amore, la morte, la metafisica, la vita ed altro ancora. Scrive Berti, nella sua introduzione, che, come accadeva nel genere letterario antico dell’invenzione, Grecchi non nasconde lo scopo “politico” della sua opera, la quale «risulta essere innanzitutto un documento significativo di amore per la filosofia e di vitalità di quest’ultima, in un momento in cui l’epoca della filosofia sembrava conclusa».  

Il filosofo e la politica. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la vita politica (2006) è una ricostruzione del pensiero filosofico-politico di Platone effettuata in un continuo confronto con le vicende della attualità. In questo libro Grecchi pone esplicitamente Platone, in maniera insieme divulgativa ed originale, come proprio pensatore di riferimento. Il filosofo ateniese infatti, a suo avviso, pur scrivendo molti secoli or sono, rimane tuttora colui che ha offerto le migliori analisi, e le migliori soluzioni, per pensare una migliore totalità sociale, ossia un ambiente comunitario adatto alla buona vita dell’uomo.

La filosofia politica di Eschilo. Il pensiero “filosofico-politico” del più grande tragediografo greco (2007) costituisce una interpretazione, in chiave appunto filosofico-politica, dell’opera di Eschilo. Lo scopo principale di questo libro è quello di “togliere” Eschilo dallo specialismo degli studi poetico-letterari, per inserirlo – come si dovrebbe fare per tutti i tragici greci – nell’ambito del pensiero filosofico-politico. Nel testo viene presa in carico l’analisi precedentemente svolta da Emanuele Severino ne Il giogo (1988), ritenendone validi molti aspetti ma giungendo, alla fine, a conclusioni opposte circa il presunto “nichilismo” di Eschilo.

Il presente della filosofia italiana (2007) è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i più importanti filosofi italiani contemporanei pubblicati dopo il 2000. Gli autori analizzati vengono ripartiti in quattro categorie: 1) pensatori “ermeneutici-simbolici” (Sini, Vattimo, Cacciari, Natoli); 2) pensatori “scientifici-razionalisti” (Tarca, Antiseri, Giorello); 3) pensatori “marxisti-radicali” (Preve, Losurdo); 4) pensatori “metafisici-teologici” (Reale). Il testo è arricchito da due appendici e da una ampia postfazione di Costanzo Preve. In questi testi Grecchi oppone criticamente, ai vari approcci, il proprio discorso metafisico-umanistico.

Corrispondenze di metafisica umanistica (2007) è una raccolta di testi in cui sono contenuti scambi epistolari, nonché risposte di Grecchi ad introduzioni e recensioni di suoi libri. Il testo rispecchia la tendenza dell’autore a prendere sempre seriamente in carico le altrui posizioni; secondo Grecchi, infatti, di fronte a critiche intelligenti, sono solo due gli atteggiamenti filosofici possibili: o fornire argomentate risposte, o prendere atto della correttezza delle critiche e rivedere le proprie posizioni. Il tema caratterizzante il testo è dunque la “lotta amichevole” per la emersione della verità.

L’umanesimo della antica filosofia greca (2007) è un libro in cui Grecchi effettua, in sintesi, la propria interpretazione complessiva della Grecità. Partendo da Omero, e giungendo fino al pensiero ellenistico, l’autore mostra come non la natura, né il divino, né l’essere furono i temi principali del pensiero greco, bensì l’uomo, soprattutto nella sua dimensione politico-sociale. L’uomo infatti assume centralità, in vario modo, in tutti i vari filoni culturali della Grecità, dal pensiero omerico a quello presocratico, dal teatro fino all’ellenismo.

L’umanesimo di Platone (2007) è un testo monografico sul pensiero di Platone, da Grecchi in quegli anni ritenuto come il più rappresentativo della Grecità. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse interpretazioni finora effettuate del pensiero platonico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Platone la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la centralità della posizione anti-crematistica, all’interno di una considerazione progettuale e della totalità sociale.

L’umanesimo di Aristotele (2008) è un testo monografico sul pensiero di Aristotele, che sarà poi da Grecchi ripreso negli anni successivi come struttura teoretica di riferimento. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse tematiche del pensiero aristotelico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Aristotele – così come in Platone, ma in forma differente – la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la centralità della posizione anti-crematistica, all’interno di una considerazione progettuale della totalità sociale.

Chi fu il primo filosofo? E dunque: cos’è la filosofia? (2008), con introduzione di Giovanni Casertano, è un libro suddiviso in due parti. Nella prima parte, prendendo come riferimento alcuni fra i principali manuali di storia della filosofia italiani, Grecchi mostra come essi spesso non definiscano l’oggetto del loro studio, ossia la filosofia, dichiarandola talvolta addirittura indefinibile. L’autore, invece, offre in questo libro la propria definizione di filosofia come caratterizzata da due contenuti imprescindibili: a) la centralità dell’uomo; b) la ricerca, il più possibile fondata ed argomentata, della verità dell’intero. Nella seconda parte l’autore esamina dieci possibilità alternative su “chi fu il primo filosofo”, giungendo a concludere che, pur all’interno del contesto comunitario della riflessione greca, il candidato più accreditato risulta essere Socrate.

Socrate. Discorso su Le Nuvole di Aristofane (2008) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore Guida, di un discorso che avrebbe potuto essere tenuto da Socrate ad Atene l’indomani della rappresentazione della famosa commedia di Aristofane. Si tratta, come è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero socratico. Tale interpretazione risulta convergente con quelle offerte, nella medesima collana, da Mario Vegetti su Platone e da Enrico Berti su Aristotele.

Occidente: radici, essenza, futuro (2009), con introduzione di Diego Fusaro, è un testo in cui l’autore analizza il concetto di Occidente e le sue tradizioni culturali costitutive, sempre in base al proprio sistema metafisico-umanistico. Analizzando le radici greche, ebraiche, cristiane, romane e moderne, ma soprattutto l’attuale contesto storico-sociale, Grecchi coglie nella prevaricazione derivante dalla smodata ricerca crematistica l’essenza dell’Occidente, ed individua per lo stesso un futuro cupo. Il testo è arricchito dal dialogo con Fusaro, alla cui introduzione Grecchi risponde in una appendice finale.

Il filosofo e la vita. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la buona vita (2009), è una raccolta di brevi saggi in cui l’autore, prendendo spunto da alcuni passi del pensiero platonico, e più in generale del pensiero greco classico, affronta sinteticamente alcune tematiche centrali per la vita umana (l’amore, la famiglia, la filosofia, la storia, le leggi, la democrazia, l’educazione, l’università, la mafia, la libertà, ecc.), col consueto approccio attualizzante, ovvero facendo interagire – nel rispetto del contesto storico-sociale dell’epoca in cui tale pensiero nacque – il pensiero platonico col nostro tempo. Il libro è arricchito da un lungo saggio finale di Costanzo Preve, intitolato “Luca Grecchi interprete dei filosofi classici Greci” (con risposta), in cui il filosofo torinese sintetizza le posizioni dell’autore.

L’umanesimo della antica filosofia cinese (2009) costituisce il primo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale (l’unica nel nostro paese effettuata da un solo autore). Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero cinese risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia cinese, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero cinese.

L’umanesimo della antica filosofia indiana (2009) costituisce il secondo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero indiano risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia indiana, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero indiano.

L’umanesimo della antica filosofia islamica (2009) costituisce il terzo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero islamico risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia islamica, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero islamico.

A partire dai filosofi antichi (2010), con introduzione di Carmelo Vigna, è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Enrico Berti. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, apportando interpretazioni originali non soltanto – anche se soprattutto – dei principali filosofi antichi, ma anche di quelli moderni e contemporanei. Non mancano inoltre considerazioni su temi di attualità, nonché su temi di interesse generale, quali l’educazione, la scuola e la politica. Scrive Vigna, nella introduzione, che «questo testo è tra le cose più interessanti che si possano leggere oggi nel panorama della filosofia italiana».

L’umanesimo di Plotino (2010) è un libro in cui l’autore colma una distanza temporale fra il periodo classico ed il periodo ellenistico della Roma imperiale. Il testo si divide in due parti. Nella prima, in ossequio alla tesi per cui ogni pensiero filosofico deve essere inserito all’interno del proprio contesto storico-sociale (anche in quanto è all’interno del medesimo che esso spesso “deduce” le proprie categorie), l’autore realizza una analisi del modo di produzione sociale greco e di quello romano, per tracciare alcune differenze importanti fra l’epoca classica e l’epoca ellenistica. Nella seconda parte, che è la più ampia, è invece analizzato, in base alle dieci tematiche ritenute centrali, il pensiero di Plotino.

Perché non possiamo non dirci Greci (2010) è un libro in cui l’autore sintetizza, in termini divulgativi, le proprie posizioni generali sui Greci. Il testo prende spunto dalla rilettura, in controluce, del classico di Benedetto Croce intitolato Perché non possiamo non dirci cristiani, per mostrare non solo come le radici greche siano almeno altrettanto importanti di quelle cristiane per la cultura europea, ma soprattutto che una loro ripresa sarebbe fortemente auspicabile. Il testo è completato da una ampia appendice inedita che costituisce una analisi critica del pensiero ellenistico (in rapporto a quello classico) incentrata sulle opere di Epicuro e di Luciano di Samosata.

La filosofia della storia nella Grecia classica (2010) è il testo ermeneutico forse più originale di Grecchi. Alla cultura greca si attribuisce infatti, solitamente, la nascita dei tronchi di pressoché tutte le discipline filosofiche e scientifiche tuttora studiate nella modernità (con varie ramificazioni). Tradizionalmente, tuttavia, la filosofia della storia è ritenuta essere disciplina moderna, senza precedenti antichi. Analizzando l’opera di storici, letterati e filosofi dell’epoca preclassica e classica, l’autore mostra invece le radici antiche anche di questo campo di studi, contribuendo ad un chiarimento teoretico della disciplina stessa.

Sulla verità e sul bene (2011), con introduzione di Enrico Berti e postfazione di Costanzo Preve, è un libro-dialogo con uno dei maggiori filosofi italiani, Carmelo Vigna. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, insieme agli importanti temi teoretici ed etici che danno il titolo al volume. Scrive Berti, nella introduzione, che si tratta di «una serie di discussioni oltremodo interessanti tra due filosofi che sono divisi da due diverse, anzi opposte, concezioni della metafisica, ma sono accomunati dalla considerazione per la filosofia classica e soprattutto da un grande amore per la filosofia in sé stessa».

Gli stranieri nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore, prendendo distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano gli antichi Greci come vicini alla xenofobia, mostra che, sin dall’epoca omerica, essi furono invece aperti all’ospitalità verso gli stranieri. Preceduto da una analisi anti-ideologica delle categorie di “razza”, “etnia”, “multiculturalismo” ed altre, Grecchi rimarca come sia stato centrale, nel pensiero greco classico, il concetto di “natura umana”, il quale possiede basi teoretiche salde ed una costante presenza nella riflessione greca, che l’autore appunto caratterizza come “umanistica”.

Diritto e proprietà nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore prende in carico i temi poco indagati del diritto e della proprietà nella antica Grecia. Si tratta di temi molto importanti per comprendere il contesto storico-sociale in cui nacque la cultura greca, e che pertanto non possono essere ignorati da chi studia la filosofia di questo periodo. Il testo sviluppa inoltre un confronto con il diritto romano – che si rivela assai meno comunitario di quello greco – e con il nostro tempo, per mostrare come la cultura greca possieda, anche sul piano giuridico, contenuti che sarebbero tuttora importanti da applicare.

L’umanesimo di Omero (2012) è un libro in cui l’autore effettua una analisi teoretica ed etica del pensiero omerico, inserendo l’antico poeta nel novero del pensiero filosofico, rompendo il tradizionale isolamento nel campo letterario che da secoli caratterizza questo autore. Grecchi insiste in particolare sul carattere di educazione filosofica dei poemi omerici, mostrando come essi abbozzino temi ontologici e soprattutto assiologici poi elaborati dalla intera riflessione classica. Il testo si distingue per il continuo aggancio dei miti omerici alla contemporaneità.

L’umanesimo politico dei “Presocratici” (2012) è un libro in cui l’autore, centralizzando il carattere politico-sociale del loro pensiero, prende distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano questi pensatori come “naturalisti”, e che li separano sia dalla poesia e dal teatro precedenti, sia dalla filosofia e dalla scienza successive. L’autore, facendo riferimento agli studi di Mondolfo, Capizzi, Bontempelli e soprattutto Preve, mostra il nesso di continuità del pensiero presocratico con l’intero pensiero greco classico. Risultano centrali, in questa trattazione, le figure di Solone e Clistene, oltre a quelle più consuete di Eraclito, Parmenide e Pitagora.

Il presente della filosofia nel mondo (2012), con postfazione di Giacomo Pezzano, è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i maggiori filosofi contemporanei non italiani (fra gli altri Bauman, Habermas, Hobsbawm, Latouche, Nussbaum, Onfray, Zizek). Nella introduzione si rileva, come caratteristica principale della filosofia del nostro tempo, la presenza in solidarietà antitetico-polare di una corrente scientifico-razionalistica ed, al contempo, di una corrente aurorale-simbolica. Esse occupano il centro della scena escludendo dal “campo di gioco” la filosofia onto-assiologica di matrice classica, presente oramai solo in un numero limitato di studiosi.

Il pensiero filosofico di Enrico Berti (2013), con presentazione di Carmelo Vigna e postfazione di Enrico Berti, è un testo monografico introduttivo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo, uno dei maggiori studiosi mondiali del pensiero di Aristotele. Rapportandosi a tematiche quali l’interpretazione degli antichi, la storia della filosofia, l’educazione, l’etica, la politica, la metafisica, la religione, Grecchi non si limita a descrivere il pensiero dell’autore considerato ma, come è nel suo approccio, valuta; in maniera solitamente concorde, eppure talvolta anche critica, in particolare nella opposizione fra metafisica classica e metafisica umanistica.

Il necessario fondamento umanistico del “comunismo” (2013) è un libro scritto a quattro mani con Carmine Fiorillo, in cui gli autori mostrano come la diffusa critica (marxista e non) al modo di produzione capitalistico, priva di una fondata progettualità, risulti sterile ed inefficace. Assumendo come base principalmente il pensiero greco classico (ma anche le componenti umanistiche di altri orizzonti culturali), gli autori mostrano che solo mediante una solida fondazione filosofica è possibile favorire la progettualità di un ideale modo di produzione sociale in cui vivere, che gli autori appunto definiscono – ma differenziandosi fortemente dalla tradizione marxista – “comunismo”.

Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia (2013) è un pamphlet in cui si mostra che le attuali modalità accademiche di insegnamento della filosofia, incentrate sullo specialismo, non ripropongono più il modello greco classico della filosofia come ricerca fondata ed argomentata della verità onto-assiologica dell’intero, che Grecchi assume invece ancora come centrale. L’autore mostra come la causa principale di questa situazione sia attribuibile ai processi socio-culturali del modo di produzione capitalistico.

La musa metafisica. Lettere su filosofia e università (2013), con Giovanni Stelli, costituisce uno scambio epistolare nato dal commento di Stelli al pamphlet Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia. A partire da questo tema lo scambio ha assunto una rilevanza ed una ampiezza tale, estendendosi a contenuti storici, culturali e politici, da renderne di qualche utilità la pubblicazione. In esso Grecchi anticipa alcuni temi portanti del suo testo che sarà intitolato Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere, cui sta lavorando dal 2003.

Discorsi di filosofia antica (2014) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sull’uomo nella cultura greca, da Omero all’ellenismo, tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2013. Esso accoglie inoltre i testi di alcune conferenze sul pensiero antico svolte dall’autore nel 2013 e 2014, ed in particolare, in appendice, un saggio inedito sulla alienazione nella antica Grecia. Quest’ultimo è un tema poco indagato in quanto mancano, alla mentalità filologica – poco teoretica – tipica del mondo accademico di oggi, i necessari riferimenti testuali (i Greci non avevano nemmeno la parola “alienazione”); questo saggio tuttavia può aprire un filone di ricerca su una tematica tuttora inesplorata.

Omero tra padre e figlia (2014) è un libro-dialogo con Benedetta Grecchi, figlia di 6 anni dell’autore, sulle vicende di Odisseo narrate appunto nella Odissea di Omero. Il testo costituisce – come recita il sottotitolo – una “piccola introduzione alla filosofia”, passando attraverso i contenuti educativi dell’opera omerica già delineati dall’autore nel libro L’umanesimo di Omero. Questo dialogo tra padre e figlia mostra come la filosofia possa passare anche ai bambini evitando, da un lato, di essere ridotta a “gioco logico”, e dal lato opposto di essere presentata come “chiacchiera inconcludente”.

Discorsi sul bene (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sul Bene tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2014. In appendice sono aggiunte una intervista filosofica e due relazioni su temi etico-politici. Il testo si rivela importante in quanto, all’interno di un approccio aristotelico – in cui in sostanza il Bene è il fine verso cui ogni ente, per natura, tende –, Grecchi indica nel rispetto e nella cura dell’uomo (e del cosmo: gli elementi portanti del suo Umanesimo) i contenuti fondamentali del Bene.

Discorsi sulla morte (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2015. L’autore, delineando le principali concezioni della morte presenti nella storia della filosofia, con particolare riferimento agli antichi Greci ed a Giacomo Leopardi, mostra come la rimozione di questo tema costituisca una delle principali concause di alcune psicopatologie del nostro tempo.

L’umanesimo della cultura medievale (2016) è un libro che raccoglie i contenuti umanistici del pensiero medievale. Rispetto alle interpretazioni tradizionali, ancora caratterizzate da una descrizione del Medioevo come età oscura, questo testo mostra il carattere umanistico in particolare della Scolastica aristotelica. Rispetto ai consueti autori di riferimento, ossia Agostino e Tommaso, particolare importanza è attribuita in questo volume a due autori del XIII secolo, Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia (solitamente poco considerati), nonché alle ripetute condanne ecclesiastico-accademiche dell’aristotelismo che ebbero il loro punto culminante nel 1277.

L’umanesimo della cultura rinascimentale (2016) è un libro che critica la tradizionale interpretazione umanistica del pensiero rinascimentale del XIV e XV secolo. Rispetto, infatti, alla vulgata comune, che ritiene centrale in questo periodo la riscoperta filologica ed ermeneutica dei testi di Platone e di altri autori antichi, Grecchi reputa centrale la filocrematistica, e dunque la rottura – operata da modalità sociali sempre più privatistiche e mercificate, cui la cultura dell’epoca si adeguò – del legame sociale comunitario proprio dell’epoca medievale. Il Rinascimento costituì dunque, a suo avviso, la prima apertura culturale verso la modernità capitalistica.

In preparazione:

Umanesimo ed antiumanesimo nella filosofia moderna (e contemporanea);

L’umanesimo greco-classico di Spinoza;

Il sistema filosofico di Aristotele;

Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere.

 


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Luca Grecchi – La metafisica umanistica è soprattutto importante nella nostra epoca, la più antiumanistica e filo-crematistica che sia mai esistita.

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Due volumi

Intervista di Domenico Segna

a Luca Grecchi

su l’umanesimo nel medioevo e nel rinascimento

 

La ricerca che contraddistingue da anni l’attività filosofica di Luca Grecchi è quella di ri-trovare l’«umanesimo» sia nella filosofia greca sia in quel periodo che va dal IV al XV secolo. L’«umanesimo» è stato declinato in diversi modi: che cosa intende con questo termine?

Con il termine “umanesimo” intendo la cura dell’uomo rispettosa del cosmo: cura della propria e altrui umanità, e insieme rispetto attivo verso la natura e verso tutto ciò che di socialmente e tecnicamente buono l’uomo ha prodotto: il bene, per l’uomo, si compone di rispetto e cura verso ciò che si conforma alla natura umana e alla natura in genere, che consente la vita umana. Il termine “umanesimo”, come tutti i termini che hanno una lunga tradizione filosofica, si declina in diversi modi. Nei miei libri, ho parlato di umanesimo dell’antica filosofia cinese, indiana, islamica, greca (e in essa di umanesimo di Omero, dei presocratici, di Platone, di Aristotele, di Plotino): è evidente che ciascuno di questi umanesimi si declina in modo differente. Tuttavia, mentre nelle culture antiche, fino appunto al Medioevo, ho visto in essere in maniera prevalente la cura dell’uomo rispettosa del cosmo, nel Rinascimento si iniziano fortemente a vedere le caratteristiche antiumanistiche della modernità, ossia lo scarso rispetto sia per l’uomo sia per la natura, che assumeranno poi pienamente, nel modo di produzione capitalistico, il ruolo di merce, strumenti del profitto, che è il fine principale del sistema.

Nei due volumi lei ribalta un’interpretazione, da tempo consolidata, che vede il Medioevo come epoca di «oscurità dogmatica» a cui si contrappone lo «splendore umanistico» del Rinascimento: centrale in questo rovesciamento è la dimensione anticrematistica che, di fatto, fa da tessuto connettivo alla sua elaborazione filosofica.

La mia interpretazione, per alcuni aspetti, non è nuovissima, nel senso che i pensatori cristiani, da decenni, sostengono il grande valore teoretico e umanistico della Patristica e della Scolastica medievali, nelle loro varie forme; alcuni si sono perfino spinti – soprattutto nella prima metà del Novecento: da tempo gli storici della filosofia sono diventati tutti “specialisti”, dunque non giudicano più – alla critica radicale dell’individualismo filo-crematistico (amante, cioè, delle cose, in greco chremata, e, per estensione, delle merci, del denaro) rinascimentale. A differenza però dell’interpretazione cristiana, la mia rivalutazione del Medioevo non è basata sulla sua fedeltà alla Rivelazione; il fatto di aderire a un dogma, quale che esso sia – per quanto nobile come il messaggio cristiano –, è in effetti l’approccio meno filosofico che esista. Quale libertà di ricerca vi può essere in un pensiero in cui il risultato finale deve sempre essere compatibile col presupposto di partenza? Per questo motivo ho preferito parlare, per queste due epoche storiche, di cultura, e non di filosofia. Per il Medioevo però ribadisco che, in linea generale, si tratta di un umanesimo; per il Rinascimento invece, al di là della decaffeinata ripresa formale della Grecità classica (che era comunitarista ed anti-crematistica, temi su cui il Rinascimento fu assai poco sensibile), si può in diversi casi parlare addirittura di un antiumanesimo. Il senso della parola “umanesimo” presente nei titoli dei miei due volumi, dunque, rimane lo stesso, ma le due epoche sono, nella loro struttura sociale e culturale, molto differenti.

Nel saggio dedicato all’età medievale vengono, in particolar modo, presi in considerazione due filosofi: Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia, entrambi considerati dello stesso livello di s. Tommaso d’Aquino. Perché questa rivalutazione?

 

Non è tanto una questione di livello. Di questi autori abbiamo rinvenuto pochissimo, mentre di san Tommaso abbiamo moltissimo, sicché in questo senso è difficile fare un confronto autentico. Tuttavia, rivaluto questi autori per due motivi: uno – diciamo così – “soggettivo”, e l’altro “oggettivo”. Il motivo soggettivo è che erano due aristotelici, in un’epoca in cui riprendendo certe tematiche fisiche e metafisiche di Aristotele, in università si correvano gravi rischi, non solo per l’incarico accademico, ma per la stessa vita. Le gerarchie ecclesiastiche, nel XIII secolo, hanno censurato e in vario modo oscurato questi e molti altri studiosi, e ciò – da aristotelico che insegna in università più o meno le loro stesse cose – me li rende molto vicini. Il motivo oggettivo è invece che, rispetto a Tommaso (filosofo che pure apprezzo, e che anche lui, post mortem, subì gli strali della censura ecclesiastica), ma soprattutto rispetto ad altri più mistici o dogmatici commentatori, mi pare che costoro abbiano fatto lo sforzo maggiore per fare davvero filosofia, svincolandosi teoreticamente, per quanto allora possibile, dalla Rivelazione. Il pensiero di Aristotele costituiva, in quell’epoca (e a mio avviso anche ora), il riferimento dialettico migliore per fare realmente filosofia.

Nel volume sul Rinascimento si evidenzia il dibattito storiografico fra chi, come Eugenio Garin, propugna una rottura tra le due età trattate, e chi all’opposto, come Kristeller, una continuità fra di esse. Qual è la sua visione?

 

Come accennavo, pur consapevole della sua massiccia ripresa della classicità, specie platonica, interpreto il Rinascimento soprattutto come la prima porta girevole verso la modernità capitalistica: il mecenatismo, l’estetismo, l’individualismo, la filo-crematistica (tutti contenuti che riprendo nel mio volume), mi conducono in questa direzione. Una direzione critica non molto di moda, perché ancor oggi la parola “Rinascimento” è associata a cose positive, e la parola “Medioevo” a cose negative.

Nella crisi attuale che sconvolge la civiltà occidentale come inserisce il suo ritorno alla metafisica, specificatamente a una metafisica umanistica in cui centrale è il recupero di Aristotele?

La metafisica, in quanto struttura sistematica della verità dell’essere, come tale non dovrebbe essere sensibile al tempo storico. In ogni caso la metafisica umanistica, ossia la proposta teoretica che sto da anni elaborando (sulla quale è appena uscito il mio Compendio di metafisica umanistica, pubblicato da Petite Plaisance), è a mio avviso soprattutto oggi importante perché nell’epoca più antiumanistica e filo-crematistica che sia mai esistita, un’epoca caratterizzata da un modo di produzione sociale che sta avvelenando e ponendo a rischio la stessa vita sul pianeta, essa si pone come una struttura teoretica umanistica e anti-crematistica: una filosofia, insomma, che ricerca con verità il bene, e che tenta di vederlo realizzato, sia sul piano individuale sia sul piano sociale.

Intervista a cura di Domenico Segna e pubblicata sulla rivista “Il Regno”, Anno LXII, n. 1256m 15 aprile 2017, p. 228.

 

Intervista di Domenico Segna

a Luca Grecchi

su l’umanesimo nel medioevo e nel rinascimento

 

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Compendio di metafisica umanistica

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«L’anima è, in certo modo, tutte le cose».
Aristotele, De anima, 431 b 21

Pubblico in questa sede il testo, lievemente modificato, della relazione da me tenuta, il giorno 1 dicembre 2016, all’Università degli studi di Macerata, all’interno del convegno intitolato Sistema, sistematico, asistematico. Chiarimenti per un concetto ambiguo, organizzato dai professori Arianna Fermani e Maurizio Migliori. Si tratta della sintesi di ciò che in questi anni ho definito più volte “metafisica umanistica”, struttura teoretica che costituisce l’oggetto di un libro che annunciai già nel 2003, ma che sono continuamente costretto a rimandare per il problema, ben noto a chi fa ricerca, che più si studia e più si comprende di essere ignoranti (ossia che mancano ancora – ad oggi: spero non per sempre – alcuni necessari elementi per poter costituire compiutamente il discorso). In ogni caso, poiché diversi amici mi hanno da tempo richiesto di esporre quanto meno una sintesi della metafisica umanistica, ossia di quella che ritengo essere la struttura sistematica meglio in grado di descrivere fondatamente la realtà sul piano onto-assiologico, ho colto l’occasione di questo convegno per effettuarne una esposizione, non sapendo ancora quanto tempo mi ci vorrà per concludere la sistematizzazione complessiva.

[…] Ritengo necessario affrontare il tema veritativo anche sul piano politico-sociale. Come può infatti la metafisica, il sapere dell’intero e del fondamento, trascurare quanto più caratterizza oggi l’intero (la crematistica impone ovunque le proprie modalità: non solo alla società, ma anche alla natura), e quanto più nega il fondamento (la natura razionale e morale dell’uomo)? Come detto, per essere coerente con il proprio carattere onto-assiologico, l’approccio veritativo della metafisica umanistica non può limitarsi a descrivere come le cose sono (sul piano sociale, descrivere il modo di produzione capitalistico), e nemmeno a valutare l’attuale stato di cose (valutarlo negativamente, come poc’anzi fatto). Deve fare di più, ossia deve dire come, almeno nelle sue linee generali, un modo di produzione sociale dovrebbe strutturarsi per essere conforme al fondamento onto-assiologico, ossia per realizzare le potenzialità razionali e morali presenti negli uomini, consentendo loro la felicità. Dato che la natura umana è determinata, ossia dotata di stabili caratteristiche costitutive (e non di qualsiasi caratteristica), è normale che essa possa realizzarsi solo in una totalità sociale determinata, ossia dotata di conformi caratteristiche (e non in qualsiasi totalità sociale): da qui la necessità anche teoretica della progettualità.

Luca Grecchi

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In copertina:
Paul Klee, Der Seiltänzer [Il funambolo], 1923.

Il funambolo di Klee cerca di trovare un nuovo equilibrio sospeso a mezz’aria su una corda tesa, nel suo essere uomo in uno spazio di-segnato in basso da strutture leggere, tra loro correlate in profondità, ma protese nella comune tensione verso l’alto. L’artista e il funambolo anelano ad un distacco smaterializzante, ma non perdono il contatto necessario e insieme vincolante con la realtà e con il mondo terreno, senza comunque soccombervi, e cercando invece di elevarsi alla compiuta umanità dell’esser uomo, proprio perché l’Uomo è l’unico ente in grado di pensare l’essere.


Due volumi

Novità Aprile 2016
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Umanesimo Cultura MedioevaleClicca qui sotto per aprire la scheda completa.

Luca Grecchi, L’umanesimo nella cultura medioevale (IV-XIII sec.)

Collana: DM Università
Formato: 17 x 24
Pagine: 220
Prezzo: 22,00
ISBN: 978-88-99126-72-8
Promozione: Bibliomanie
Distribuzione: PDE

In questa opera ò’autore studia analiticamente quelle forme della cultura medievale che possono essere chiamate “umanistiche”.
Lo stile chiaro e la ricchezza di informazioni, sempre presentate nella loro completezza, fa sì che il lettore possa seguire con chiarezza lo svolgersi dell’indagine proposta.
Sorrette da un apparato filologico rigoroso, le tesi esposte nel volume sono profondamente innovative per l’immagine che propongono della cultura medioevale.

INDICE

Introduzione

La crematistica nel Medioevo

L’anticrematistica nel Medioevo

La violenza nel Medioevo

Il concetto di Medioevo

I principali “luoghi comuni” sul Medioevo

Filosofia e sistematicità nel Medioevo

La Scolastica medievale

La condanna di Aristotele da parte della chiesa

Bonaventura da Bagnoregio

Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia

L’umanesimo della cultura medievale

L’attualità del Medioevo.

Appendice. Il pensiero filosofico-politico di Dante Alighieri

Bibliografia

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Umanesimo Cultura RinascimentaleClicca qui sotto per aprire la scheda completa.

Luca Grecchi, L’umanesimo nella cultura rinascimentale (XIII-XV sec.)

Collana: DM Università
Formato: 17 x 24
Pagine: 140
Prezzo: 18,00
ISBN: 978-88-99126-73-5
Promozione: Bibliomanie
Distribuzione: PDE

Questo libro prosegue l’indagine dell’altro volume mantenendo i medesimi caratteri di rigore e di chiarezza. Oggetto dell’indagine sono gli aspetti umanistici della cultura rinascimentale, indagati dalla prospettiva della loro continuità con gli analoghi aspetti della cultura medievale. I due libri sono dunque strettamente legati da un unico filo conduttore.

INDICE

Introduzione

La crematistica rinascimentale

La filocrematistica

Elitarismo ed individualismo

Il “neoellenismo” della cultura rinascimentale

L’elogio della vita attiva

La concezione “polimorfa” dell’uomo

La ripresa formale della cultura classica

Continuità e discontinuità fra cultura medievale e rinascimentale

Il Rinascimento verso la modernità

La filosofia nel Rinascimento

Il concetto di Rinascimento

Bibliografia


Dello stesso autore nel Blog di Petite Plaisance:

Luca Grecchi – Quando il più non è meglio. Pochi insegnamenti, ma buoni: avere chiari i fondamenti, ovvero quei contenuti culturali cardinali che faranno dei nostri giovani degli uomini, in grado di avere rispetto e cura di se stessi e del mondo.

Luca Grecchi – A cosa non servono le “riforme” di stampo renziano e qual è la vera riforma da realizzare

Luca Grecchi – Cosa direbbe oggi Aristotele a un elettore (deluso) del PD

Luca Grecchi – Platone e il piacere: la felicità nell’era del consumismo

Luca Grecchi – Un mondo migliore è possibile. Ma per immaginarlo ci vuole filosofia

Luca Grecchi – «L’umanesimo nella cultura medioevale» (IV-XIII secolo) e «L’umanesimo nella cultura rinascimentale» (XIV-XV secolo), Diogene Multimedia.

Luca Grecchi – Il mito del “fare esperienza”: sulla alternanza scuola-lavoro.

Luca Grecchi – In filosofia parlate o scrivete, purché tocchiate l’anima.

Luca Grecchi – L’assoluto di Platone? Sostituito dal mercato e dalle sue leggi.

Luca Grecchi – L’Italia che corre di Renzi, ed il «Motore immobile» di Aristotele

Luca Grecchi – La natura politica della filosofia, tra verità e felicità

Luca Grecchi – Socrate in Tv. Quando il “sapere di non sapere” diventa un alibi per il disimpegno

Luca Grecchi – Scienza, religione (e filosofia) alle scuole elementari.

Luca Grecchi – La virtù è nell’esempio, non nelle parole. Chi ha contenuti filosofici importanti da trasmettere, che potrebbero favorire la realizzazione di buoni progetti comunitari, li rende credibili solo vivendo coerentemente in modo conforme a quei contenuti: ogni scissione tra il “detto” e il “vissuto” pregiudica l’affidabilità della comunicazione e non contribuisce in nulla alla persuasione.

Luca Grecchi – Aristotele: la rivoluzione è nel progetto. La «critica» rinvia alla «decisione» di delineare un progetto di modo di produzione alternativo. Se non conosciamo il fine da raggiungere, dove tiriamo la freccia, ossia dove orientiamo le nostre energie, come organizziamo i nostri strumenti?

Luca Grecchi – Sulla progettualità

Luca Grecchi – Perché la progettualità?

Luca GrecchiAristotele, la democrazia e la riforma costituzionale.

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Luca Grecchi

Luca Grecchi (1972), direttore della rivista di filosofia Koinè e della collana di studi filosofici Il giogo presso la casa editrice Petite Plaisance di Pistoia, insegna Storia della Filosofia presso la Università degli Studi di Milano Bicocca. Da alcuni anni sta strutturando un sistema onto-assiologico definito “metafisica umanistica”, che vorrebbe costituire una sintesi della struttura sistematica della verità dell’essere. Esso rappresenta, nella sua opera, la base teoretica di riferimento sia per la fondazione di una progettualità sociale anticrematistica, sia per la interpretazione dei principali pensieri filosofici. Grecchi è soprattutto autore di una ampia interpretazione umanistica dell’antico pensiero greco, nonché di alcuni studi monografici su filosofi moderni e contemporanei, e di libri tematici su importanti argomenti (la metafisica, la felicità, il bene, la morte, l’Occidente). Collabora con la rivista on line Diogene Magazine e con il quotidiano on line Sicilia Journal. Ha pubblicato libri-dialogo con alcuni fra i maggiori filosofi italiani, quali Enrico Berti, Umberto Galimberti, Costanzo Preve, Carmelo Vigna.

Libri di Luca Grecchi

Cliccando

L’anima umana come fondamento della verità (2002) è il primo libro di Grecchi, che pone, in maniera stilizzata, il sistema metafisico umanistico su cui sono poi strutturati i suoi libri successivi. La tesi centrale di questo libro è appunto che l’anima umana, intesa come la natura razionale e morale dell’uomo, è il fondamento onto-assiologico della verità dell’essere. Questo sistema metafisico costituisce la base per una analisi critica della attuale totalità sociale, e per una progettualità comunitaria finalizzata alla realizzazione di un modo di produzione sociale conforme alle esigenze della natura umana. (Invito alla lettura: Scarica alcune pagine del libro)

Karl Marx nel sentiero della verità (2003) costituisce una interpretazione metafisico-umanistica del pensiero di Marx, che viene analizzato nei suoi nodi essenziali, spesso in aperta critica con la secolare tradizione marxista. Nato originariamente come elaborazione degli studi di economia politica dell’autore compiuti negli anni novanta del Novecento, il testo assume carattere filosofico-politico. Marx è analizzato come il pensatore moderno che, rifacendosi implicitamente al pensiero greco, realizza la migliore critica al modo di produzione capitalistico, pur non elaborando – per carenza di fondazione filosofica – un adeguato discorso progettuale.

Verità e dialettica. La dialettica di Hegel e la teoria di Marx costituisce in un certo senso una integrazione del precedente Karl Marx nel sentiero della verità. Il testo effettua una sintesi originale, appunto, sia della dialettica di Hegel che della teoria di Marx. Pur riconoscendo l’influenza del pensiero di Hegel nelle opere del Marx maturo, Grecchi propone la tesi che il pensiero di Marx, strutturatosi nei suoi punti cardinali prima del suo studio attento ed approfondito della Scienza della Logica, sia nella sua essenza non dialettico. Una versione sintetica di questo libro è stata pubblicata sulla rivista Il Protagora nel 2007.

La verità umana nel pensiero religioso di Sergio Quinzio (2004) con introduzione di Franco Toscani, è una sintesi monografica sul pensiero del grande teologo scomparso nel 1996. Il testo presenta al proprio interno una analisi del pensiero ebraico e cristiano, unita ad una rilettura poetica ed umanistica del testo biblico. Il tema centrale è quello della morte, e della speranza nella resurrezione su cui Quinzio ripetutamente riflette, e che vede continuamente delusa. Al di là dei riferimenti religiosi, la riflessione del teologo si presta ad una profonda considerazione sulla fragilità della vita umana.

Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino (2005) con introduzione di Alberto Giovanni Biuso, è una sintesi monografica sul pensiero del grande filosofo italiano. Il testo presenta al proprio interno una analisi critica del nucleo essenziale della ontologia di Severino e delle sue analisi storico-filosofiche e politiche. Esiste uno scambio di lettere fra Severino e Grecchi in cui il filosofo bresciano mostra la sua netta contrarietà alla interpretazione ricevuta. Il testo, tuttavia, è segnalato nella Enciclopedia filosofica Bompiani come uno dei libri di riferimento per la interpretazione del pensiero severiniano.

Il necessario fondamento umanistico della metafisica (2005) è un breve saggio in cui, prendendo come riferimento la metafisica classica (ed in particolare le posizioni di Carmelo Vigna), l’autore critica la centralità dell’approccio logico-fenomenologico rispetto al tema della verità, ritenendo necessario anche l’approccio onto-assiologico. Per Grecchi infatti la verità consiste non solo nella descrizione corretta di come la realtà è, ma anche di come essa – la parte che può modificarsi – deve essere per conformarsi alla natura umana. Si tratta del primo confronto esplicito fra la proposta di Grecchi della metafisica umanistica e la metafisica classica di matrice aristotelico-tomista.

Filosofia e biografia (2005) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Umberto Galimberti. Nel testo si ripercorre il pensiero galimbertiano nei suoi contenuti essenziali, ma si pone in essere anche una serrata analisi di molti temi filosofici, politici e sociali, in cui spesso emerge una sostanziale differenza di posizioni fra i due autori. Di particolare interesse le pagine dedicate al pensiero simbolico, all’analisi della società, ed alla interpretazione dell’opera di Emanuele Severino. Percorre il testo la tesi per cui la genesi di un pensiero filosofico deve necessariamente essere indagata, per giungere alla piena comprensione dell’opera di un autore.

Il pensiero filosofico di Umberto Galimberti (2005), con introduzione di Carmelo Vigna, è un testo monografico completo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo. Si tratta di un testo in cui Grecchi, sintetizzando la complessa opera di questo autore, prende al contempo posizione non solo nei confronti della medesima, ma anche di filosofi quali Nietzsche, Heidegger, Jaspers, che nel pensiero di Galimberti costituiscono riferimento imprescindibili. Vigna, nella sua introduzione, ha definito il libro «una ricostruzione seria ed attendibile del pensiero del filosofo» in esame.

Conoscenza della felicità (2005), con introduzione di Mario Vegetti, è uno dei testi principali di Grecchi, in cui l’autore applica il proprio approccio classico umanistico alla società attuale, mostrando come essa si ponga in radicale opposizione alle possibilità di felicità. L’autore, seguendo la matrice onto-assiologica del pensiero greco, mostra che solo conoscendo che cosa è l’uomo risulta possibile conoscere cosa è la felicità. Scrive Vegetti, nel testo, che Grecchi è «pensatore a suo modo classico», per il suo «andar diritto verso il cuore dei problemi». Il libro è assunto come riferimento bibliografico, per il tema in oggetto, dalla Enciclopedia filosofica Bompiani. .

Marx e gli antichi Greci (2006) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Costanzo Preve. Nel testo viene effettuata una analisi non tanto filologica, quanto ermeneutica e teoretica dei rapporti del pensiero di Marx col pensiero greco. I due autori, concordando su molti punti, colmano così in parte una lacuna della pubblicistica su questo tema, che risulta essere stato nel tempo assai poco indagato. Di particolare interesse l’analisi effettuata dai due autori di quale potrebbe essere, sulla base insieme del pensiero dei Greci e di Marx, il miglior modo di produzione sociale alternativo rispetto a quello attuale. (Invito alla lettura: Scarica alcune pagine del libro)

Vivere o morire. Dialogo sul senso dell’esistenza fra Platone e Nietzsche (2006), con introduzione di Enrico Berti, è un saggio composto ponendo in ideale dialogo Platone e Nietzsche su importanti temi filosofici, politico e morali: l’amore, la morte, la metafisica, la vita ed altro ancora. Scrive Berti, nella sua introduzione, che, come accadeva nel genere letterario antico dell’invenzione, Grecchi non nasconde lo scopo “politico” della sua opera, la quale «risulta essere innanzitutto un documento significativo di amore per la filosofia e di vitalità di quest’ultima, in un momento in cui l’epoca della filosofia sembrava conclusa».  

Il filosofo e la politica. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la vita politica (2006) è una ricostruzione del pensiero filosofico-politico di Platone effettuata in un continuo confronto con le vicende della attualità. In questo libro Grecchi pone esplicitamente Platone, in maniera insieme divulgativa ed originale, come proprio pensatore di riferimento. Il filosofo ateniese infatti, a suo avviso, pur scrivendo molti secoli or sono, rimane tuttora colui che ha offerto le migliori analisi, e le migliori soluzioni, per pensare una migliore totalità sociale, ossia un ambiente comunitario adatto alla buona vita dell’uomo.

La filosofia politica di Eschilo. Il pensiero “filosofico-politico” del più grande tragediografo greco (2007) costituisce una interpretazione, in chiave appunto filosofico-politica, dell’opera di Eschilo. Lo scopo principale di questo libro è quello di “togliere” Eschilo dallo specialismo degli studi poetico-letterari, per inserirlo – come si dovrebbe fare per tutti i tragici greci – nell’ambito del pensiero filosofico-politico. Nel testo viene presa in carico l’analisi precedentemente svolta da Emanuele Severino ne Il giogo (1988), ritenendone validi molti aspetti ma giungendo, alla fine, a conclusioni opposte circa il presunto “nichilismo” di Eschilo.

Il presente della filosofia italiana (2007) è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i più importanti filosofi italiani contemporanei pubblicati dopo il 2000. Gli autori analizzati vengono ripartiti in quattro categorie: 1) pensatori “ermeneutici-simbolici” (Sini, Vattimo, Cacciari, Natoli); 2) pensatori “scientifici-razionalisti” (Tarca, Antiseri, Giorello); 3) pensatori “marxisti-radicali” (Preve, Losurdo); 4) pensatori “metafisici-teologici” (Reale). Il testo è arricchito da due appendici e da una ampia postfazione di Costanzo Preve. In questi testi Grecchi oppone criticamente, ai vari approcci, il proprio discorso metafisico-umanistico.

Corrispondenze di metafisica umanistica (2007) è una raccolta di testi in cui sono contenuti scambi epistolari, nonché risposte di Grecchi ad introduzioni e recensioni di suoi libri. Il testo rispecchia la tendenza dell’autore a prendere sempre seriamente in carico le altrui posizioni; secondo Grecchi, infatti, di fronte a critiche intelligenti, sono solo due gli atteggiamenti filosofici possibili: o fornire argomentate risposte, o prendere atto della correttezza delle critiche e rivedere le proprie posizioni. Il tema caratterizzante il testo è dunque la “lotta amichevole” per la emersione della verità.

L’umanesimo della antica filosofia greca (2007) è un libro in cui Grecchi effettua, in sintesi, la propria interpretazione complessiva della Grecità. Partendo da Omero, e giungendo fino al pensiero ellenistico, l’autore mostra come non la natura, né il divino, né l’essere furono i temi principali del pensiero greco, bensì l’uomo, soprattutto nella sua dimensione politico-sociale. L’uomo infatti assume centralità, in vario modo, in tutti i vari filoni culturali della Grecità, dal pensiero omerico a quello presocratico, dal teatro fino all’ellenismo.

L’umanesimo di Platone (2007) è un testo monografico sul pensiero di Platone, da Grecchi in quegli anni ritenuto come il più rappresentativo della Grecità. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse interpretazioni finora effettuate del pensiero platonico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Platone la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la centralità della posizione anti-crematistica, all’interno di una considerazione progettuale e della totalità sociale.

L’umanesimo di Aristotele (2008) è un testo monografico sul pensiero di Aristotele, che sarà poi da Grecchi ripreso negli anni successivi come struttura teoretica di riferimento. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse tematiche del pensiero aristotelico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Aristotele – così come in Platone, ma in forma differente – la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la centralità della posizione anti-crematistica, all’interno di una considerazione progettuale della totalità sociale.

Chi fu il primo filosofo? E dunque: cos’è la filosofia? (2008), con introduzione di Giovanni Casertano, è un libro suddiviso in due parti. Nella prima parte, prendendo come riferimento alcuni fra i principali manuali di storia della filosofia italiani, Grecchi mostra come essi spesso non definiscano l’oggetto del loro studio, ossia la filosofia, dichiarandola talvolta addirittura indefinibile. L’autore, invece, offre in questo libro la propria definizione di filosofia come caratterizzata da due contenuti imprescindibili: a) la centralità dell’uomo; b) la ricerca, il più possibile fondata ed argomentata, della verità dell’intero. Nella seconda parte l’autore esamina dieci possibilità alternative su “chi fu il primo filosofo”, giungendo a concludere che, pur all’interno del contesto comunitario della riflessione greca, il candidato più accreditato risulta essere Socrate.

Socrate. Discorso su Le Nuvole di Aristofane (2008) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore Guida, di un discorso che avrebbe potuto essere tenuto da Socrate ad Atene l’indomani della rappresentazione della famosa commedia di Aristofane. Si tratta, come è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero socratico. Tale interpretazione risulta convergente con quelle offerte, nella medesima collana, da Mario Vegetti su Platone e da Enrico Berti su Aristotele.

Occidente: radici, essenza, futuro (2009), con introduzione di Diego Fusaro, è un testo in cui l’autore analizza il concetto di Occidente e le sue tradizioni culturali costitutive, sempre in base al proprio sistema metafisico-umanistico. Analizzando le radici greche, ebraiche, cristiane, romane e moderne, ma soprattutto l’attuale contesto storico-sociale, Grecchi coglie nella prevaricazione derivante dalla smodata ricerca crematistica l’essenza dell’Occidente, ed individua per lo stesso un futuro cupo. Il testo è arricchito dal dialogo con Fusaro, alla cui introduzione Grecchi risponde in una appendice finale.

Il filosofo e la vita. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la buona vita (2009), è una raccolta di brevi saggi in cui l’autore, prendendo spunto da alcuni passi del pensiero platonico, e più in generale del pensiero greco classico, affronta sinteticamente alcune tematiche centrali per la vita umana (l’amore, la famiglia, la filosofia, la storia, le leggi, la democrazia, l’educazione, l’università, la mafia, la libertà, ecc.), col consueto approccio attualizzante, ovvero facendo interagire – nel rispetto del contesto storico-sociale dell’epoca in cui tale pensiero nacque – il pensiero platonico col nostro tempo. Il libro è arricchito da un lungo saggio finale di Costanzo Preve, intitolato “Luca Grecchi interprete dei filosofi classici Greci” (con risposta), in cui il filosofo torinese sintetizza le posizioni dell’autore.

L’umanesimo della antica filosofia cinese (2009) costituisce il primo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale (l’unica nel nostro paese effettuata da un solo autore). Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero cinese risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia cinese, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero cinese.

L’umanesimo della antica filosofia indiana (2009) costituisce il secondo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero indiano risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia indiana, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero indiano.

L’umanesimo della antica filosofia islamica (2009) costituisce il terzo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero islamico risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia islamica, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero islamico.

A partire dai filosofi antichi (2010), con introduzione di Carmelo Vigna, è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Enrico Berti. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, apportando interpretazioni originali non soltanto – anche se soprattutto – dei principali filosofi antichi, ma anche di quelli moderni e contemporanei. Non mancano inoltre considerazioni su temi di attualità, nonché su temi di interesse generale, quali l’educazione, la scuola e la politica. Scrive Vigna, nella introduzione, che «questo testo è tra le cose più interessanti che si possano leggere oggi nel panorama della filosofia italiana».

L’umanesimo di Plotino (2010) è un libro in cui l’autore colma una distanza temporale fra il periodo classico ed il periodo ellenistico della Roma imperiale. Il testo si divide in due parti. Nella prima, in ossequio alla tesi per cui ogni pensiero filosofico deve essere inserito all’interno del proprio contesto storico-sociale (anche in quanto è all’interno del medesimo che esso spesso “deduce” le proprie categorie), l’autore realizza una analisi del modo di produzione sociale greco e di quello romano, per tracciare alcune differenze importanti fra l’epoca classica e l’epoca ellenistica. Nella seconda parte, che è la più ampia, è invece analizzato, in base alle dieci tematiche ritenute centrali, il pensiero di Plotino.

Perché non possiamo non dirci Greci (2010) è un libro in cui l’autore sintetizza, in termini divulgativi, le proprie posizioni generali sui Greci. Il testo prende spunto dalla rilettura, in controluce, del classico di Benedetto Croce intitolato Perché non possiamo non dirci cristiani, per mostrare non solo come le radici greche siano almeno altrettanto importanti di quelle cristiane per la cultura europea, ma soprattutto che una loro ripresa sarebbe fortemente auspicabile. Il testo è completato da una ampia appendice inedita che costituisce una analisi critica del pensiero ellenistico (in rapporto a quello classico) incentrata sulle opere di Epicuro e di Luciano di Samosata.

La filosofia della storia nella Grecia classica (2010) è il testo ermeneutico forse più originale di Grecchi. Alla cultura greca si attribuisce infatti, solitamente, la nascita dei tronchi di pressoché tutte le discipline filosofiche e scientifiche tuttora studiate nella modernità (con varie ramificazioni). Tradizionalmente, tuttavia, la filosofia della storia è ritenuta essere disciplina moderna, senza precedenti antichi. Analizzando l’opera di storici, letterati e filosofi dell’epoca preclassica e classica, l’autore mostra invece le radici antiche anche di questo campo di studi, contribuendo ad un chiarimento teoretico della disciplina stessa.

Sulla verità e sul bene (2011), con introduzione di Enrico Berti e postfazione di Costanzo Preve, è un libro-dialogo con uno dei maggiori filosofi italiani, Carmelo Vigna. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, insieme agli importanti temi teoretici ed etici che danno il titolo al volume. Scrive Berti, nella introduzione, che si tratta di «una serie di discussioni oltremodo interessanti tra due filosofi che sono divisi da due diverse, anzi opposte, concezioni della metafisica, ma sono accomunati dalla considerazione per la filosofia classica e soprattutto da un grande amore per la filosofia in sé stessa».

Gli stranieri nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore, prendendo distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano gli antichi Greci come vicini alla xenofobia, mostra che, sin dall’epoca omerica, essi furono invece aperti all’ospitalità verso gli stranieri. Preceduto da una analisi anti-ideologica delle categorie di “razza”, “etnia”, “multiculturalismo” ed altre, Grecchi rimarca come sia stato centrale, nel pensiero greco classico, il concetto di “natura umana”, il quale possiede basi teoretiche salde ed una costante presenza nella riflessione greca, che l’autore appunto caratterizza come “umanistica”.

Diritto e proprietà nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore prende in carico i temi poco indagati del diritto e della proprietà nella antica Grecia. Si tratta di temi molto importanti per comprendere il contesto storico-sociale in cui nacque la cultura greca, e che pertanto non possono essere ignorati da chi studia la filosofia di questo periodo. Il testo sviluppa inoltre un confronto con il diritto romano – che si rivela assai meno comunitario di quello greco – e con il nostro tempo, per mostrare come la cultura greca possieda, anche sul piano giuridico, contenuti che sarebbero tuttora importanti da applicare.

L’umanesimo di Omero (2012) è un libro in cui l’autore effettua una analisi teoretica ed etica del pensiero omerico, inserendo l’antico poeta nel novero del pensiero filosofico, rompendo il tradizionale isolamento nel campo letterario che da secoli caratterizza questo autore. Grecchi insiste in particolare sul carattere di educazione filosofica dei poemi omerici, mostrando come essi abbozzino temi ontologici e soprattutto assiologici poi elaborati dalla intera riflessione classica. Il testo si distingue per il continuo aggancio dei miti omerici alla contemporaneità.

L’umanesimo politico dei “Presocratici” (2012) è un libro in cui l’autore, centralizzando il carattere politico-sociale del loro pensiero, prende distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano questi pensatori come “naturalisti”, e che li separano sia dalla poesia e dal teatro precedenti, sia dalla filosofia e dalla scienza successive. L’autore, facendo riferimento agli studi di Mondolfo, Capizzi, Bontempelli e soprattutto Preve, mostra il nesso di continuità del pensiero presocratico con l’intero pensiero greco classico. Risultano centrali, in questa trattazione, le figure di Solone e Clistene, oltre a quelle più consuete di Eraclito, Parmenide e Pitagora.

Il presente della filosofia nel mondo (2012), con postfazione di Giacomo Pezzano, è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i maggiori filosofi contemporanei non italiani (fra gli altri Bauman, Habermas, Hobsbawm, Latouche, Nussbaum, Onfray, Zizek). Nella introduzione si rileva, come caratteristica principale della filosofia del nostro tempo, la presenza in solidarietà antitetico-polare di una corrente scientifico-razionalistica ed, al contempo, di una corrente aurorale-simbolica. Esse occupano il centro della scena escludendo dal “campo di gioco” la filosofia onto-assiologica di matrice classica, presente oramai solo in un numero limitato di studiosi.

Il pensiero filosofico di Enrico Berti (2013), con presentazione di Carmelo Vigna e postfazione di Enrico Berti, è un testo monografico introduttivo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo, uno dei maggiori studiosi mondiali del pensiero di Aristotele. Rapportandosi a tematiche quali l’interpretazione degli antichi, la storia della filosofia, l’educazione, l’etica, la politica, la metafisica, la religione, Grecchi non si limita a descrivere il pensiero dell’autore considerato ma, come è nel suo approccio, valuta; in maniera solitamente concorde, eppure talvolta anche critica, in particolare nella opposizione fra metafisica classica e metafisica umanistica.

Il necessario fondamento umanistico del “comunismo” (2013) è un libro scritto a quattro mani con Carmine Fiorillo, in cui gli autori mostrano come la diffusa critica (marxista e non) al modo di produzione capitalistico, priva di una fondata progettualità, risulti sterile ed inefficace. Assumendo come base principalmente il pensiero greco classico (ma anche le componenti umanistiche di altri orizzonti culturali), gli autori mostrano che solo mediante una solida fondazione filosofica è possibile favorire la progettualità di un ideale modo di produzione sociale in cui vivere, che gli autori appunto definiscono – ma differenziandosi fortemente dalla tradizione marxista – “comunismo”.

Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia (2013) è un pamphlet in cui si mostra che le attuali modalità accademiche di insegnamento della filosofia, incentrate sullo specialismo, non ripropongono più il modello greco classico della filosofia come ricerca fondata ed argomentata della verità onto-assiologica dell’intero, che Grecchi assume invece ancora come centrale. L’autore mostra come la causa principale di questa situazione sia attribuibile ai processi socio-culturali del modo di produzione capitalistico.

La musa metafisica. Lettere su filosofia e università (2013), con Giovanni Stelli, costituisce uno scambio epistolare nato dal commento di Stelli al pamphlet Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia. A partire da questo tema lo scambio ha assunto una rilevanza ed una ampiezza tale, estendendosi a contenuti storici, culturali e politici, da renderne di qualche utilità la pubblicazione. In esso Grecchi anticipa alcuni temi portanti del suo testo che sarà intitolato Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere, cui sta lavorando dal 2003.

Discorsi di filosofia antica (2014) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sull’uomo nella cultura greca, da Omero all’ellenismo, tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2013. Esso accoglie inoltre i testi di alcune conferenze sul pensiero antico svolte dall’autore nel 2013 e 2014, ed in particolare, in appendice, un saggio inedito sulla alienazione nella antica Grecia. Quest’ultimo è un tema poco indagato in quanto mancano, alla mentalità filologica – poco teoretica – tipica del mondo accademico di oggi, i necessari riferimenti testuali (i Greci non avevano nemmeno la parola “alienazione”); questo saggio tuttavia può aprire un filone di ricerca su una tematica tuttora inesplorata.

Omero tra padre e figlia (2014) è un libro-dialogo con Benedetta Grecchi, figlia di 6 anni dell’autore, sulle vicende di Odisseo narrate appunto nella Odissea di Omero. Il testo costituisce – come recita il sottotitolo – una “piccola introduzione alla filosofia”, passando attraverso i contenuti educativi dell’opera omerica già delineati dall’autore nel libro L’umanesimo di Omero. Questo dialogo tra padre e figlia mostra come la filosofia possa passare anche ai bambini evitando, da un lato, di essere ridotta a “gioco logico”, e dal lato opposto di essere presentata come “chiacchiera inconcludente”.

Discorsi sul bene (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sul Bene tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2014. In appendice sono aggiunte una intervista filosofica e due relazioni su temi etico-politici. Il testo si rivela importante in quanto, all’interno di un approccio aristotelico – in cui in sostanza il Bene è il fine verso cui ogni ente, per natura, tende –, Grecchi indica nel rispetto e nella cura dell’uomo (e del cosmo: gli elementi portanti del suo Umanesimo) i contenuti fondamentali del Bene.

Discorsi sulla morte (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2015. L’autore, delineando le principali concezioni della morte presenti nella storia della filosofia, con particolare riferimento agli antichi Greci ed a Giacomo Leopardi, mostra come la rimozione di questo tema costituisca una delle principali concause di alcune psicopatologie del nostro tempo.

L’umanesimo della cultura medievale (2016) è un libro che raccoglie i contenuti umanistici del pensiero medievale. Rispetto alle interpretazioni tradizionali, ancora caratterizzate da una descrizione del Medioevo come età oscura, questo testo mostra il carattere umanistico in particolare della Scolastica aristotelica. Rispetto ai consueti autori di riferimento, ossia Agostino e Tommaso, particolare importanza è attribuita in questo volume a due autori del XIII secolo, Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia (solitamente poco considerati), nonché alle ripetute condanne ecclesiastico-accademiche dell’aristotelismo che ebbero il loro punto culminante nel 1277.

L’umanesimo della cultura rinascimentale (2016) è un libro che critica la tradizionale interpretazione umanistica del pensiero rinascimentale del XIV e XV secolo. Rispetto, infatti, alla vulgata comune, che ritiene centrale in questo periodo la riscoperta filologica ed ermeneutica dei testi di Platone e di altri autori antichi, Grecchi reputa centrale la filocrematistica, e dunque la rottura – operata da modalità sociali sempre più privatistiche e mercificate, cui la cultura dell’epoca si adeguò – del legame sociale comunitario proprio dell’epoca medievale. Il Rinascimento costituì dunque, a suo avviso, la prima apertura culturale verso la modernità capitalistica.

In preparazione:

Umanesimo ed antiumanesimo nella filosofia moderna (e contemporanea);

L’umanesimo greco-classico di Spinoza;

Il sistema filosofico di Aristotele;

Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere.

 

 

 

 


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Claudio Lucchini – Carrelli e moduli: i problemi dell’etica umana nell’intreccio di biologia e storicità concreta.

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«Se la felicità è vista in termini aristotelici come un libero sviluppo delle proprie facoltà, e se l’amore è quel tipo di reciprocità che fa sì che ciò accada nel modo migliore, non esiste alcun conflitto ultimo tra loro. E nemmeno vi è un conflitto fra felicità e moralità, dato che trattare gli altri in maniera giusta e compassionevole è, in una visione generale delle cose, una delle condizioni per il proprio sviluppo». Terry Eagleton

Il modo, poi, nel quale l’auspicabilità di una tale condizione – il cui razionale concetto è il portato dell’interagire riflessivo concretamente situato delle comuni facoltà cognitive ed emozionali della specie, a sua volta sottoponibile alla prova della riflessione filosofica, etica e politica – si possa tradurre in una quotidianità realmente funzionante e tendenzialmente umanizzata, spetta alle nostre capacità conoscitive, progettuali, pratiche e poietiche determinare e attuare, affinché la prefigurazione marx-engelsiana di una società di libere individualità non resti un nobile desiderio ma divenga realtà esperita e goduta, tanto quanto può consentirlo la nostra costitutiva finitezza materiale-naturale. Claudio Lucchini

 

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Claudio Lucchini

 

Carrelli e moduli

I problemi dell’etica umana

nell’intreccio di biologia e storicità concreta

 


Claudio Lucchini,
Carrelli e moduli:
i problemi dell’etica umana nell’intreccio di biologia e storicità concreta

Il complesso e controverso dibattito sviluppatosi attorno al cosiddetto «dilemma del carrello» – dibattito recentemente esaminato nelle sue posizioni più rilevanti da David Edmonds –[1] offre il destro per chiarire alcuni degli elementi costitutivi essenziali del campo problematico proprio dell’etica, colta nella sua specifica interazione tra determinazioni biologiche e alternative umano-sociali. Queste ultime si definiscono all’interno di una dialettica storica il cui divenire coinvolge sia le capacità specie-specifiche di proiezione autoriflessiva verso una gamma di differenti possibilità di condotta a partire dalla determinata situazione nella quale le corporeità umane si radicano, sia quelle di astrazione generalizzante. È solo all’interno di questo intreccio di relazioni, come si verrà ripetutamente sostenendo, che i problemi etici effettivamente significativi possono essere adeguatamente tematizzati e compresi nella dialettica di senso che vengono aprendo.
La prima classica formulazione dell’esperimento mentale succitato risale al 1967, quando la filosofa Philippa Foot propose lo scenario seguente, così sintetizzato da Edmonds nella sua drammatica e lacerante problematicità morale: «Vi trovate accanto a un binario quando vedete un treno in corsa che sfreccia verso di voi: chiaramente i suoi freni non hanno funzionato. Più avanti ci sono cinque persone legate sui binari. Se non fate niente, i cinque saranno travolti e uccisi. Per fortuna siete accanto a uno scambio: azionando quello scambio manderete il treno fuori controllo su una linea secondaria, un ramo deviato, che si trova appena davanti a voi. Purtroppo, c’è un intoppo: sulla linea secondaria notate che c’è una persona legata sui binari; cambiare la direzione del treno si tradurrà inevitabilmente nell’uccisione di questa persona. Che cosa dovreste fare?».[2]

 

Uccideresti l'uomo grasso?

David Edmonds, Uccideresti l’uomo grasso?

 

Marc D. Hauser, Menti morali. Le origini naturali del bene e del male

Marc D. Hauser, Menti morali. Le origini naturali del bene e del male

Le risposte fornite a questo interrogativo da significativi campioni statistici di individui – differenti per età, sesso, cultura, professione, nazionalità – acquistano il loro più autentico interesse solo quando vengano confrontate con quelle formulate di fronte ad uno scenario largamente simile e tuttavia diverso dal primo per alcuni fondamentali aspetti. La descrizione di un tale scenario – elaborato compiutamente nel 1985 da una filosofa del MIT, Judith Jarvis Thomson, sulla scorta della logica di esempi analoghi concepiti dalla stessa Foot – mostra, nelle parole di Edmonds, i seguenti contorni: «Siete su un cavalcavia che si affaccia sul binario. Vedete il carrello ferroviario che sfreccia fuori controllo e, poco più avanti, cinque persone legate sui binari. È possibile salvare questi cinque? Ancora una volta, il filosofo morale ha abilmente organizzato le cose in modo che sia possibile. C’è un uomo molto grasso che sta guardando il treno appoggiato alla ringhiera. Se lo spingeste oltre la balaustra, piomberebbe di sotto e si schianterebbe sui binari. È così obeso che la sua massa farebbe fermare bruscamente il carrello. Purtroppo, in questo modo verrebbe ucciso l’uomo grasso. Ma si potrebbero salvare gli altri cinque. Si dovrebbe dare una spinta all’uomo grasso?».[3]
Le opinioni di coloro cui sono stati sottoposti i quesiti in discussione, in varie occasioni, da differenti istituzioni e in modo – come accennato – da soddisfare corretti standard statistici, paiono largamente convergere verso una risposta positiva alla prima domanda e una risoluta negazione nel secondo caso; per esempio, dalla Harvard University e dalla BBC sono stati condotti dei sondaggi in proposito, coinvolgenti rispettivamente più di 200.000 e 65.000 partecipanti: «I risultati di questi vari [rilevamenti] non sono marcatamente diversi. La BBC ha trovato che circa quattro persone su cinque erano d’accordo che il treno dovesse essere deviato lungo il ramo laterale. Contemporaneamente, solo uno su quattro pensava che l’uomo grasso dovesse essere buttato giù dal cavalcavia. Altri studi [poi] hanno suggerito che quasi il 90 per cento azionerebbe lo scambio nel Ramo deviato, e fino al 90 per cento non spingerebbe l’uomo grasso».[4] Nonostante non manchino alcune divergenze legate al genere, alla professione o alle credenze religiose e politiche, «queste differenze non sono marcate, e nel complesso non c’è una differenza significativa tra ricchi e poveri, colti e ignoranti, chi proviene da Paesi sviluppati e chi dal mondo meno sviluppato».[5]
Lo psicologo e neuroscienziato di Harvard Joshua Greene, assieme ad alcuni collaboratori, ha successivamente applicato le tecniche di neuroimaging a numerosi soggetti alle prese coi problemi del carrello, apportando inoltre talune significative variazioni al caso ipotetico dell’uomo grasso. Nella grande maggioranza degli individui, constata Greene, agisce istintivamente, per probabile retaggio evolutivo, una reazione emotiva assai tenace – supportata dall’attivazione di aree cerebrali (amigdala, corteccia cingolata posteriore, corteccia prefrontale mediale) coinvolte nei sentimenti di compassione – di fronte alla componente «vicino-e-personale» dell’esperimento implicante la possibilità di uccisione dell’obeso: «c’è qualcosa – commenta Edmonds – nella fisicità dello spingere, nell’impatto muscolare diretto con un’altra persona, che ci fa trasalire».[6]
Greene ha allora proposto una non trascurabile modificazione all’esperimento, supponendo che l’azione bloccante dell’uomo grasso possa essere provocata girando un interruttore che apra una botola posta sul ponte, proprio sopra i binari. «Ora, – osserva ancora Edmonds – mentre neppure il più capzioso degli avvocati sarebbe in grado di stabilire una qualsiasi distinzione morale sostanziale tra l’uccidere con un interruttore e l’uccidere con una spinta, i soggetti interrogati sul carrello sono più disposti a mandare a morte l’uomo grasso quando si ha a che fare con il primo scenario che con il secondo».[7] Il che, se apre inquietanti interrogativi sulla (relativa) maggior disponibilità ad uccidere comandando a distanza dei droni simili a quelli largamente usati in Pakistan e in Afghanistan dagli Stati Uniti,[8] non sembra però compromettere, in definitiva, il risultato emerso dalla forma originaria del dilemma: «Comunque, che si tratti di un interruttore o di un pulsante, la maggior parte delle persone continua a credere che uccidere l’uomo grasso sia peggio che cambiare la direzione del treno nel Ramo deviato».[9]
Insomma, nonostante la pletora di ulteriori complicazioni poste nel corso degli anni ai problemi concepiti dalla Foot e dalla Thomson – complicazioni che tuttavia non mutano la sostanza della questione –, sembra che agisca in noi, in maniera irriflessa e istintiva,[10] un’intuizione morale conforme a quella che, razionalmente definita dall’analisi filosofica, viene comunemente chiamata, sulla scia di Tommaso d’Aquino, «dottrina del duplice effetto».[11] Questa tesi, come spiegano tra gli altri lo stesso Edmonds o lo psicologo, biologo evolutivo e antropologo biologico Marc D. Hauser, opera un’essenziale distinzione tra gli scenari proposti, sostenendo il seguente fondamentale principio: «danneggiare un altro individuo è lecito se la conseguenza prevista [corsivo mio] di un atto comporta un bene maggiore; invece danneggiare qualcun altro come mezzo deliberato [corsivo mio] per un bene maggiore non è lecito».[12] In definitiva, manovrare lo scambio è moralmente accettabile in quanto l’uccisione di un innocente è soltanto un effetto collaterale prevedibile ma non consapevolmente scelto dell’attuazione di un’intenzione volta a salvare delle vite umane; al contrario, quando si decide di far precipitare l’uomo grasso dal ponte, si utilizza scientemente una persona quale strumento per fermare il carrello ferroviario, ossia si degrada la sua umanità a mezzo per un fine, in contrasto con una delle forme dell’imperativo categorico kantiano, che sembra in effetti dar voce ad alcune intuizioni etiche largamente ed istintivamente diffuse tra gli esseri umani. Nel primo caso, è l’azione del tirare la leva dello scambio a costituire il mezzo che consente di salvare gli altri individui; nello scenario dell’uomo grasso, invece, è proprio l’uccisione deliberata di quest’ultimo – avvenga ciò con una spinta o premendo un interruttore – ad impedire che cinque persone muoiano.[13]
In verità, se queste conclusioni sono tutt’altro che trascurabili, individuando alcune delle componenti antropologiche universalistiche che intervengono nella strutturazione dinamica dei giudizi morali, paiono tuttavia peccare di un’evidente astrattezza – come si avrà del resto modo di osservare dettagliatamente più avanti – rispetto alla concreta processualità storicamente situata delle decisioni etiche davvero rilevanti. Edmonds si avvede meritoriamente di tali complessi problematici, tuttavia non approfondendoli adeguatamente nell’insieme di mediazioni reali che li costituiscono, quando, a proposito della menzionata dottrina del duplice effetto applicata a situazioni storico-politiche, rileva: «[…] c’è la preoccupazione pratica che la DDE possa essere utilizzata come una scusa per eludere o scuotersi di dosso l’assunzione di responsabilità, soprattutto quando le azioni sono compiute in nome di uno Stato. Dovremmo essere soddisfatti del ministro della difesa che ordina un raid molto efficace contro un nemico malvagio, ma che dice: “Avevo compreso che gli abitanti dei villaggi sarebbero stati uccisi nel bombardamento: questo effetto collaterale della nostra operazione è deplorevole”?».[14]
Si riprenderanno successivamente tali questioni; recuperando invece per ora il filo dell’analisi relativa agli esperimenti mentali del carrello, si deve notare che Peter Singer ha svolto interessanti considerazioni filosofiche concentrando la sua attenzione su coloro che, affrontando il dilemma, assumono un’ottica utilitaristica contraria a quella della maggioranza, finendo coll’ammettere la liceità dell’uccisione dell’uomo grasso. «È il caso di ripensare – egli scrive rifacendosi alle ricerche sopra ricordate di Greene – ai soggetti che sono giunti alla conclusione, dopo qualche riflessione, che se è giusto azionare una leva per deviare un carrello, uccidendo così una persona ma salvandone cinque, è altrettanto giusto spingere una persona giù da un ponte, uccidendone una per salvarne cinque. Questo è un giudizio a cui altri mammiferi sociali non sembrano in grado di arrivare. Però è anche un giudizio morale. Esso sembra derivare non dalla eredità evolutiva che abbiamo in comune con gli altri mammiferi sociali, ma dalla nostra capacità di ragionare. Come gli altri mammiferi, noi disponiamo di risposte automatiche ed emozionali a certi tipi di comportamento, e queste risposte costituiscono un’ampia porzione di quella che è la nostra moralità. Ma a differenza degli altri mammiferi sociali, noi possiamo riflettere sulle nostre risposte emozionali e scegliere di rifiutarle».[15] Richiamandosi, invero con un eccessivo schematismo, ai modelli etici paradigmaticamente contrapposti di David Hume ed Immanuel Kant, Singer commenta che indubbiamente la nostra moralità non può basarsi esclusivamente sui responsi di una razionalità pura e incondizionata di stampo kantiano, e tuttavia, egli continua, «è altrettanto sbagliato considerare la moralità unicamente come una questione di risposte emozionali e istintive, non padroneggiata dalla nostra capacità di ragionare in modo critico. Non dobbiamo accettare come un dato scontato le risposte emozionali impresse nella nostra natura biologica nel corso di milioni di anni vissuti all’interno di piccoli gruppi tribali. Siamo capaci di ragionare, di fare delle scelte e possiamo respingere quelle risposte emozionali. Forse lo facciamo soltanto sulla base di altre risposte emozionali, ma questo processo comporta la ragione e la capacità di astrazione, e può condurci […] a una moralità più imparziale di quanto la nostra storia evolutiva di mammiferi sociali – in mancanza di quel processo raziocinante – ci consentirebbe».[16]

Peter Singer, Salvare una vita si può

Peter Singer, Salvare una vita si può


Se queste considerazioni di Singer ci permettono di fare un passo avanti lungo la strada di una definizione maggiormente concreta dei processi cognitivi, emozionali ed esperienziali implicati nella capacità umana di valutazione ed azione etico-sociale, esse però non determinano con una sufficiente acribia filosofica la natura del rapporto dinamico intercorrente tra le varie facoltà impegnate nella strutturazione delle nostre reazioni morali di fronte alle differenti alternative che il decorso dell’esistenza ci presenta. Si ponga mente, per un primo approccio a tali questioni, alla differenza essenziale che intercorre tra i vari scenari del dilemma del carrello e altri casi, affatto diversi, presentati dallo stesso Singer, tutti comportanti un riferimento al rapporto intercorrente tra schemi comportamentali dettati da risposte emozionali automatiche e riflessione razionale. Non può sfuggire che l’interazione tra la dimensione emozionale e il “calcolo” deliberativo delle facoltà ragionative conduce, nel complesso di tali esempi, ad un diverso atteggiarsi di tale rapporto rispetto alla validità assiologica dei comportamenti conseguenti. In un suo libro dedicato alle azioni che si possono effettivamente mettere in atto, già a livello individuale, per contribuire a sconfiggere la povertà (libro invero assai deludente nella capacità di analisi delle cause di fondo delle spaventose sperequazioni esistenti nella distribuzione mondiale della ricchezza),[17] il filosofo australiano indica alcuni fattori psicologici originari che possono in considerevole misura tendenzialmente ostacolare o comunque limitare le donazioni rivolte da cittadini del (relativamente) benestante Occidente agli abitanti di paesi lontani devastati dalla piaga della miseria. Egli ne evidenzia in particolare cinque, tra i quali, per gli scopi della nostra argomentazione, può bastare menzionare i primi due, assai perspicui, ossia l’«effetto della vittima identificabile» e il «provincialismo». Entrambe queste reazioni emotive di fronte a chi è in difficoltà tendono a privilegiare chi è personalmente riconoscibile o incluso per definizione nel proprio gruppo di appartenenza – più o meno largo che sia – rispetto a coloro che costituiscono una massa anonima e distante.

Telmo Pievani, Evoluti e abbandonati

Telmo Pievani, Evoluti e abbandonati

Si deve ricordare, a tal proposito, che le matrici evolutive di queste spinte comportamentali, sottolineate da Singer, corrispondono in effetti ad alcuni dei meccanismi ipotizzati dallo stesso Darwin, nell’ambito di una spiegazione plurale e multifattoriale del sorgere dei prodromi dei sentimenti altruistici e cooperativi: a tal proposito, il filosofo delle scienze biologiche Telmo Pievani afferma che, secondo uno dei processi esplicativi adottati dal grande naturalista britannico, «la selezione può agire anche tra famiglie e tribù, favorendo al contempo la cooperazione e l’altruismo all’interno del gruppo (in group) e l’aggressività e la violenza fra gruppi (out group), anticipando quell’idea di ambivalenza del comportamento umano oggi sottolineato da Wilson e da altri autori, come Samuel Bowles su “Nature” nel 2008».[18] Ovviamente, continua Pievani, Darwin è ben lungi dal trascurare quelle «capacità di raziocinio e di giudizio morale tali da permettere [alla specie umana] di alimentare (o di contrastare) queste attitudini evolutive»,[19] anticipando così, almeno a grandi linee, quella linea di ragionamento che stiamo esaminando in Singer. Quest’ultimo, a proposito degli effetti generati del principio della «vittima riconoscibile», rammenta il seguente episodio, che ben chiarisce quali problemi etici sorgano da talune risposte emozionali non vagliate da un più approfondito ed esaustivo ragionamento morale: «[…] Jessica McClure, nel 1987, a diciotto mesi, è caduta in un pozzo a Midland, in Texas. Nei due giorni e mezzo durante i quali i suoi soccorritori furono impegnati nell’opera di salvataggio, la Cnn seguì in diretta l’accaduto trasmettendo le immagini di fronte a milioni di spettatori in tutto il mondo. I telespettatori inviarono così tanto denaro che oggi Jessica è in possesso di un capitale pari a un milione di dollari. Secondo le cifre dell’Unicef, nel resto del mondo in quei due giorni e mezzo sono morti 67.500 bambini per cause evitabili legate alla povertà, privi di attenzione da parte dei media e senza l’aiuto del denaro inviato a Jessica. Ciò nonostante era chiaro a tutti che Jessica dovesse essere salvata a ogni costo».[20]
I limiti e le inerzie di modalità di risposte emozionali istintive – talvolta d’ostacolo ad una più retta condotta – possono tuttavia per Singer essere trascesi – almeno parzialmente – dalle facoltà raziocinanti degli esseri umani, cosa che se da un lato attenua la spinta emotiva immediata che conduce ad agire, dall’altro la radica in un più comprensivo e solido orizzonte etico: «Determinati schemi comportamentali che hanno garantito ai nostri antenati di sopravvivere e riprodursi, in circostanze molto diverse, quali quelle attuali, potrebbero non recare alcun beneficio a noi e ai nostri discendenti. Se anche alcune intuizioni o alcuni modi di agire particolarmente evoluti fossero ancora utili per la nostra sopravvivenza e riproduzione, ciò non significa, come lo stesso Darwin ha riconosciuto, che siano giusti. […] Certo concludere razionalmente che i bisogni degli altri debbano contare quanto i nostri non è la stessa cosa che sentirlo con il cuore, ed è questo il vero motivo per cui non rispondiamo ai bisogni delle popolazioni più povere del mondo come risponderemmo a qualcuno che davanti a noi si trova in difficoltà», sebbene ciò non implichi affatto, come Singer stesso testimonia con probanti esempi, che la comprensione razionale o l’argomentazione non possano mai in misura più o meno ampia riorientare l’agire delle nostre tendenze simpatetiche e altruistiche.[21]
Un tale rinvio al rapporto dinamico che intercorre tra facoltà razionali e predisposizioni emotive della specie umana consente indubbiamente di cogliere con maggior profondità la processualità che origina i giudizi morali; nonostante ciò, tale relazione deve essere meglio specificata sia rispetto al suo vario atteggiarsi, sia in riferimento alla dialettica storico-sociale che mette alla prova nelle sue più significative forme la nostra concreta eticità. Non può sfuggire, quanto al primo aspetto della questione, che i casi elencati da Singer a proposito delle azioni riguardanti l’aiuto alle popolazioni povere pongono in gioco un rapporto sostanzialmente conflittuale tra riflessione razionale e intuizioni morali di stampo emozionale, le quali debbono essere in qualche modo limitate e superate per consentire al comportamento di accedere ad un più vasto orizzonte etico. Al contrario, la disamina razionale del dilemma del carrello non solo non contrasta con la risposta istintiva data dalla stragrande maggioranza degli interpellati, ma anzi, attraverso la dottrina del duplice effetto, la legittima, mostrando come un ragionamento piattamente utilitaristico concorrerebbe a giustificare una forma di convivenza in cui, in ragione di un calcolo meramente numerico, si ammetterebbe il degrado a semplice mezzo dell’umanità delle persone, facendo incombere su chiunque il pericolo di essere utilizzato come strumento inconsapevole per fini (spesso solo sedicenti) più alti e rendendo giustificabile il massacro di mille persone per salvarne, per esempio, duemila. Certamente, come si è già accennato, anche la dottrina del duplice effetto può subire una manipolazione che legittimi intollerabili nefandezze in nome dei «danni collaterali solo previsti», ma ciò riguarda – e tra pochissimo lo si esaminerà con più cura – la distorsione ideologica del suo uso, il che rimanda alla storicità concreta dei più rilevanti problemi etici cui fin dall’inizio del presente saggio ci si è richiamati. Per quanto attiene, quindi, alla formulazione dei giudizi morali, essi si originano da un’interazione concretamente situata di molteplici potenzialità emozionali e cognitive, interazione che può comportare tra esse, di volta in volta, collaborazione, conflitto, rimodulazione, ecc.
Di essenziale importanza appare, in particolare, il carattere socialmente e storicamente situato, determinato, del ventaglio di alternative cui devono rapportarsi le ideazioni e le posizioni etico-sociali dotate di maggior rilievo e concretezza, in quanto soltanto il confronto con questa dimensione consente di verificare in qual misura il giudizio e l’agire morali siano condizionati dall’ideologia, intesa come fattore legittimante, in vario modo, sia le estraniazioni vigenti sia quelle potenzialmente intrecciate a momenti ideali e atti del porre teleologico che rappresentino sé stessi come liberatori rispetto alle differenti modalità dell’oppressione sociale esistente. Lo stesso Singer, per esempio, affrontando il problema della povertà e della nostra reazione ad essa, non s’avvede di ricalcare schemi pesantemente ideologici, quando, senza definire ulteriormente la dialettica storico-sociale dalla quale i fenomeni da lui evidenziati in gran parte scaturiscono, si limita ad osservare che «il divario fra il tenore di vita nei paesi sviluppati e nei paesi in via di sviluppo è spaventosamente aumentato, al punto che gli abitanti delle nazioni industrializzate hanno più possibilità di aiutare chi è lontano e maggiori ragioni per concentrare su di essi il loro buon cuore: è nei paesi lontani che vive la maggioranza di coloro che si trovano in povertà estrema».[22] La modulazione dell’agire intrecciato delle diverse facoltà concorrenti alla determinazione delle risposte ai problemi etici che ci si impongono con valenze umane di differente ma reale pregnanza, non può perciò prescindere, nei casi moralmente più significativi, dalla natura dei processi sociali riproduttivi dati, dai conflitti ad essi immanenti e dalle possibilità alternative che questi ultimi consentono di prefigurare. Se dilemmi quali quello del carrello, di conseguenza, manifestano una loro parziale validità in virtù del gioco di predisposizioni cognitive e di automatismi emozionali che permettono di illuminare, peccano tuttavia gravemente per la loro astrattezza, riducendo drasticamente il tempo e le scelte dell’azione, a causa di scenari da cui è cancellato ogni riferimento a quella densa problematicità storico-sociale rispetto alla quale le alternative si complicano e si infittiscono, richiedendo processi decisionali assai più articolati.

Simon Baron-Cohen, La scienza del male

Simon Baron-Cohen, La scienza del male

In realtà, se si analizza, ad esempio, il decorso effettivo dell’attività simpatetica, ci si imbatte assai facilmente in una dinamica in cui le predisposizioni empatiche, la dimensione razionale-riflessiva e le influenze dell’esperienza sociale interagiscono variamente – a seconda delle circostanze individuali e storiche – per dar vita a comportamenti differenziati. Si pensi, in tal senso, ai casi eclatanti di violenza e malvagità collettive citati da Simon Baron-Cohen in un suo studio sulle origini della crudeltà, da lui ravvisate in un processo di «erosione dell’empatia», di cui sono evidenti le componenti psicologiche e socio-culturali, almeno che non entrino in gioco lesioni permanenti del circuito cerebrale legato alle attitudini empatiche.[23] Definita l’empatia come «la nostra capacità di identificare ciò che qualcun altro sta pensando o provando, e di rispondere a quei pensieri e sentimenti con un’emozione corrispondente»,[24] Baron-Cohen afferma che il male deriva appunto da un’«erosione empatica», la quale «può svilupparsi a causa di emozioni corrosive, come il portare risentimento, il desiderio di vendetta, l’odio cieco o anche il desiderio di proteggere».[25] Tutte emozioni, come è facile arguire, che, a partire dal loro radicamento biologico, possono poi venir plasmate, nelle loro concrete espressioni, da una trama complessa di condizionamenti sociali e culturali, non risultando quindi affatto necessariamente impermeabili all’influenza dell’agire situato della dotazione autoriflessiva e logico-razionale della specie.

Michael S. Gazzaniga, La mente etica

Michael S. Gazzaniga, La mente etica

Frans de Waal, La scimmia che siamo

Frans de Waal, La scimmia che siamo

Esaminando alcuni meccanismi di memorizzazione delle informazioni in entrata, Michael Gazzaniga ci mostra più in dettaglio in qual maniera il pregiudizio ideologico può incidere sulle nostre capacità di rispondenza empatica, elaborando – sulla base di precise potenzialità neurobiologiche – i nostri ricordi in conformità con un sistema stereotipato di aspettative e reazioni. Il cervello – spiega l’eminente neuroscienziato, che menziona il ruolo coerentizzante dell’«interprete dell’emisfero sinistro» contrapposto alla rilevazione di «anomalie» da parte dell’emisfero destro –[26] tende a distorcere le informazioni ricevute affinché si incastrino con le credenze sul mondo attualmente possedute, incasellandole in categorie specifiche da memorizzare.[27] «Queste divisioni – continua Gazzaniga – sono spesso associate a sensazioni e credenze particolari, e da quell’associazione deriva il fondamento dello stereotipo. [Come intuito originariamente da Gordon Allport,] una persona di pelle scura [per esempio] attiverà qualsiasi concetto di [afroamericano] dominante nella nostra mente. Se la categoria dominante è composta da atteggiamenti e credenze negative, noi automaticamente lo eviteremo, o adotteremo qualsiasi atteggiamento di rifiuto più confacente per noi».[28] E proprio questo sembra essere quello che accade, beninteso prescindendo da quella molteplice serie di circostanze che possono innescare un processo, almeno in parte razionale ed autoriflessivo, di revisione più o meno profonda delle nostre convinzioni: «In una ricerca, ad alcuni soggetti fu sottoposto un elenco di tipici nomi “bianchi” (come Franck Smith o Adam McCarthy) mescolati ad altri tipicamente “di colore” (come Tyrone Washington o Darnell Jones). Nessuno di loro era un criminale. Eppure alla richiesta di identificare dai nomi dell’elenco i criminali citati dalla stampa, il soggetto medio «ricordava» di aver sentito 1,7 volte di più i nomi “di colore” rispetto a quelli “bianchi”. Probabilmente questa distorsione da stereotipo contribuisce alla maggior falsa identificazione di uomini di colore come criminali rispetto a persone dalla pelle di colore diverso».[29]
Da parte sua, parzialmente differenziandosi dalle definizioni offerte da Baron – Cohen, il grande primatologo Frans de Waal sostiene che la sensibilità empatica per la situazione altrui, pur essendo una condizione ineludibile di legame altruistico, non coincide affatto con la spinta simpatetica ad operare per il benessere dell’altra persona, potendo anzi, in virtù di fattori simili a quelli testé elencati, originare comportamenti crudeli e brutalmente estranianti: «[…] questa stessa capacità di capire gli altri rende possibile anche far loro del male di proposito: sia la compassione sia la crudeltà dipendono dalla capacità di immaginare come il proprio comportamento abbia effetto sugli altri».[30]
Proprio l’ambivalenza dell’empatia riconosciuta da de Waal riconferma dunque come l’agire morale, inserito nella concretezza di situazioni e processi prefiguranti molteplici alternative possibili, si nutra di una combinazione intrecciata di facoltà, non potendo basarsi soltanto su alcune generali intuizioni di fondo o sulla semplice predisposizione empatica, testimoni tuttavia di una comune consonanza emozionale su cui possono agire, in reali circostanze storico-sociali, le facoltà raziocinanti e autoriflessive della specie, modulando le reazioni etiche più conformi al miglior operare della tensione eudemonistica umana, seppur al di fuori di ogni meccanica necessità. In tal senso, non sembra essere del tutto convincente ciò che scrive Eugenio Lecaldano quando, concordando sostanzialmente con l’etica di stampo humeano, riconduce la valutazione morale ultima alla struttura sentimentale del nostro essere, riducendo indebitamente lo spazio della riflessione autocosciente. Individuato in Hume un primo livello di azione della simpatia, corrispondente all’automatismo del contagio emozionale, Lecaldano mostra come esso non possa elevarsi, per il grande filosofo scozzese, all’imparzialità propria del giudizio morale, portandoci «a simpatizzare più facilmente e più intensamente con ciò che è più vicino nello spazio e nel tempo e con coloro che sono più simili a noi».[31] Tuttavia, continua Lecaldano, secondo Hume la simpatia opera anche ad un secondo livello, in cui la comprensione partecipata ai dolori e ai piaceri altrui si nutre di un certo grado di immaginazione e riflessione, permettendoci di operare una distinzione tra noi e l’altra persona, di metterci nei suoi panni e di ricostruire con maggior precisione i suoi comportamenti e i loro effetti.[32] Perché venga formulato un vero e proprio giudizio etico, tuttavia, è indispensabile che gli esiti di questa «simpatia riflessiva» vengano integrati «da quei sentimenti morali che spingono a trovare accettabili o rifiutabili le azioni e le qualità delle persone che abbiamo ricostruito […] E questo – conclude Lecaldano seguendo la teorizzazione humeana – può essere spiegato con semplicità, tenuto conto che la nostra struttura sentimentale (si badi bene: non la nostra simpatia) è fatta in modo da trovare il male in quelle situazioni in cui degli esseri subiscono, per le azioni di altri, sofferenze o danni che non vogliono».[33] La qual cosa sembrerebbe indiscutibile, se non fosse che l’agire dell’ideologia tende proprio ad innalzare ad universale validità umana le dinamiche riproduttive estranianti che legittima, negando l’oppressione e la sofferenza, sminuendole o, comunque, relativizzandole alla luce delle presunte necessità del buon funzionamento dell’ordine sociale dominante o, addirittura, dell’ordine delle cose. È ovvio, allora, che solo un’accurata problematizzazione razionale può cercare di fornire alla nostra dotazione emozionale i mezzi più adeguati per esprimersi in una reazione etico-politica credibile e realmente disalienante.
Un ulteriore chiarimento di queste tematiche può venirci dalla discussione circa importanti elementi analitici che emergono dal dilemma del carrello, elementi da tempo oggetto di accese controversie filosofiche. La risposta utilitaristica di chi ucciderebbe l’uomo grasso trascura, tra le altre cose, di porre in adeguato rilievo il ruolo spettante alle intenzioni nella valutazione delle scelte morali umane; come ben sintetizza Edmonds – alla fine di una lunga rassegna di posizioni tra le quali va citata almeno quella di Bernard Williams, decisamente critica nei confronti dell’eccessiva schematicità dell’utilitarismo –,[34] «al cuore [della DDE] c’è la differenza tra l’intenzione e la semplice previsione: nel Ramo deviato prevediamo ma non intendiamo procurare una morte, nell’Uomo grasso lo facciamo», assecondando «la potente risonanza intuitiva» di ripulsa che una simile distinzione genera nella stragrande maggioranza degli individui e che la ragione filosofica riesce, da Tommaso d’Aquino almeno, a legittimare.[35]

Noam Chomsky, La scienza del linguaggio. Interviste con James McGilvray

Noam Chomsky, La scienza del linguaggio. Interviste con James McGilvray

Noam Chomsky, Capire il potere

Noam Chomsky, Capire il potere

Ancora una volta, però, l’assenza di un’adeguata contestualizzazione ontologico-sociale di siffatte distinzioni semplifica arbitrariamente la reale problematicità connessa al giudizio sugli scopi e sui mezzi di linee di condotta etica, sociale e politica, storicamente concrete. Conversando con il grande linguista e pensatore Noam Chomsky, James McGilvray si sofferma sulla questione della eventuale esplicita negazione del carattere universale dei principi morali sostenuti dalla propria parte politica. Chomsky, implicitamente richiamandosi a quella dotazione mentale innata che spinge a disegnare le divergenze etiche entro uno stesso terreno morale condiviso,[36] osserva che anche chi – come, per esempio, Henry Kissinger – ammette senza remore «che il dominio morale non può essere universalizzato», non può poi non giustificare questa sua affermazione sulla base di principi che pretendono di valere universalmente, come per esempio quello secondo cui «gli Stati Uniti agiscono sempre nel miglior interesse dell’umanità, e addirittura negli interessi di coloro che vengono aggrediti».[37] È proprio la tendenza umana a concepire e coerentizzare riflessivamente un ventaglio di possibili modalità alternative di modulazione dei rapporti etico-sociali, a partire da una comune dotazione cognitiva ed emozionale, empatico-simpatetica, a rendere necessaria, insomma, la legittimazione ideologica delle vigenti logiche riproduttive, quali che siano le forme – ontologico-naturali, teologiche, pragmatiche, ecc. – mediante cui ciò avviene. Così, per fare solo alcuni significativi esempi, gli Ateniesi, nel V secolo avanti Cristo, potevano giustificare la loro politica aggressiva nei confronti dei Meli, sostenendo «che nel cosmo divino, come in quello umano (vale l’opinione per il primo, ma per l’altro è una sicurezza nitida) urge eterno, trionfante, radicato nel seno stesso della natura, un impulso: a dominare, ovunque s’imponga la propria forza. È una legge, che non fummo noi ad istituire, o ad applicare primi, quando già esistesse. L’ereditammo che già era in onore e la trasmetteremo perenne nel tempo, noi che la rispettiamo, consapevoli che la vostra condotta, o quella di chiunque altro, se salisse a tali vertici di potenza, ricalcherebbe perfettamente il contegno da noi tenuto […]».[38] A sua volta, secoli dopo, per coerentizzare le atroci pratiche colonialistiche con la sua accanita difesa della libertà umana (intesa peraltro nei temini dimidiati del liberalismo), John Stuart Mill affermava l’inderogabile esigenza di proteggere «dalle proprie azioni quanto dalle minacce esterne […] coloro che ancora necessitano dell’assistenza altrui. Per la stessa ragione, possiamo tralasciare quelle società arretrate in cui la razza può essere considerata minorenne. […] Il dispotismo è una forma legittima di governo quando si ha a che fare con barbari, purché il fine sia il loro progresso e i mezzi vengano giustificati dal suo reale conseguimento. La libertà, come principio, non è applicabile in alcuna situazione precedente il momento in cui gli uomini sono diventati capaci di migliorare attraverso la discussione libera e tra eguali. Fino ad allora, non vi è nulla per loro, salvo l’obbedienza assoluta a un Aqbar o a un Carlomagno se sono così fortunati da trovarlo».[39]

Amartya Sen, La democrazua degli altri

Amartya Sen, La democrazua degli altri

Danilo Zolo, Terrorismo umanitario

Danilo Zolo, Terrorismo umanitario


Negli ultimi decenni, poi, in nome di «ragioni etiche», di un sedicente «interventismo umanitario e democratico», la «comunità internazionale», ossia «in realtà le grandi potenze occidentali, Santa Alleanza del nostro tempo “globale”», guidata dagli Stati Uniti, ha giustificato, tra le altre, le spedizioni militari contro l’Iraq del 1990-91 e del 2003, e la guerra contro l’Afghanistan del 2001: «Ispirati – commenta Danilo Zolo – alla strategia del Broader Middle East – il progetto di convertire alla democrazia l’intero mondo islamico con la forza delle armi – questi interventi «umanitari» hanno mirato a controllare militarmente l’intero Medio Oriente, e cioè il cuore della tradizione religiosa e della civiltà islamica e, nello stesso tempo, il centro di un immenso bacino di risorse energetiche. Si è trattato di conflitti asimmetrici, nei quali gli strumenti di distruzione di massa sono stati usati dalle potenze occidentali per fare strage di civili inermi, per diffondere il terrore, per distruggere le strutture civili e industriali di intere città e di interi paesi».[40] Infine, lo stesso relativismo intrinseco alla «modernità liquida» baumaniana,[41] presuppone quale suo sostrato ontologico-sociale l’assolutizzazione etico-umana, tendenzialmente universale, della categoria della merce capitalisticamente prodotta e consumata, come mirabilmente spiega Günther Anders formulando il concetto di «pluralismo interiorizzato» e chiarendone le matrici onto-antropologiche: «I prodotti che non possono essere smerciati a chiunque sono cattive merci. Se si vuole rendere allettante e smerciabile un prodotto appartenente originariamente a una determinata «religione» o concezione del mondo, la sua forza di attrazione non deve più derivare dalla sua pretesa di verità (che risulta sempre limitata o elitaria o vincolante). La sua forza di richiamo e d’attrazione deve piuttosto consistere in qualcosa di non impegnativo: nella sua bellezza, o nella sua presunta idoneità formativa o nel suo valore di intrattenimento o nel suo essere interessante – in ogni caso in una qualità che si potrebbe semplicemente confare a un prodotto qualunque: idoli lignei congolesi come dischi di cori gregoriani, riproduzioni di “Guernica” di Picasso o mini-bikini – tutti questi prodotti possono, anzi devono in egual misura diventare merci che abbiano pari diritti e che godano di pari indulgenza. La tolleranza attuale [limitata, beninteso, a ciò che non costituisce intralcio alla mercificazione universale e alla sua parziale destrutturazione delle identità individuali] non deriva solo dalla storia religiosa o dalla politica ecclesiastica, ma anche dal mondo del commercio. Tutte le religioni, le concezioni del mondo, tutti gli stili artistici, i fenomeni e i “valori culturali” hanno lo stesso diritto alla tolleranza, perché hanno lo stesso diritto di comparire come merci».[42]

Keith Tester, Società, etica, politica.

Keith Tester, Società, etica, politica.


In definitiva, sono esattamente le stesse strutture mentali, le stesse facoltà cognitive aperte alla prefigurazione del possibile, le stesse predisposizioni emozionali, le quali, nella loro interazione in situazione, consentono di perseguire riflessivamente e dialetticamente la progettazione universalizzante di ciò che realmente contribuisce all’umanizzazione dell’uomo e alla migliore estrinsecazione della sua tensione eudemonistica, a costituire il terreno da cui sorge la falsa universalizzazione ideologica, l’esigenza di difendere i rapporti sociali dominanti non solo con la pratica repressiva diretta ma anche attraverso la tendenziale introiezione delle vigenti forme estraniate di esistenza individuale e collettiva, esperite quali modelli di vita umana autentica o migliore o, comunque, come gli unici positivamente praticabili. Dovrebbero ormai essere chiari, perciò, i motivi per cui dilemmi schematici e legati a scelte immediate comunque dolorose, quali quelli del carrello, non possano, da soli, render conto della complessità di processi tanto più ricchi di alternative, tanto più problematici nella identificazione degli effettivi obiettivi e intenzioni degli agenti coinvolti, richiedendo invece un’accurata tematizzazione onto-assiologica che, senza disperdere il patrimonio di acquisizioni di tali studi scientifico-filosofici, li precisi e li valorizzi in una più consona e comprensiva sintesi concettuale.

Jonathan Haidt, Menti tribali

Jonathan Haidt, Menti tribali

La stessa assenza di una concreta determinazione dell’interconnessione tra il ventaglio delle nostre facoltà specie-specifiche e le reali dinamiche storico-riproduttive quale terreno oggettivo di possibile universalizzazione delle più alte acquisizioni etico-sociali dell’umanità, la si ritrova anche nella teoria dei fondamenti della morale elaborata dallo psicologo e filosofo Jonathan Haidt per render conto di quali siano le essenziali matrici da cui traggono vita i molteplici contrasti politici ed etici interumani.[43]
Anzitutto, nei suoi studi condotti assieme a Craig Joseph, egli applica all’indagine del mondo morale della nostra specie il concetto di «modulo», riprendendolo dagli antropologi cognitivi Dan Sperber e Lawrence Hirschfeld. I moduli sono circuiti neuronali innati, altamente specializzati, che elaborano certi tipi di stimoli o input, i quali, nell’ambiente ancestrale, hanno creato problemi o opportunità; quando vengono attivati dai fenomeni che ad essi competono, i moduli innescano reazioni intuitive e, probabilmente, emozioni specifiche (per esempio l’istintiva cautela timorosa che si prova di fronte ad un animale potenzialmente pericoloso). Tutto ciò non comporta, però, la negazione della varietà culturale, in quanto «Sperber ed Hirschfeld [distinguono] tra fattori scatenanti (triggers) originari e attuali di un modulo. I fattori scatenanti originari sono le categorie di oggetti per cui il modulo [si è formato mediante selezione naturale] (in altre parole, la categoria composta da tutti i serpenti è la causa scatenante originaria di un modulo di rilevazione di serpenti). I fattori scatenanti attuali comprendono invece qualsiasi altra cosa accidentalmente in grado di attivare il modulo (come serpenti veri o finti, bastoncini ricurvi o funi, tutte cose che possono spaventarci se le vediamo all’improvviso nell’erba). I moduli commettono errori, e molti animali hanno sviluppato con l’evoluzione dei trucchi per approfittare degli errori di altri animali. Per esempio, i sirfidi hanno sviluppato strisce gialle e nere che li rendono simili a vespe, in modo da innescare in alcuni uccelli, potenziali loro predatori, il modulo che li induce a evitare le vespe».[44]
Proprio questa distinzione tra il dominio ontologico costitutivo di un modulo e il suo dominio attuale consente ad Haidt di rendere almeno parzialmente conto delle variazioni culturali della morale, in quanto «le culture sono in grado di ridurre o moltiplicare il numero di fattori scatenanti attuali di un qualsiasi modulo. Per fare un esempio, negli ultimi cinquant’anni in molte società occidentali le persone hanno sviluppato un senso di compassione molto più ampio che in passato nei confronti di vari tipi di sofferenze degli animali; al tempo stesso, il disgusto avvertito nei confronti dell’attività sessuale si è ristretto a un numero più piccolo di varianti. I fattori scatenanti attuali possono cambiare nell’arco di una generazione, mentre modificare il progetto del modulo e i suoi fattori scatenanti originari richiede molte generazioni di evoluzione genetica».[45]
Stabiliti i limiti e i modi secondo cui i codici morali culturalmente definiti possono variare, Haidt aggiunge poi che «nell’ambito di qualsiasi cultura si può notare come parecchie controversie morali implichino modalità alternative di collegare un determinato comportamento a questo o quel modulo morale».[46] In altri termini, se per qualcuno può essere «un atto crudele e oppressivo» dare «scappellotti ai bambini che disubbidiscono», per altri è invece un comportamento giustamente volto a sanzionare inaccettabili trasgressioni alle regole, «come quella del rispetto dovuto ai genitori e agli insegnanti».[47] Così, conclude l’autore, «anche se abbiamo tutti lo stesso ristretto set di moduli cognitivi, le modalità per agganciare delle azioni a questi moduli sono talmente varie e numerose che si finisce per costruire, sugli stessi principi morali, una varietà di matrici addirittura in conflitto tra loro».[48]
Sulla base di questi presupposti, Haidt cerca dunque di individuare quali siano «i migliori candidati a diventare i moduli cognitivi universali su cui le culture costruiscono matrici morali»,[49] finendo con l’elencare le seguenti sei coppie fondamentali di termini oppositivi, selezionate da originarie sfide adattative, rispetto alle quali si declinano in forme molteplici i differenti codici morali culturalmente determinati: protezione/danno, correttezza/inganno, lealtà/tradimento, autorità/sovversione, sacralità/degradazione, libertà/oppressione.[50]

Ines Adornetti, Buone idee per la mente

Ines Adornetti, Buone idee per la mente

Terry Eagleton, Perché Marx aveva ragione

Terry Eagleton, Perché Marx aveva ragione

Sebbene non sia da trascurare affatto il rilievo dato a termini oppositivi universali che orientano i giudizi morali in ogni cultura, evidenziando interessi sostanzialmente identici per tutta la specie umana,[51] è nuovamente la fitta rete di mediazioni storico-sociali che interviene a definire mediante un’ampia gamma di varianti i contenuti culturali effettivi dei parametri di base, a complicare le cose, rendendo vano qualunque rigido automatismo specialistico di impronta modulare. Un conto, infatti, è appellarsi all’agire istintivo di uno o più moduli per valutare, per esempio, chi imbroglia in casi praticamente privi di rilevanti complicazioni dovute alla processualità storico-sociale, un altro è formulare giudizi etico-politici riguardanti ideazioni e posizioni teleologiche che si generano nel concreto di processi riproduttivi implicanti un gran numero di determinazioni e mediazioni storico-umane. È probabile, dunque, che semplici test quali quelli elaborati da Wason e da Cosmides possano effettivamente indurci a concludere, secondo le parole di Ines Adornetti, che «la mente sembra essere munita di un dispositivo, dotato di una logica tutta sua, che permette di individuare chi prende i benefici di uno scambio sociale senza pagarne i costi», rilevando piuttosto facilmente gli autori di un imbroglio.[52] Ma nella concretezza della dialettica storica è soltanto l’agire intrecciato, autoriflessivo e proiettivo delle nostre comuni facoltà cognitive ed emozionali a permetterci di elevarci ad una valutazione ed un giudizio etico-politici tanto più ricchi di tratti universalizzabili quanto più profonda è la loro individuazione dei meccanismi sociali che impediscono l’equilibrato esplicarsi sociale delle migliori potenzialità della specie e della tensione eudemonistica che l’accompagna. Proprio una tale profondità sembra invece far difetto ad Haidt, il quale ritiene di poter indicare una via per superare una relativistica considerazione delle differenti specificazioni culturali delle matrici originarie, limitandosi genericamente a suggerire, con ideologica superficialità ed unilaterale empirismo, «di guardare ai progressisti e ai conservatori come allo yin e allo yang: sono entrambi “necessari a una vita politica prospera”, per usare le parole di John Stuart Mill».[53]
Alla pensatrice che per prima ha concepito, in alcuni dei suoi tratti più significativi, il dilemma del carrello, la filosofa Philippa Foot, si deve un’analisi della natura del bene, nella quale ella ha compendiato la sua accanita riflessione sull’etica umana. I risultati a cui la Foot giunge rivestono un non trascurabile interesse filosofico, come vedremo, sebbene anche ad essi faccia difetto un’accurata e precisa disamina della dialettica storica di estraniazioni e processi umanizzanti, senza la quale è difficile elevarsi alla comprensione della dimensione ontologico-sociale che conferisce autentica concretezza ai problemi etici più rilevanti dell’umanità.

Philippa Foot, La natura del bene

Philippa Foot, La natura del bene

Anzitutto, la prima mossa filosofica dell’autrice consiste nel rivendicare fermamente il carattere integralmente naturalistico dell’etica, contrapponendosi all’asserita radicale irriducibilità del piano dei valori al piano dei fatti (alla base della nota critica mooriana alla «fallacia naturalistica»), la quale, in modi differenti, connota tanto la perdurante convinzione di George Edward Moore circa la possibilità di arrivare comunque ad una conoscenza etica oggettiva, quanto il non-cognitivismo di empiristi logici quali Alfred Jules Ayer o Charles Stevenson. Tale netta distinzione tra valori e fatti, spiega assai bene Luca Fonnesu, «ha per conseguenza […] che le possibilità di argomentazione razionale in etica siano limitate, sia che si assuma una posizione cognitivistica di tipo intuizionistico (come Moore), sia che se ne assuma una non-cognitivistica. Nel caso di Moore, l’argomentazione rimanda da ultimo all’intuizione di una proprietà valutativa oggettiva, indefinibile e non-naturale, la bontà, nel caso dei non-cognitivisti l’argomentazione si arresta di fronte alle diverse espressioni di emozioni e attitudini [del soggetto] che stanno a fondamento dei giudizi morali».[54]
Rifiutando recisamente l’oggettivismo etico «non-naturale» mooriano, così come il soggettivismo degli «emotivisti» – cui si apparenta, secondo lei, il «prescrittivismo» di Richard Hare –,[55] la Foot, chiaramente influenzata da Aristotele e Tommaso d’Aquino, afferma invece che il tratto distintivo della sua spiegazione «consiste nel collocare la valutazione dell’azione umana in un contesto più ampio, che comprende non solo la valutazione di altri aspetti della vita umana, ma anche i giudizi di valore relativi alle caratteristiche e alle operazioni di altri esseri viventi».[56] È sua ferma convinzione, infatti, che «nonostante tutte le differenze che ci sono fra la valutazione delle piante, degli animali e delle loro parti e caratteristiche, da un lato, e la valutazione morale degli esseri umani dall’altro, [si possano trovare] in esse una struttura logica di base e uno statuto in comune. La tesi [proposta] è che il difetto morale è una forma di difetto naturale non differente da quello che si può riscontrare in esseri viventi subrazionali».[57]
Il primo passo da compiere in questa direzione, continua la Foot, è allora quello di chiarire in che cosa consista la «bontà naturale» negli esseri viventi non umani.[58] Richiamandosi ad alcune tesi di Michael Thompson, ella sostiene che la descrizione dello sviluppo di una singola pianta, di un singolo animale, o di alcune loro parti, in termini di buona o difettosa realizzazione, dipende «dalla natura della specie, a cui appartiene l’individuo in questione».[59] Ovviamente le specie viventi sono soggette ad evoluzione naturale, la cui lentezza tuttavia consente di fissare «in un certo periodo storico […] le [loro] caratteristiche generali».[60] In tal modo, grazie a tale “fermo immagine”, è possibile la formulazione di un enunciato di storia naturale «che afferma che gli S sono F», per cui «se un certo individuo S (qui e ora, oppure là e allora) non è F, allora non è come dovrebbe essere: è debole, malato o ha comunque un difetto».[61] Così, per esempio, «supponiamo di voler valutare le radici di una quercia in particolare, e diciamo che ha delle buone radici, perché sono resistenti e profonde come devono essere le radici di una quercia. Se fossero state esili e superficiali sarebbero state cattive radici, ma così sono buone. Le querce devono stare erette perché, diversamente dai rampicanti, non potrebbero vivere altrimenti, e sono alberi alti e pesanti. Le querce hanno bisogno di radici profonde e resistenti, altrimenti hanno qualcosa che non va: è così che possiamo derivare la proposizione normativa».[62]
Ora, è difficilmente contestabile che gli uomini non siano ovviamente querce o qualsivoglia altra pianta o animale, ma ciò non muta essenzialmente, secondo la Foot, la struttura logico-ontologica del giudizio concernente la bontà o il difetto della realizzazione individuale umana, poiché semplicemente la adegua alle nostre caratteristiche specie-specifiche. Le facoltà razionali che caratterizzano la specie umana nell’animalità e socialità che le sono proprie, consentono agli uomini di sottoporre le loro possibili linee di condotta all’esame delle ragioni che le motivano, permettendo loro di interrogarsi sulla natura degli scopi e dei mezzi posti in opera in una dimensione riflessiva cosciente e non più meramente istintuale.[63] La maggior o minor moralità di un comportamento dipendono quindi dal grado maggiore o minore di attuazione che grazie ad esso ottengono le potenzialità costitutive della specie. Si consideri a tal proposito, esemplifica la Foot, quali siano la natura e le origini delle motivazioni che si possono ragionevolmente addurre per agire in un caso come quello che segue. «N ha un brutto raffreddore con febbre, ma sfortunatamente deve depositare un assegno in banca, altrimenti andrà in rosso».[64] Ora, stando così le cose, «N ha ragioni per uscire e ragioni per stare a casa»; poste queste circostanze, il suo «dovere» è qui relativo a due considerazioni di diverso tipo, entrambe tali da giustificare comportamenti opposti. Ipotizziamo tuttavia di aggiungere all’esempio, continua la Foot, «il fatto che N scopre di avere la febbre a trentanove: sicuramente ha l’influenza, e se esce rischia di ammalarsi più seriamente. In una situazione simile l’unica cosa razionale da fare è rimanere in casa. Se ci saranno inconvenienti a causa del suo conto in rosso, pazienza: N dovrebbe stare in casa, questa è la cosa razionale da fare. Potrà dire che è un male per lui andare in rosso, ma questo significa solo che è una situazione spiacevole, deplorabile. Se resta a casa, N agisce come dovrebbe (il “si dovrebbe” definitivo), e ciò implica che, così facendo, non agisce male. Agirebbe male invece – cioè in modo imprudente – se uscisse di casa nelle circostanze che abbiamo descritto ora, anche se si potrebbero sempre aggiungere altri elementi che la renderebbero la cosa giusta da fare, ad esempio si potrebbe supporre che se N si alza dal letto potrà evitare un incidente. In assenza di una nuova condizione di questo tipo, nel nostro esempio c’è un «si dovrebbe» predominante o definitivo che si impone sugli altri».[65]
È piuttosto evidente che la intelligente impostazione footiana del problema etico, correttamente oggettivistica e non disgiunta dalla naturale determinatezza dell’uomo, evidenzia in esempi siffatti la sua affatto lacunosa considerazione della logica che regge il funzionamento e la riproduzione della totalità sociale storicamente determinata entro la quale il «si dovrebbe, tutto considerato», nelle sue espressioni più rilevanti, si definisce. Solo innalzandosi ad una considerazione ontologico-sociale del movimento del tutto, con i suoi conflitti e le sue estraniazioni, si può infatti giudicare la natura di scelte che, apparentemente razionali secondo quella data dinamica e in quel dato contesto, non lo sono affatto rispetto ad alternative maggiormente umanizzanti che la riflessione autocosciente esercitata nel concreto della dialettica storica permette di prefigurare. Deve certamente essere ascritto a merito della Foot il fatto che ella faccia opportunamente riferimento all’intervento sempre possibile di ulteriori circostanze, ma tale opportuna avvertenza resta largamente inespressiva sul piano assiologico se ci si limita a qualche immediata costatazione empirica senza connettersi ad un più comprensivo inquadramento ontologico-storico.

György Lukács, Ontologia dell’essere sociale

G. Lukács, Ontologia dell’essere sociale

Tali difetti dell’elaborazione teorica della pensatrice inglese si riverberano, almeno in parte, anche sul modo in cui la Foot affronta il problema del rapporto tra agire virtuoso – ossia conforme alle più alte potenzialità della specie – e felicità. Ella si avvede giustamente, in effetti, della «vera tragedia che la scelta morale può comportare», rifiutando quindi un’immediata identificazione «fra felicità e vita virtuosa», citando il caso «di alcuni uomini coraggiosi che si opposero al nazismo», per i quali la resa alle presenti circostanze fattuali e i benefici conseguenti non si sarebbero in alcun modo potuti considerare felicità ma un’abdicazione alle migliori possibilità del loro essere.[66] Ciò nondimeno, in assenza di una teoria complessiva dell’estraniazione, determinata mediante un globale quadro di riferimento ontologico-sociale, restano del tutto indefinite, nel pensiero della Foot, le condizioni generali che consentirebbero alle tendenze mediamente operanti nella vita della totalità sociale di agire proprio al fine di permettere, nei limiti del possibile, lo sviluppo umanamente ricco e armonioso della personalità dei singoli e la profonda ed equilibrata attuazione della tendenza eudemonistica che ne conseguirebbe; come scrive magistralmente György Lukács, infatti, il potenziamento storico-sociale di singole capacità «non produce obbligatoriamente quello della personalità umana. […] l’antitesi di fondo tra sviluppo delle capacità e sviluppo della personalità sta alla base [degli] svariati modi di presentarsi [dei fenomeni di estraniazione]», costituendone proprio il loro aspetto comune e, dunque, l’ostacolo principale da abbattere nella concreta realizzazione di una quotidianità realmente e autenticamente democratizzata.[67]

Terry Eagleton, Il senso della vita. Una introduzione filosofica

Terry Eagleton, Il senso della vita. Una introduzione filosofica

La decisiva influenza marx-engelsiana presente in queste considerazioni lukácsiane, agisce fortemente, assieme ad una matrice aristotelica e ad una cristiana, anche sul modo in cui Terry Eagleton tratta lo stesso problema affrontato dalla Foot, concernente il nesso tra bene e felicità. Essendo per natura animali sociali, scrive lo studioso britannico, non possiamo aspirare ad un’attuazione il più possibile compiuta delle nostre più significative facoltà specie-specifiche se non per il tramite delle forme di relazione storicamente determinate che caratterizzano la società nella quale viviamo. Depurato da ogni immediata passionalità erotica o sentimentale e assunto nella sua valenza di legame interumano auspicabile, l’amore (agape) sembra essere per Eagleton la modalità di interazione sociale più consona alla nostra ricerca di un compimento individuale: esso, infatti, «significa creare per l’altro lo spazio in cui egli possa svilupparsi, mentre contemporaneamente l’altro fa lo stesso per noi», evitando quindi ogni forma di reciproca estraniazione che aliena, al contempo, ciascuno dalle sue migliori possibilità d’essere.[68] In tal senso, amore, felicità e bene umano possono armonizzarsi senza alcuna contraddizione: «Se la felicità è vista in termini aristotelici come un libero sviluppo delle proprie facoltà, e se l’amore è quel tipo di reciprocità che fa sì che ciò accada nel modo migliore, non esiste alcun conflitto ultimo tra loro. E nemmeno vi è un conflitto fra felicità e moralità, dato che trattare gli altri in maniera giusta e compassionevole è, in una visione generale delle cose, una delle condizioni per il proprio sviluppo».[69]
Il modo, poi, nel quale l’auspicabilità di una tale condizione – il cui razionale concetto è il portato dell’interagire riflessivo concretamente situato delle comuni facoltà cognitive ed emozionali della specie, a sua volta sottoponibile alla prova della riflessione filosofica, etica e politica – si possa tradurre in una quotidianità realmente funzionante e tendenzialmente umanizzata, spetta alle nostre capacità conoscitive, progettuali, pratiche e poietiche determinare e attuare, affinché la prefigurazione marx-engelsiana di una società di libere individualità non resti un nobile desiderio ma divenga realtà esperita e goduta, tanto quanto può consentirlo la nostra costitutiva finitezza materiale-naturale.

Claudio Lucchini
Note

[1] Cfr. David Edmonds, Uccideresti l’uomo grasso? Il dilemma etico del male minore [2014], Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014. Cfr. anche, a titolo di esempio, su tali dilemmi morali, l’analisi di Marc D. Hauser contenuta nel suo Menti morali. Le origini naturali del bene e del male [2006], il Saggiatore, Milano, 2007, pp. 118-125.

[2] D. Edmonds, ivi, p. 8.

[3] Ivi, p. 39.

[4] Ivi, p. 90.

[5] Ivi, p. 91.

[6] Cfr. ivi, pp. 134-135.

[7] Ivi, p. 136.

[8] Cfr. ivi, p. 137.

[9] Ivi, p. 136.

[10] Cfr. M. D. Hauser, Menti morali, cit., per esempio, p. 118.

[11] Cfr. ivi, pp. 121 – 125. Si vedano altresì, nel testo ripetutamente menzionato di Edmonds, le pp. 28 -31 o la p. 173.

[12] M. D. Hauser, ivi, p. 121.

[13] Cfr. ivi, pp. 123-125. Cfr., poi, in D. Edmonds, Uccideresti l’uomo grasso?, cit., le pagine 172 – 173, particolarmente chiare e pregnanti.

[14] D. Edmonds, ivi, pp. 31-32.

[15] Peter Singer, Moralità, ragione, diritti degli animali, in Frans de Waal, Primati e filosofi [2006], Garzanti, Milano, 2008, p. 180.

[16] Ivi, p. 181. Cfr. anche dello stesso Singer i saggi contenuti in Scritti su una vita etica [2000], Net, Milano, 2004, per esempio le pp. 288-297.

[17] Cfr. Peter Singer, Salvare una vita si può [2009], il Saggiatore, Milano, 2009.

[18] Telmo Pievani, Evoluti e abbandonati, Einaudi, Torino, 2014, p. 112.

[19] Ibidem.

[20] P. Singer, Salvare una vita si può, cit., p. 55.

[21] Cfr. ivi, pp. 67-68.

[22] Ivi, pp. 59-60.

[23] Cfr. Simon Baron-Cohen, La scienza del male [2011], Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012, pp. 7-11 e pp. 13-17.

[24] Ivi, p. 14.

[25] Ivi, p. 5.

[26] Cfr. Michael S. Gazzaniga, La mente etica [2005], Codice edizioni, Torino, 2006, pp. 132-133 e 143-148.

[27] Cfr. ivi, p. 131.

[28] Ivi, p. 131.

[29] Ivi, pp. 131-132.

[30] Frans de Waal, La scimmia che siamo [2005], Garzanti, Milano, 2006, p. 11.

[31] Eugenio Lecaldano, Simpatia, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2013, p. 51.

[32] Cfr. ivi, pp. 48-49 e 168-169.

[33] Ivi, pp. 168-169.

[34] Cfr. D. Edmonds, Uccideresti l’uomo grasso?, cit., pp. 80-81.

[35] Cfr. ivi, pp. 172-173.

[36] Cfr., su tali questioni, dello stesso Chomsky, Capire il potere [2002], Net, Milano, 2007, pp. 440-445.

[37] Cfr. Noam Chomsky, La scienza del linguaggio. Interviste con James McGilvray [2012], il Saggiatore, Milano, 2015, pp.155 e 382.

[38] Tucidide, La guerra del Peloponneso, traduzione dal greco di Ezio Savino, Garzanti, Milano, 1992, pp. 377-378 (V, 105).

[39] John Stuart Mill, Saggio sulla libertà [1858], Net, Milano, 2002, p. 13. Quanto tali posizioni di Mill siano gravate di stolidi pregiudizi può essere ben evidenziato da un confronto con il libro di Amartya Sen – pur carente sul piano dell’analisi delle dinamiche estranianti dei diversi modi di produzione –, La democrazia degli altri. Perché la libertà non è un’invenzione dell’Occidente [1999, 2003], Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2010.

[40] Danilo Zolo, Terrorismo umanitario. Dalla guerra del Golfo alla strage di Gaza, Diabasis, Reggio Emilia, 2009, pp. 15-16.

[41] Cfr., tra gli innumerevoli testi di Zygmunt Bauman dedicati allo studio di tali complessi problematici, l’importante libro-intervista curato da Keith Tester, Società, etica, politica. Conversazioni con Zygmunt Bauman [2001], Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002.

[42] Günther Anders, Uomo senza mondo [1984], in “Millepiani” n. 16, Mimesis Eterotopia, Milano, 2000, pp. 17-18.

[43] Cfr. Jonathan Haidt, Menti tribali. Perché le brave persone si dividono su politica e religione [2012], Codice edizioni, Torino, 2013.

[44] Ivi, pp. 157-158.

[45] Ivi, p. 158.

[46] Ibidem.

[47] Cfr. ivi, p. 158.

[48] Ibidem.

[49] Ibidem.

[50] Cfr. ivi, pp. 158-162 e 213-221.

[51] Si vedano, a tal proposito, le considerazioni in parte simili del pensatore marxista Terry Eagleton, seppur argomentate con diversa e più alta consapevolezza filosofica, contenute nel suo Perché Marx aveva ragione [2011], Armando Editore, Roma, 2013, pp. 80-83.

[52] Cfr., su tali questioni, Ines Adornetti, Buone idee per la mente. I fondamenti cognitivi ed evolutivi della cultura, CUEC Editrice, Cagliari, 2011, pp. 42-48.

[53] Cfr. J. Haidt, Menti tribali, cit., p. 400.

[54] Luca Fonnesu, Presentazione a Philippa Foot, La natura del bene [2001], il Mulino, Bologna, 2007, p. IX.

[55] Cfr. ivi, pp. 14-15.

[56] Ivi, p. 37.

[57] Ivi, p. 39.

[58] Cfr. ivi, p. 39.

[59] Cfr. ivi, p. 39.

[60] Cfr. ivi, p. 41.

[61] Cfr. ivi, pp. 41 – 42.

[62] Ivi, p. 60.

[63] Cfr. ivi, pp. 67 -72.

[64] Ivi, p. 72.

[65] Ivi, pp. 73-74.

[66] Cfr. ivi, pp. 112-115.

[67] Cfr. György Lukács, Ontologia dell’essere sociale [pubblicata postuma nel 1976], vol. II, Editori Riuniti, Roma, 1981, pp. 562-563.

[68] Cfr. Terry Eagleton, Il senso della vita. Una introduzione filosofica [2007], Ponte alle Grazie, Milano, 2011, pp. 130-133.

[69] Cfr. ivi, p. 133.


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Claudio Lucchini, Il cervello e il bene

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Daniele Orlandi – Quell’amore di Dino Buzzati

Dino Buzzati - Un amore

 

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Daniele Orlandi, Quell’amore di Dino Buzzati

 

Daniele Orlandi

Quell’amore di Dino Buzzati

 

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Taïde è, la puttana che rispuose
 al drudo suo quando disse “Ho io grazie
 grandi appo te?”: “Anzi maravigliose!” 

Dante, Inferno, XVIII, 133-135

 

Ci si può innamorare di una prostituta? Ragionavamo durante un corso illuminato del sempre caro professor Carmine Chiodo. Aula calda di corpi stipati e oltre i vetri la brina sui campi di mattine irreversibilmente perdute.
In termini di letteratura, ci dicevano – da Lesbia a Teodora[1], da Dulcinea del Toboso a Bocca di Rosa –, la risposta è affermativa. È possibile, anzi probabile, perdere la testa per una donna che, palesemente o sotto copertura, svolga la Professione. Oppure, e forse ancor di più, di una donna che non svolgendola ma guardandoci negli occhi, senza infingimenti alcuni dichiari: ebbene sì, in pensieri, parole, opere e omissioni io sono una puttana.

Un amore 02

Un amore 08

Un amore 07 A Love Affair

 

A questa antica domanda cercava di rispondere, con uno scavo interiore per l’epoca inaudito, anche Un amore. Libro coraggiosamente uscito nel 1963, anno straordinario in cui nelle patrie lettere venivano pubblicati romanzi epocali: da La cognizione del dolore di Gadda a La tregua di Primo Levi, da Lessico famigliare di Natalia Ginzburg a Una questione privata di Beppe Fenoglio. E ci fermiamo, altrimenti dovremmo aggiungere Fratelli d’Italia di Arbasino, Teorema di Pasolini o La giornata di uno scrutatore di Italo Calvino. Dovremmo disquisire sull’iconoclastia avanguardista del Gruppo ’63 e insomma, di questo ultimo anno del supposto boom economico di certo non verremmo più a capo.
Dicevamo: amare una donna imprendibile come la Fortezza Bastiani nel noto deserto di affettività. Una donna di facili costumi. Nell’Italia del Musichiere e delle prime lavatrici ma ancora nel paese della “Buon costume”. È fin troppo banale, per noi sopravvissuti al Novecento, costatare come il problema non stia nell’antinferno della promiscuità e della condivisione di lei con altri innumerevoli individui, quanto (nel caso non infrequente che la donna in questione del meretricio abbia sinanco la smaniosa indole) nella malebolgia della paura, nel panico di perderla, nell’insostenibile angoscia che da un momento all’altro possa dileguarsi, rendersi introvabile. Poiché qualcuno, prima o poi, le offrirà di più. Affitterà quella compagnia di carne e sangue a un prezzo maggiore (non migliore) lasciandoci tra le mani un amore di terra e pioggia.
Se poi, i due provenissero da incomunicabili umanità, voglio dire se lui fosse, mettiamo il caso un operaio o, peggio ancora, un intellettuale e lei una di quelle persone per cui una Mercedes SLK, una borsetta di Louis Vuitton e un ristorante blasonato contano incommensurabilmente di più di un romanzo, che so io, di Dino Buzzati, be’, in tal caso per lo sventurato amante l’approdo della sua ingestibile passione non potrebbe essere che la rinuncia o la rovina:

Intanto egli si sente precipitare sempre più giù, gli viene in mente il professore Unrath dell’Angelo azzurro. Oh come era vera quella storia […] Uno stimato professore di ginnasio degradarsi a quel punto. Oggi capisce. L’amore? È una maledizione che piomba addosso e resistere è impossibile[2].

Insomma, non serve che lei sia bella come Marlene Dietrich: un conto è saperla spregiudicata, altra storia è vederla puttana, essere osservatori partecipanti della sua inclinazione. C’è da impazzire. Perché lei, nel frattempo, è diventata simbolo vivo, quasi diremmo “logos incarnato” di un universo a te misterioso, fatto di cose che non sai, di locali proibiti, pubblicamente disprezzati ma oscuramente desiderati; ma, soprattutto, a te interdetto. Una vita che, pur a volerlo, non sapresti vivere. «Credete a chi n’ha fatto esperimento», direbbe l’Ariosto alle prese con la pazzia di Orlando, «che questo è ‘l duol che tutti gli altri passa» (dal Furioso, XXIII, 114-115).
A siffatto tormento si può forse contraporre soltanto l’analgesico di una pregressa esperienza. Ma, per sua triste fortuna, il protagonista del libro a cui si invita, l’architetto cinquantenne Antonio Dorigo, entrava in questo amore con commovente inconsapevolezza. E fu

come se quella ragazza fosse diversa dalle solite. Come se fra loro due dovessero succedere molte altre cose […] Come se ci fosse stata una predestinazione. Come quando uno, senza alcun particolare sintomo, ha la sensazione di stare per ammalarsi, ma non sa di che cosa né il motivo[3].

La squisita esattezza di queste righe. Una predestinazione, scrive l’autore e il personaggio inizia a crederci. Un po’ come la storia di quei due che «da sempre si cercavano nell’infinito dei mondi» e «all’ultimo s’erano una buona volta incontrati»[4], come racconterà, tre anni dopo, Giuseppe Berto, in un altro grande e dimenticato romanzo.
Se è così che ci s’innamora di una donna, sarà anche così che ci s’innamorerà di una prostituta.

***

Per noi bambini negli indomiti anni Ottanta, Dino Buzzati Traverso (Belluno, 1906 – Milano, 1972) era una firma in calce a qualche novella natalizia nel sussidiario di scuola elementare[5]. Con l’adolescenza venne anche il tempo di saperlo uno scrittore a tutti gli effetti e sarebbe con ogni probabilità finita lì se qualcuno tra noi non avesse commesso il fatale giovanile errore di intraprendere l’università e scoprire che razza di narratore fosse.
Uomo di molti mestieri. Giornalista di punta, grande elzevirista, del «Corriere della sera» (I misteri d’Italia, 1978), drammaturgo (Un caso clinico, 1953; Drammatica fine di un noto musicista, 1955), fumettista (Poema a fumetti, 1969; I miracoli di Val Morel, 1971), poeta (Tre colpi alla porta, 1965), critico d’arte e pittore egli stesso.

Bàrnabo delle montagne

Bàrnabo delle montagne

Attività ancelle di quella che lo ha reso celebre sia come romanziere (aveva, per dire, esordito con Bàrnabo delle montagne, 1933, seguito dalla mirabile storia del “Vento Matteo” in Il segreto del Bosco Vecchio, del 1935) sia come autore di short stories. Nel 1958, i Sessanta racconti, antologia che comprende fulminanti pezzi di bravura sull’indecifrabilità del reale come Qualcosa era successo, I sette messaggeri, Paura alla Scala, Sette piani, Il crollo della Balinverna, Il mantello, per citare soltanto i nostri prediletti, vincono il Premio Strega, distanziando di diciassette punti nientemeno che Carlo Cassola.
È qui, forse, che il cronista letterato – o letterato proprio perché cronista, con una lunga gavetta alla “nera” – dà il meglio di sé e grazie alle sue atmosfere fantastiche, a tratti oniriche ma soprattutto asfittiche e inquietanti, come di un’entità impalpabile che t’insegue o attende dietro l’angolo, va meritandosi l’appellativo di Kafka italiano che il Nostro ha tuttavia sempre fermamente rifiutato[6].
Eppure non ci piacciono le sinossi da libro di testo, i profili biografici da quarta di copertina. Un autore va letto nella sua interezza e a citarne due titoli a caso non si capisce nulla. Dunque è per necessità di sintesi se diciamo che per noi Dino Buzzati era sostanzialmente il suo capolavoro, ineliminabile riferimento e termine di paragone irrinunciabile in ogni discorso su di lui: Il deserto dei Tartari, cronaca di una guerra imminente nell’Italia in guerra per davvero, che Rizzoli pubblicava per i suoi tipi, nel funesto giugno 1940. Esattamente nel mese delle “decisioni irrevocabili” annunciate urbi et orbi da un balcone di Piazza Venezia.

Il deserto dei Tartari 00a

Il deserto dei Tartari

Era l’epopea dell’antiepos e della solitudine, enorme metafora della vita come attesa da riempire di un nulla che si ripete di continuo. Il deserto dei Tartari, certo. La storia senza tempo del sottotenente Giovanni Drogo, aspettando un nemico che non arriva, un messaggio che non giungerà. Mai. Era il 1976 quando Giancarlo Giannini prestava la sua voce a Jacques Perrin nel film di Valerio Zurlini, in cui entrava anche un sex symbol dell’epoca come Giuliano Gemma.
Tuttavia, ci sta a cuore una considerazione. Dino Buzzati, non v’è dubbio, è stato uno scrittore famoso e premiato. Basti dire che Albert Camus, il più giovane Nobel della storia, curò l’adattamento francese di Un caso clinico (Un cas intéressant, 1955), pièce teatrale tratta dal racconto Sette piani. Ciononostante, non sapremmo stabilire se questa notorietà sia stata presto dimenticata o sproporzionata alla caratura artistica dell’uomo. Pare, in sostanza, che non sia stata goduta fino in fondo, data quasi per scontata, poco scoperta. Negli inserti culturali dei quotidiani sembra che nessuno ne parli più.
Ci domandiamo chi in una breve lista di grandi autori italiani del XX secolo metterebbe senza esitare Dino Buzzati. Noi sì, ma la critica? Quella di ieri, sicuramente no. Quella di oggi, lentamente, pare stia lavorando per colmare questa lacuna. C’è ancora molto da fare, comunque, se ancora lo ricordiamo essenzialmente per Il deserto dei Tartari. «Sono tanti», è stato scritto a ragione, «gli scrittori-cronisti-pubblicisti-redattori-inviati che faticano ad avere un peso culturale duraturo, apparendo talora “satelliti” nel nostro canone letterario»[7].
Sono temi che lasciamo volentieri agli accademici e ai buzzatiani. Qui, ci limitiamo soltanto a sottolineare come il giovane soldato in camicia nera avesse fatto i conti col Ventennio in modo del tutto privato, senza giungere alla celebrità per la via mestra del neorealismo e senza divenire “organico” alla congerie culturale dei vincitori. Questo conservatorismo all’antica gli aveva inimicato i letterati marxisti, che nel secondo dopoguerra stavano a rappresentare quasi l’intera classe degli intellettuali italiani. Fino all’accusa di reazionarismo, ovviamente[8]. Buzzati continuava, nonostante questo, a rifiutare tanto la religione dell’impegno quanto le etichette (del fantastico o del realismo magico, del surrealismo) che la critica gli affibbiava nei tentativi di catalogare la sua sfuggente poetica.

***

Ma, chiediamo ostinati: avete mai provato a mettere da parte tutto quello che sapete di Dino Buzzati, tutte le nebulose, i sentito dire e ogni reminiscenza scolastica e leggere Un amore? L’esperienza è forte, drammaticamente gradevole. Senz’altro coinvolgente. Il libro non risente dei suoi cinquantanni. Non teme le mode del presente che ragionano su “anatomie” di sentimenti e passioni. Buzzati, questo sentimento – questo ronzio continuo e inaffidabile che dice “Senti? Mento!”, lo ha dissezionato come su un tavolo autoptico, contemporaneo prima dei contemporanei.
Per incontrare di nuovo certe atmosfere bisognerà attendere il secco Una spina nel cuore di Piero Chiara (1979), l’inevitabile Eutanasia di un amore di Giorgio Saviane (1976) o sbarcare sui lidi del postumo incompiuto, ossessivo L’odore del sangue, di Goffredo Parise (1997). Stupefacente come questi titoli, ma non solo, siano debitori all’introspezione di Un amore.
In poco più di duecentocinquanta pagine, Buzzati abbraccia tutti i generi senza farsene inglobare. È un romanzo rosa senza sentimentalismi, è uno psychological novel senza lettino, è un giallo senza colpevoli, un noir senza omicidio (certe ambientazioni urbane dei primi anni Sessanta ricordano la Milano scura e alevarica di Giorgio Scerbanenco) e certamente sì, è un romanzo erotico ma senza concessioni alla pornografia.
L’opera imporrebbe almeno due passaggi. Il primo, di occhi. Il secondo – dopo aver conosciuto la nostra personalissima Laide e, come Antonio, essere strati trascinati nel gorgo di un amore torbido e fraudolento -, di stomaco. Ma, direbbe Leopardi, “del cuore in nessun modo”. Perché non c’è cuore in questa malanovella, solo sabbie mobili che tirano giù senza soccorso. La condizione di Antonio, compiaciuto del suo dolore, nuovo heautontimorumenos, è stata descritta magistralmente da Eugenio Montale:

Il tema del libro è ancora la morte, non la morte fisica bensì la morte morale, la depravazione. L’abisso chiede, reclama, un abisso sempre peggiore e non c’è alcun possibile giudice che possa decretare una sentenza […] Anche una sola lacrima di pietà avrebbe reso indecente un libro che è soltanto vero, terribilmente vero [9].

Ideato e scritto a partire dal 1959, i biografi hanno visto in S. C., donna in quel periodo frequentata da Buzzati, l’ispiratrice e la protagonista di Un amore. Del resto, scriveva l’autore nei suoi diari: «L’unica per salvarmi è scrivere. Raccontare tutto, far capire il sogno ultimo dell’uomo alla porta della vecchiaia»[10]. Chiunuque abbia avuto una minima esperienza di scrittura sa quanto ciò sia l’operazione più difficile: far capire. Scrivere di una sofferenza, da dentro la sofferenza. Quando il dolore soffoca la prospettiva, la chirurgica precisione necessaria alla narrazione. Inutile dire che Dino Buzzati ce l’ha fatta. È il momento più eccentrico, in cui la biografia dell’autore coincide meglio con l’opera, non troveremo più in tutta la sua produzione un travaso simile a Un amore.
I luoghi di tolleranza erano stati aboliti cinque anni prima da un provvedimento noto come Legge Merlin. In Italia il paravento del decoro trovava realizzazione nell’ipocrisia. Le finestre cieche delle “case chiuse” affacciavano ora in appartamenti dal cuore sotterraneo, invisibile. È subito polemica, scandalo, il “caso Buzzati”. Il biasimo della più bieca, bigotta, ma trasversale ai ceti, sessuofobia cattocomunista.
In questa Milano color antracite, città parallela di clienti e “passioni recidive”, in questi palazzoni dove ogni portineria è un casellario politico, si svolge la storia di Antonio Dorigo e della ventenne Adelaide Anfossi, detta Laide (nomen omen). L’assonanza con Taide, mitologica sgualdrina, è fin troppo evidente. Non tanto la Taide dell’Eunuco terenziano né la ruffiana dantesca quanto piuttosto la Taïs di Anatole France, che danna le virtù del monaco Pafnuzio, lo stesso che l’ha fortemente voluta santa. Ma non scomodiamo il decadentismo: Laide non diverrà mai pia, nemmeno nell’ora della maternità che giunge, forse per entrambi, come una speranza fuori tempo massimo.
Antonio incontra Laide, consuma e se ne va. Come ha fatto molte altre volte, protetto dalla discrezione della signora Ermelina e dalla tariffa che garantisce e svincola dalle emozioni. Perché Antonio non concepisce, fino ad un momento prima di vedere Laide, altro amore che quello tra madre e figlio. Ma poi ci pensa su, vuole rivederla. La rivede, infatti, e qualcosa dell’oscuro fascino di lei lo attira e respinge, finché la prima ha il soppravento sulla seconda. Antonio si lascia girare dal mulinello improvviso che la giovinetta, con maestria e scolpita indifferenza, gli ha soffiato sulla superficie piatta e organizzata della sua vita.
Si è innamorato. Di una sconosciuta totale, tranne il corpo a ventimila lire l’ora. Ed eccolo discendere i ciglioni degli inferi tra mancanza, sospetto, gelosia attiva e retroattiva e un’inutilità diffusa si spalma sopra ogni cosa a cui mette mano nella vita, se lei non c’è. Perché ormai Antonio respira solo quando la vede o sa che tra poco la rivedrà. Le sue giornate si trasformano in una pausa tra un appuntamento e l’altro. Ma sa anche che Laide non è sua né di altri; come nel capolavoro pirandelliano, la giovane escort è uno, nessuno, centomila. Sicchè la commedia delle parti si muta in una tragedia shakespeariana. Misura per misura. Fino ad offrire a Laide una sorta di stipendio mensile per non vederla scomparire, per garantirsi la sua presenza. E la donna accetta.

Ascoltiamolo, in una delle pagine più derisorie e belle della letteratura italiana:

Eppure per lui è forse l’ora decisiva della vita, ed è un inferno. Se fosse malato, se gli capitasse una digrazia, se venisse messo in carcere, parenti e amici gli porterebbero l’aiuto. In questo caso no. È proibito. Anche se è terribilmente peggio. Gettato a terra, caplestato, devastato di dentro e di fuori, abbandonato nel fango, espulso a calci dalla sala. Ciononostante non c’è pietà disponibile per lui […] Ti sei creduto di poter tornare bambino? Ci voleva altra faccia che la tua. La partita è chiusa, il conto torna. Le porte si chiudono, la solitudine, il vuoto, il deserto, i muti singhiozzi che non udrà nessuno. Eccoti in porto, stupido uomo, che ti credevi chissà cosa[11].

Antonio ha inseguito una felicità inacciuffabile perché correva sulle gambe di gazzella un’altra persona. È dannato perché, come Ulisse, ha voluto provare il folle volo, andare oltre i limiti imposti dal tempo e dalla sua natura ma soprattutto dalla sua cultura: una cultura che sta storicamente perdendo.
No, pensa Antonio, in un passo struggente del libro, «l’amore non è bastato»[12].
Infine, sarà Laide a ribellarsi alla sua stessa necessità, gridando in faccia all’uomo tu mi hai sempre trattato come una puttana. Siamo al paradosso o lei in qualche modo – il suo modo, sciatto e indolente – lo ha amato? Ecco come Un amore metteva in scena il dramma del maschio italico davanti alla libertà, sia pure grossolana e arrogante, della donna; davanti alla sua consapevolezza, alla sua autodeterminazione. Un amore, ultimo romanzo italiano prima del femminismo (e prima dei Beatles), in questo senso chiudeva davvero un’epoca.
Sappiamo che l’autore confidava a un amico l’intenzione di un finale positivo[13]. Le ultime pagine restano ambigue. Ma noi ci auguriamo di no, che lei non lo abbia mai amato perché se così non fosse vorrebbe dire che davvero ogni cosa è perduta. La tragedia, non compiendosi, si ripeterebbe per sempre.

****

Se non è in grado di replicare negli occhi il film della storia e della vita, la letteratura non serve a un bel niente. Sono passati tanti anni da quella prima lettura. Il tempo ha più volte asciugato la brina di quelle fiabesche mattine universitarie. E tanti altri ne sono passati dalla seconda, quando il sole aveva ormai bruciato ogni filo d’erba di Tor Vergata e anche noi avevamo riletto Un amore dopo aver conosciuto una Laide, specifica e qualunque. Cosa resta, alfine, per noi che lo abbiamo seguito con accorata compassione, ai limiti del cordoglio? A noi che lo abbiamo sfogliato come un album di fotografie e circostanze così dolorosamente familiari?

Nulla. Se non, forse, una spietata confessione: Antonio Dorigo, c’est moi.

DANIELE ORLANDI

 

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[1] Teodora (Costantinopoli497548) è stata un’imperatrice bizantina, moglie di Giustiniano I. La sua vita dissoluta è raccontata da Procopio di Cesarea nel libello diffamatorio Anecdota (Storia segreta).

[2] D. Buzzati, Un amore, (1963), Milano, Mondadori, 200638, p. 144.

[3] Ivi, p. 37.

[4] G. Berto, La cosa buffa, Milano, Rizzoli, 1966, p. 19.

[5] D. Buzzati, Il panettone non bastò. Scritti, racconti e fiabe natalizie, a cura di L. Viganò, Milano, Mondadori, 2004.

[6] Cfr. l’elzeviro di D. Buzzati, Le case di Kafka, in «Il corriere della sera», 31 marzo 1965, scritto direttamente a Praga, dove l’autore era stato inviato dal giornale.

[7] A. R. Daniele, Satelliti del canone letterario: la “quaestio Buzzati” e la letteratura giornalistica, in I cantieri dell’italianistica. Ricerca, didattica e organizzazione agli inizi del XXI secolo. Atti del XVII congresso dell’ADI – Associazione degli Italianisti (Roma Sapienza, 18-21 settembre 2013), a cura di B. Alfonzetti, G. Baldassarri e F. Tomasi, Roma, Adi editore, 2014, pp. 1-13.

[8] Celebre resta l’articolo di Giorgio Bocca, I rischi e i timori di un reazionario, in «Il Giorno», 21 ottobre 1971.

[9] E. Montale, «Un amore», in «Corriere della sera», 18 aprile 1963.

[10] Citato in D. Buzzati, Un amore, cit., p. XXVII.

[11] D. Buzzati, Un amore, cit., p. 240.

[12] Ivi, p. 221.

[13] Cfr., N. Giannetto, «Sono arrivato all’ultimo capitolo…»: una preziosa lettera di Dino Buzzati a Franco Mandelli a proposito di «Un amore», in «Studi buzzantiani», VI (2001).

Buzzati alpinista

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David Lifodi – Il grido è già un coro: in Argentina libera Milagro Sala

Milagro Sala
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Milagro Sala.

Nonostante il nuovo presidente argentino Mauricio Macri e il governatore di Jujuy, Gerardo Morales, facciano di tutto per silenziare il caso di Milagro Sala, in carcere ormai da un mese, la detenzione della dirigente dell’associazione Tupac Amaru è divenuta una caso internazionale.

A sostegno della donna, in prigione con le surreali accuse di frode, estorsione e associazione illecita, si è mossa anche la Santa Sede tramite papa Francesco in persona. Una cosa è certa: Macri dovrà offrire spiegazioni particolarmente convincenti al Pontefice, che il 27 febbraio lo incontrerà in occasione del viaggio del presidente argentino in Italia. Bergoglio ha fatto recapitare un rosario a Milagro Sala tramite Enrique Palmeyro, uomo di sua fiducia che già aveva lavorato con lui quando il Papa era cardinale all’arcivescovado di Buenos Aires e gli aveva dato mandato di avvicinarsi alle cooperative dei cartoneros. Palmeyro ha parlato con gli acampados della Plaza de Mayo e con Alejandro Garfagnini, uno degli esponenti della Tupac Amaru, per esprimere la preoccupazione della Santa Sede alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani. La stessa Cidh, tramite Eugenio Zaffaroni, ex giudice della Corte Suprema, ha definito la detenzione di Milagro Sala come “uno scandalo internazionale”.

A favore della liberazione della donna si sono espressi, oltre alle Madres e Abuelas de Plaza de Mayo, i sacerdoti appartenenti al gruppo Curas en Opción por los Pobres, che hanno chiesto a Bergoglio di non ricevere Macri se quest’ultimo non si adopererà per liberare Milagro Sala. Tuttavia, nonostante la forte pressione esercitata dai movimenti sociali e dalla Chiesa (il presidente della Pastorale Sociale argentina, Jorge Lozano, si era offerto di svolgere il ruolo di facilitatore nei negoziati in corso per restituire la libertà alla donna), Macri e Morales non solo fanno orecchie da mercante, ma provocano. Il presidente non ha fatto altro che ribadire tutto il suo sostegno al governatore di Jujuy e, mentre Macri rifiutava di ricevere Estela de Carlotto ed altri esponenti delle associazioni per i diritti umani che, tra le altre cose, intendevano sollecitare la liberazione di Milagro Sala, si faceva immortalare insieme allo stesso Gerardo Morales mentre ballavano per festeggiare il Carnevale.

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Il fatto che la detenzione della dirigente della Tupac Amaru sia del tutto illegittima, in quanto Milagro Sala è parlamentare del Parlasur e quindi godrebbe dell’immunità, nemmeno sfiora la nuova coppia forte dell’Argentina, nonostante lo status della donna sia equiparabile, per legge, a quello di deputati e senatori. Le accuse piovute su Milagro Sala, tra cui quella, ancor più assurda, di avere legami con il narcotraffico, sono del tutto prive di fondamento e, anzi, denotano che la detenzione della leader della Tupac Amaru è di natura esclusivamente politica. Dal carcere, Milagro Sala non solo evidenzia che la Tupac Amaru si è adoperata anche per il recupero di giovani con problemi di dipendenze, oltre a gestire, scuole, centri sanitari ed aver costruito interi quartieri per le fasce più indigenti della popolazione grazie ai fondi che riceveva in epoca kirchnerista, ma ha aiutato ad uscire dalla tossicodipendenza anche un giornalista che adesso lavora per Gerardo Morales e critica senza alcuna vergogna l’associazione.

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Ultimo Tweet di Milagro Sala.

In occasione dell’attuale visita in Argentina del Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi, era stato indirizzato al premier un appello affinché sollevasse il caso di Milagro Sala di fronte a Macri sottolineando la preoccupazione per il ritorno di pratiche illegali e autoritarie che a Buenos Aires e in tutto il resto del paese sono state purtroppo sperimentate a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Per tutta risposta Renzi, che si è congratulato con Macri per la sua elezione alla Casa Rosada fin dal primo istante (senza sapere o, peggio, ignorando volutamente che razza di personaggio sia l’imprenditore di origine italiana, che in pochi mesi ha già dichiarato guerra alle Madres de la Plaza de Mayo e ha tra i suoi più stretti collaboratori persone che irridono il dramma dei desaparecidos), ha pensato bene di parlare al presidente argentino di un eventuale accordo di libero commercio tra Unione Europea e Mercosur, respinto significativamente solo da Bolivia e Venezuela.

Il quotidiano argentino Página/12 ha significativamente definito Milagro Sala “una prigioniera con la benedizione papale”: chissà che davvero non riesca al Papa sbloccare la situazione, mentre l’Argentina, sotto Mauricio Macri, dovrà ancora piangere molto.

 

(*) tratto da www.peacelink.it  e pubblicato dalla Bottega del Barbieri

 


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Autori, e loro scritti

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Richard Bach – Non dar retta ai tuoi occhi e non credere a quello che vedi. Gli occhi vedono solo ciò che è limitato. Guarda con il tuo intelletto, allora imparerai come si vola.

Gaston Bachelard (1884-1962) – L’immaginazione è la facoltà di formare immagini che superano la realtà, che cantano la realtà, testimonianza del processo di scoperta da parte dell’animo del proprio mondo, il mondo in cui vorrebbe vivere, il mondo in cui è degno di vivere.

Gaston Bachelard (1884-1962) – Come abitiamo il nostro spazio vitale, come mettiamo radici, giorno per giorno, in un “angolo del mondo”? La casa è il nostro angolo del mondo, il nostro primo universo. ogni spazio veramente abitato reca l’essenza della nozione di casa.

Michail Bacthin (1895-1975) – Il riso autentico non esclude la serietà, ma la purifica dal dogmatismo, dall’unilateralità, dalla sclerosi, dal fanatismo, dalla perentorietà, dalla intimidazione. Il riso è una forma interiore e non esteriore.

Michail Bachtin (1895-1975) – Una sola voce non porta a termine nulla e nulla decide. Due voci sono il minimum della vita, il minimum dell’essere. Essere significa comunicare dialogicamente.

Michail Bachtin (1895-1975) – La comprensione creativa non rinuncia a sé. Di grande momento per la comprensione è l’extralocalità del comprendere. Nel campo della cultura, l’extralocalità è la più possente leva per la comprensione. Un senso svela le proprie profondità, se si incontra e entra in contatto con un altro, altrui senso: tra di essi comincia una sorta di dialogo. Senza proprie domande non si può capire creativamente alcunché di altro e di altrui (ma, naturalmente, le domande devono essere serie, autentiche).

Michail Bachtin (1895-1975) – La vera vita della persona è accessibile soltanto a una penetrazione dialogica alla quale essa si apre liberamente in risposta. Nell’uomo vi è sempre qualcosa che solo lui può scoprire nel libero atto dell’autocoscienza e della parola, che non si assoggetta alla determinazione esterna ed esteriorizzante.

Michail Bacthin (1895-1975) – La vita può essere compresa dalla coscienza solo nella responsabilità concreta. Una filosofia della vita non può che essere una filosofia morale. Si può comprendere la vita solo come evento, e non come essere-dato. Separatasi dalla responsabilità, la vita non può avere una filosofia; separatasi dalla responsabilità, essa è, per principio, fortuita e priva di fondamenta.

Michail Bachtin (1895-1975) – Non tutti i motivi che entrano in contraddizione con l’ideologia ufficiale degenerano in un indistinto discorso interno e muoiono. Solo che all’inizio esso si svilupperà in una cerchia sociale ristretta, entrerà nel sottosuolo della salutare clandestinità politica. Proprio così si forma un’ideologia rivoluzionaria in tutte le sfere della cultura.

Bronisław Baczko (1924-2016) – Rari sono coloro che spontaneamente proclamano di essere utopisti. Di norma sono gli altri a chiamarli così, intendendo con ciò presentarli come sognatori, inventori di chimere.

Marino Badiale – Problemi tra scienza e filosofia.

Alain Badiou – Metafisica della felicità reale, DeriveApprodi.

Alain Badiou – L’amore è sempre la possibilità di assistere alla nascita del mondo. Non può ridursi all’incontro perché si tratta di una costruzione, la durata che lo porta a compimento. È prima di tutto una costruzione durevole, un’avventura ostinata. L’amore vero è quello che trionfa durevolmente: chiede cura, ripetizioni, vive sotto il segno della replica. L’amore è comunista in questo senso: il vero soggetto dell’amore è il divenire della coppia e non la soddisfazione degli individui che la costituiscono.

Andrea Bajani – Bisognerà prima o poi tornare al “coltivare”, quando si nomina la scuola. Bisognerà ricordarsi del contadino metaforico che coltiva di nascosto dentro l’etimologia della parola Cultura, e che dentro la scuola dovrebbe trovare terra fertile.

Michail A. Bakunin (1814–1876) – Cercando l’impossibile, l’uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.

Michail A. Bakunin (1814–1876) – Lottiamo per il pieno sviluppo e il completo godimento da parte di ognuno di tutte le facoltà e potenzialità umane realizzate attraverso l’educazione, l’istruzione e la prosperità materiale.

Massimo Baldi – «Paul Celan. Una monografia filosofica». A rendere unica l’opera di Celan c’è la sua inesausta volontà di autocomprendersi e di correggersi, sempre nel cuore del poema, nella tensione che in esso si genera tra la lingua degli uomini e l’impiego spesso idiomatico che ne fa il poeta.

Beatrice Balsamo – Elogio della dolcezza, partendo dal dato etimologico per scandagliarne la lettura psicanalitica, quella sociologica e quella filosofica … la dolcezza ha a che fare con il gusto dell’uomo per l’uomo.

Honoré de Balzac (1799-1850) – Quale bel libro non si potrebbe scrivere raccontando la vita e le avventure di una parola, le cui risonanze, così belle ancora nella Grecia, s’indeboliscono attraverso i progressi delle nostre successive civiltà.

Marwan Barghouti – «L’ultimo giorno dell’occupazione sarà il primo giorno della pace». – Onore, Rispetto e Libertà per Marwan Barghouti, prigioniero da 14 anni di Israele.

Marwan Barghouti – Noi non ci arrenderemo. Lotta per la Dignità e i Diritti, ecco il nome della nuona lotta dei prigionieri palestinesi. È nella natura umana rispondere alla chiamata per la libertà, a prescindere dal prezzo che si avrà a pagare.

Alessandro Barile – Il verso della storia. Discutendo del libro di Sante Notarnicola, «La nostalgia e la memoria».

Claudia Baracchi – Incontrare l’antico può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci. E l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto.

Claudia Baracchi – L’universalismo moderno sorge nell’astrazione. Invece, per l’esperienza antica, l’universale sorge nell’ampliamento d’orizzonte capace di cogliere la tessitura complessiva. Il filosofo rivela l’umano proprio nello slancio dell’umano oltre se stesso, in quell’apertura al possibile e nel possibile. Così, l’esplorazione del possibile trasgredisce e rivolta i confini del noto.

Claudia Baracchi – Amicizia è disposizione verso il bene, verso il bene della vita, e non richiede conformismo. Tra amici similitudine e reciprocità vanno intesi alla luce di una propensione all’eccellenza, al perfezionamento della vita.

Claudia Baracchi – Filosofia antica e vita effimera. Migrazioni, trasmigrazioni e laboratori della psiche.

Claudia Baracchi, Bookcity 2020 – Esseri umani, farfalle, mostri e la filosofia come terapia della psiche. Con Claudia Baracchi, analista filosofa e Anna Stefi, filosofa e psicologa.

Claudia Baracchi – Non va ridotto a sintomo il bisogno di raccoglimento, di riflessione, che è risposta in qualche modo ribelle al regime dell’apparire. La libertà è essenzialmente categoria dello spirito.

Alvaro Barbieri – Il «Milione» in un’edizione completa e nella traduzione latina dell’opera, accompagnata da una moderna traduzione in italiano appositamente preparata, con numerosi passi del perduto originale dettato da Marco Polo.

Roland Barthes (1915-1980) – A cosa serve l’utopia? A produrre del senso. Un tempo si spiegava la letteratura attraverso il suo passato; oggi attraverso la sua utopia. Il senso è fondato come valore e l’utopia permette questa nuova semantica.

Roland Barthes (1915-1980) – Il mondo è pieno di segni. Decifrare i segni del mondo significa lottare sempre con una certa innocenza degli oggetti.

Giovanni Bartolomei da Prato – «Per Antonio Melis»: magia della memoria degli umani che quando quell’oscura lotteria si porta via un amico od un maestro di conservar l’essenza ha l’arte e l’estro.

Maria Cristina Bartolomei – La tenerezza è reciprocità, paritarietà, assenza di sottomissione, cancellazione della figura del dominio, del padrone e del suddito.

Giorgio Bassani (1916-2000) – Nella vita se uno vuol capire, capire sul serio, come stanno le cose di questo mondo, deve morire almeno una volta, meglio da giovani, quando uno ha ancora tanto tempo davanti a sé per tirarsi su e risuscitare.

Francesco Bastiani/ Luigi Pulcini – Storia delle poco conosciute macchine fotografiche italiane.

Georges Bataille (1897-1962)  – La noia rivela ciò che è il nulla dell’essere rinchiuso in se stesso. Questo nulla interno lo respinge verso l’angoscia.

Georges Bataille (1897-1962)  – La verità di una poesia è forte e piena e del tutto sovrana al confronto col voluminoso pacchetto azionario del capitalista, la cui debole verità deriva dalla paura con la quale il mondo soggioga il lavoro.

Charles Pierre Baudelaire (1821-1867) – L’immaginazione è la regina del vero. Liberando il possibile compresso nel dato, l’immaginazione con ciò stesso libera il divenire, ovvero il “poter-essere-altrimenti” delle cose, crea un mondo nuovo.

Jean Baudrillard (1929-2007) – La morte è immanente all’economia politica. È per questo che essa si vuole immortale.

Jean Baudrillard (1929-2007) – L’uomo non smette di espellere quello che egli è, quello che prova, quello che significa ai propri occhi con tutti gli artefatti tecnici che egli ha inventato, e all’orizzonte dei quali sta scomparendo.

Jean Baudrillard (1929-2007) – Non c’è più scambio simbolico al livello delle formazioni sociali moderne. Non più come forme organizzatrici.

Anna Beer – Note dal silenzio. Le grandi compositrici dimenticate della musica classica.

Ludwig van Beethoven (1770-1827) – Essere costretti a diventare filosofi ad appena 28 anni non è davvero una cosa facile e per l’artista è più difficile che per chiunque altro. Soltanto la virtù può rendere felici, non certo il denaro. Parlo per esperienza. È stata la virtù che mi ha sostenuto nella sofferenza.

Samuel Bellamy (1689-1717) – Loro rubano ai poveri coperti dalla legge, mentre noi deprediamo i ricchi forti solo del nostro coraggio!

Bartolomeo Bellanova – Riflessioni sul saggio di Etienne De La Boetie: “Discorso sulla servitù volontaria”.

Anna Beltrametti – C’è anche un pensiero delle donne? Le donne del teatro greco sono laboratori di utopia infiniti. Sono talmente forti in questa loro energia utopica di un mondo da rifondare, da rinnovare, di un mondo possibile, che è la filosofia stessa ad attingere al loro pensiero.

Anna Beltrametti – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti

Anna Beltrametti – Il punto più alto che Platone tocca nelle riflessioni sulla paura è proprio il reciproco implicarsi di potere personale e paura. Paura che l’uomo di potere riesce ad incutere ai suoi governati, ma anche paura provata dall’uomo di potere nei confronti di chi è migliore di lui, come pure della paura che ha di tutta la schiera di manutengoli che, dopo averlo lusingato, vogliono essere lusingati e pretendono lusinghe.

Anna Beltrametti – Populismo: da oggi alla scena originaria, comica e nera di Aristofane. Per contendersi il favore del Popolo, trasformato da soggetto politico in oggetto (in merce), i contendenti si rivelano per quello che sono: strumenti, burattini di un’élite che li manovra e li usa senza apparire.

Anna Beltrametti – «La letteratura greca. Tempi e luoghi, occasioni e forme». L’intento è di contrastare periodizzazioni secche, di mostrare come le forme si modifichino o si conservino non solo nel tempo o in funzione delle occasioni a cui rispondono, ma anche in relazione ai luoghi segnati da cerimonie e rituali specifici, da consuetudini culturali precise.

Anna Beltrametti – Philosophical Fear and Tragic Fear: The Memory of Theatre in Plato’s Images and Aristotle’s Theory

Walter Benjamin (1892-1940) – «Esperienza» . Il giovane farà esperienza dello spirito e quanto più dovrà faticare per raggiungere qualcosa di grande, tanto più incontrerà lo spirito lungo il suo cammino e in tutti gli uomini. Quel giovane da uomo sarà indulgente. Il filisteo è intollerante.

Walter Benjamin (1892-1940) – Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera.

Walter Benjamin (1892-1940) – La malinconia tradisce il mondo per amore di sapere. Ma la sua permanente meditazione abbraccia le cose morte nella propria contemplazione, per salvarle.

Walter Benjamin (1892-1940) – Che cos’erano per me i miei primi libri? Io non leggevo un libro, vi entravo, vivevo tra le sue righe; e quando lo riaprivo dopo un’interruzione, ritrovavo me stesso nel punto in cui ero rimasto.

Walter Benjamin (1892-1940) – L’esperienza è in ribasso. Un’indigenza di nuova specie si è abbattuta sugli uomini, la nostra povertà di esperienza. È povertà non solo di esperienze private, ma di esperienze umane in genere, è una nuova barbarie.

Walter Benjamin (1892-1940) – Il capitalismo è pura religione cultuale, senza tregua e senza pietà, che non purifica ma colpevolizza, non è riforma dell’essere, ma la sua riduzione in frantumi. Il capitalismo è una religione di mero culto, senza dogma.

Walter Benjamin (1892-1940) – I bambini si ritrovano nel mondo esterno in modo del tutto graduale, e solo nella misura in cui esso diventa loro familiare come un’interiorità a loro adeguata. L’interiorità di questa visione risiede nel colore.

Walter Benjamin (1892-1940) – Il capitalismno è la celebrazione di un culto sans rêve et sans merci, senza tregua e senza pietà.

Mirella Bentivoglio – Il cuore della consumatrice ubbidiente.

Nina Nikolaevna Berberova (1901-1993) – «Il giunco mormorante»: C’è una vita a tutti visibile, e ce n’è un’altra che appartiene solo a noi, di cui nessuno sa nulla.

Bernard Berenson (1865-1959) – Le creazioni più soddisfacenti sono quelle che esprimono carattere, essenza. La loro semplice esistenza ci appaga.

John Berger – L’attività dei ricchi è costruire muri, compreso il muro del denaro. La strategia della resistenza è questa …

Susanna Berger – The Art of Philosophy: Visual Thinking in Europe from the Late Renaissance to the Early Enlightenment

John Berger – Il momento in cui inizia un pezzo musicale.

Henri Bergson (1859-1941) – La memoria non è la facoltà di disporre dei ricordi in un cassetto. E cos’è la coscienza? Coscienza significa in primo luogo memoria. Ogni coscienza è anticipazione del futuro, è il tramite tra ciò che è stato e ciò che sarà, un ponte gettato fra il passato e il futuro.

Henri Bergson (1859-1941) – Il nostro carattere se non la sintesi della storia che abbiamo vissuto fin dalla nascita. È con tutto il nostro passato che noi desideriamo, vogliamo ed agiamo.

Henri Bergson (1859-1941) – Quando seguo con gli occhi sul quadrante di un orologio il movimento delle lancette non misuro una durata, come pare si creda, mi limito a contare delle simultaneità, il che è molto diverso.

Ludwig von Bertalanffy (1901-1971) – La società umana non è una comunità di formiche controllata dalle leggi della totalità sovraordinata

Enrico Berti – La mia esperienza nella filosofia italiana di oggi.

Enrico Berti – Per una nuova società politica.

Enrico Berti – La capacità che una filosofia dimostra di risolvere i problemi del proprio tempo è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, perché essa sia giudicata eventualmente capace di risolvere i problemi di altri tempi, o del nostro tempo, e dunque possa essere considerata veramente “classica”.

Enrico Berti – Ciò che definisce l’uomo è anzitutto la parola. Non è del tutto appropriata la traduzione latina della definizione di uomo messa in circolazione dalla scolastica medievale, cioè animal rationale, la quale si basa sulla traduzione di logos con ratio. Certamente l’uomo è anche animale razionale, ma il concetto di logos è molto più ricco di quello di “ragione”.

Enrico Berti – È risonata più volte la proclamazione heideggeriana della fine dell’epoca della metafisica. Di fatto è esistita, e quindi ha una storia. Anche le più famose negazioni di essa sono state ridimensionate, e la metafisica appare oggi ancora viva e vigorosa.

Enrico Berti – Nichilismo moderno e postmoderno.

Enrico Berti – Nessuno vorrà ritornare a concezioni metastoriche e disincarnate della filosofia. Il far filosofia non può essere infatti un’attività a buon mercato, non comportante alcun rischio, ma deve costar caro […].

Enrico Berti – «Scritti su Heidegger».

Enrico Berti – Recensione al libro di Maurizio Migliori, «Il “Sofista” di Platone. Valore e limiti dell’ontologia». Per migliori il “Sofista” mostra che in Platone l’amore del dialogo supera ogni desiderio di affermare tesi particolari.

Enrico Berti – La crematistica va contro la stessa natura dell’uomo, è ingiusta e immorale. Vorrei una città in cui l’uomo realizzi tutte le proprie capacità, non solo fisiche, ma anche spirituali, per mezzo dell’educazione, dell’arte, della scienza, della filosofia.

Enrico Berti – Aristotele non era un teologo.

Enrico Berti – La fortuna di Aristotele nella storia della cultura. Oggi le sue idee sono tornate in auge in tanti modi: come l’irreversibilità del tempo di I. Prigogine, l’unità mente-corpo o il continuo matematico in R. Thom. Fanno sorridere le accuse rivolte ad Aristotele da Heidegger e dai suoi inconsci epigoni.

Enrico Berti – Pensare con la propria testa? La filosofia deve essere insegnata a tutti per sviluppare in ciascuno la razionalità, lo spirito critico, la capacità di “pensare con la propria testa”. Filosofare significa fare filosofia insieme con i grandi filosofi, “confilosofare” con loro.

Enrico Berti – Il platonismo ha il grande merito di mostrare che c’è un’altra possibilità, che dunque la giustizia è possibile. Un messaggio che lascia indifferente chi se la spassa, ma non chi soffre, lotta e spera. Non si tratta, con buona pace di Nietzsche, di nichilismo, né passivo né attivo, né, con altrettanta pace di Heidegger, di oblìo dell’essere, ma di autentico impegno, filosofico, etico e politico.

Enrico Berti – Nuovi studi aristotelici. Volume V – Dialettica – Fisica – Antropologia – Metafisica

Enrico Berti – Il dio di Aristotele.

Giuseppe Berto (1914-1978) – Un padre non può pretendere che un figlio lo ami con la stessa intensità.

Georg W. Bertram – L’arte è prima di tutto un’esperienza che si realizza concretamente nella prassi umana. È una forma specifica di prassi riflessiva, è una prassi di libertà. È politica e si occupa dell’uomo. Anzi ne è responsabile e in quanto tale ha capacità trasformative.

Michèle Bertrand – L’homme ne cesse jamais d’appartenir à l’imaginaire, alors même qu’avec constance il poursuit le dessein de decouvrir (par la connaissance) la structure de l’univers ou sa propre verité singulière. Ce sont deux modes d’être et de penser, et non deux mondes.

Robert C. Berwick e Noam Chomsky – «Perché solo noi. Linguaggio ed evoluzione». L’analisi genetica di caratteri come il linguaggio è attualmente una sfida fondamentale per la genetica evolutiva umana.

Cardinale Bessarione (1403-1472) – I libri vivono, discorrono, parlano con noi, ci insegnano, ci ammaestrano, ci consolano: se non ci fossero si cancellerebbe anche la memoria degli uomini.

Bruno Bettelheim (1903-1990) – Una lettura della fiaba «I tre porcellini». Non dobbiamo ingannare noi stessi: la lotta sarà lunga e difficile, e inciderà su tutte le nostre energie morali e spirituali, se vogliamo non un “nuovo mondo” alla Huxely, ma un’epoca dominata dalla ragione e dall’umanità.

Piero Bevilacqua – Cosa è un bosco? Per avere valore, la bellezza ha bisogno di una domanda, direbbero gli economisti, ma una domanda intrinsecamente antieconomica vale a dire una soggettività umana in grado di contemplare disinteressatamente delle forme visibili che si presentano come belle, uniche e irriproducibili.

Marie-Henri Beyle, Stendhal (1783-1842) – Le azioni ispirate da una vera passione mancano raramente di produrre il loro effetto.

Bhagavad-Gītā – Queste sono qualità proprie degli uomini virtuosi.

Enzo Bianchi – Il passato meditato, riletto, pesato, confrontato aiuta la nostra sapienza a divenire un distillato di eventi, sentimenti, azioni, parole vagliate al crogiolo dell’esistenza, purificate, diventate essenziali!

Peter Bichsel (1935) – Ogni vita produce una storia se si è capaci di raccontarla. Progettiamo dunque una società narrante.

Beniamino Biondi – La disciplina giuridica del settore cinematografico in Italia.

Fernando Birri – «Para que el lugar de la Utopia, que, por definiciòn, està en “Ninguna Parte”, esté en alguna parte».

Fernando Birri (1925-2017) – … pero sueña con los ojos abiertos

Elizabeth Bishop – L’arte di perdere.

Alberto Giovanni Biuso – Recensione del libro “Discorsi sulla morte” di Luca Grecchi.

Alberto Giovanni Biuso – Recensione al libro di Roberto Marchesini «Alterità. L’identità come relazione»

Alberto Giovanni Biuso – Recensione al libro di Renato Curcio «L’EGEMONIA DIGITALE. 
L’impatto delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro». La colonizzazione dell’immaginario scandisce «un progresso tecnologico inesorabilmente avverso ad ogni anelito di progresso sociale».

Alberto Giovanni Biuso – Il «maestro vuoto» è la vittoria della separazione tra gli umani, della negazione della natura sociale di Homo sapiens, è il trionfo della distanza come vero e proprio paradigma antropologico, psicologico, etico.

Alberto Giovanni Biuso – Quei labirinti temporali che redimono il dolore. Recensione del libro «Fenomenologia e patografia del ricordo» di Pio Colonnello.

William Blake (1757-1827) – Vedere un Mondo in un granello di sabbia, e un Cielo in un fiore selvatico, tenere l’Infinito nel cavo della mano e l’Eternità in un’ora.

Maurice Blanchot – La lettura fa del libro quel che il mare e il vento fanno con le opere forgiate dagli uomini. La lettura conferisce al libro l’esistenza brusca che la statua “sembra” dovere solo allo scalpello. Il libro ha bisogno del lettore per farsi statua.

Maurice Blanchot (1907-2003) – Una giusta risposta è sempre radicata nella domanda. Vive della domanda. La risposta autentica è sempre vita della domanda.

Maurice Blanchot (1907-2003) – La cultura lavora per il tutto. Il suo orizzonte è l’insieme. L’ideale della cultura è di riuscire a comporre un quadro d’insieme, delle ricostruzioni panoramiche che permettano di situare in una stessa prospettiva Schoenberg, Einstein, Picasso, Joyce – e possibilmente anche Marx.

Maurice Blanchot (1907-2003) – Tra il mondo liberal-capitalista, il nostro mondo, e il presente dell’esigenza comunista (presente senza presenza) non c’è che il tramite di un “dis-astro”, di un cambiamento d’astro. C’è domanda, eppure nessun dubbio. C’è domanda, ma nessun desiderio di risposta.

Karen Blixen (1885-1962) – Perché «Petite Plaisance»? Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? La prima dote è l’immaginazione.

Ernst Bloch (1885 – 1977) – Chi è scialbo si colora come se ardesse. La via esteriore è la più facile. Apparire più che essere: questo il suo motto.

Ernst Bloch (1885-1977) – Tutto ciò che vive ha un orizzonte. Dove l’orizzonte prospettico è tralasciato, la realtà si manifesta soltanto come divenuta, come realtà morta, e sono i morti, cioè i naturalisti e gli empiristi, che qui seppelliscono i loro morti.

Ernst Bloch (1885-1977) – È la filosofia la scienza in cui è viva, ha da esser viva, la consapevolezza del tutto. La filosofia ha a cuore soprattutto l’unità del sapere. La filosofia sta sul fronte.

Ernst Bloch (1885-1977) – L’utopia concreta sta all’orizzonte di ogni realtà. L’utopia non è fuga nell’irreale, è scavo per la messa in luce delle possibilità oggettive insite nel reale e lotta per la loro realizzazione.

Ernst Bloch (1885 – 1977) – «Vita brevis, ars longa», i regni passano, un buon verso resta eterno; in queste convinzioni legate all’arte ha posto solo l’opera plasmata. Nasce un’«ars longa», adornata dal nome della loro «vita brevis».

Ernst Bloch (1885-1977) – I filosofi dei nostri giorni hanno familiarizzato con il nihil. L’immagine di desiderio del nulla l’ha formulata Heidegger. il nulla di Jaspers e di Heidegger è tinto e ornato di penne di pavone, proprio in prospettiva del suo incanto di morte.

Ernst Bloch (1885-1977) – L’utopia è una forza di anticipazione, l’elemento più dinamico e attivo della coscienza anticipante, che costituisce l’anima profonda della speranza per creare spazio alla vita ed essenzializzarsi.

Ernst Bloch (1885–1977) – La speranza non è rinunciataria. È superiore all’aver paura, non è né passiva come questo sentimento né, anzi meno che mai, bloccata nel nulla. Si espande, allarga gli uomini invece di restringerli.

Ernst Bloch (1885-1977) – La filosofia avrà coscienza del domani, prenderà partito per il futuro, solo se saprà della speranza, in caso diverso non saprà più nulla. L’«essere-per-la-morte» vuol conglobare nel proprio fiasco ogni interesse diverso e per indebolire la nuova vita, fa sembrare fondamentale, ontologica, la propria agonia.

Marc Bloch (1886-1944) – L’incomprensione del presente cresce fatalmente dall’ignoranza del passato. L’errore non si propaga, non si amplia, non vive che ad una condizione: trovare nella società in cui si diffonde un terreno di coltura favorevole. Una notizia falsa nasce sempre da rappresentazioni collettive che preesistono alla sua nascita.

Norberto Bobbio (1909-2004) – Non dissipare il poco tempo che ti rimane. Ripercorri il tuo cammino. Ti saranno di soccorso i ricordi. Nella rimembranza ritrovi te stesso, la tua identità, nonostante i molti anni trascorsi, le mille vicende vissute.

Giovanni Boccaccio (1313-1375) – «Ah, ch’ io possa spogliarmi d’ogni volgarità … Vivo povero per me stesso. E sono più contento con alcuni dei miei libercoli, di quanto non lo siano i re con le loro grandi corone».

Severino Boezio (475 d.C.-525) – Chi può dettar leggi agli amanti? | Suprema a sé l’amore è legge.

Danila Boggiano – Libro prezioso questo di Margherita Guidacci sulle Sibille che qui, nella poesia, non pre-dicono, ma ricordano sino alla dimensione confessionale dell’ultima parte in prosa in cui Margherita ci prende per mano …

Antonio Bonacchi – Che lavoro fai? …IL VIOLINISTA! Sì, ma di lavoro? Arte, mestiere, misteri del suonare il violino.

Brice Bonfanti-Ludovic Burel – «Avatars de Rousseau».

Brice Bonfanti – «Canti d’utopia». L’ominide reale non è vero, e l’umano vero, astratto. Ma che l’astratto penetri il reale, la forma la materia, il generico l’empirico! Finito l’ominide, l’umano è infinito.

Brice Bonfanti – Lo scrittore Arno Bertina in dialogo con il poeta Brice Bonfanti. una triade di epopee popolari, una triade di civiltà, una triade di popoli […] una triade d’amore.

Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) – La stupidità è un nemico del bene assai più pericoloso della malvagità.

Dietrich Bonhoeffer (1905-1945) – La qualità è il nemico più potente di ogni massificazione. La liberazione interiore dell’uomo per una vita responsabile è l’unico reale superamento della stupidità. La stupidità può essere superata soltanto con un atto di liberazione.

Luis Bonilla-Molina – È in atto una gigantesca controriforma educativa sponsorizzata dall’Ocse e dalla Banca mondiale.

Massimo Bontempelli – IL PREGIUDIZIO ANTIMETAFISICO DELLA SCIENZA CONTEMPORANEA.

Massimo Bontempelli (1946-2011) – Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?

Massimo Bontempelli – La convergenza del centrosinistra e del centrodestra nella distruzione della scuola italiana.

Massimo Bontempelli – In cammino verso la realtà. La realtà non è la semplice esistenza, ma è l’esistenza che si inscrive nelle condizioni dell’azione reciproca tra gli esseri umani, diventando così sostanza possibile del loro mutuo riconoscimento.

Massimo Bontempelli – Il pensiero nichilista contemporaneo. Lettura critica del libro di Umberto Galimberti « Psiche e tecne».

Massimo Bontempelli (1946-2011) – L’EPILOGO DELLA RAZIONALIZZAZIONE IRRAZIONALE: demente rinuncia alla razionalità degli orizzonti di senso, e perdita della conoscenza del bene e del male. L’universalizzazione delle relazioni tecniche ha plasmato la razionalizzazione irrazionale, razionalità che non ha scopi, che è cioè irrazionale.

Massimo Bontempelli (1946-2011) – L’unico luogo in cui è possibile custodire la memoria del passato è la progettazione del futuro, così come l’unico modo per progettare un futuro ricco di essere è quello di costruirne il progetto con le memorie del passato.

Massimo Bontempelli (1946-2011) – C’è un filo teoretico nichilistico che unisce Heidegger, Galimberti e Severino: l’oscuramento del capitalismo nello scenario della tecnica. Per Galimberti non c’è varco pensabile nell’orizzonte dell’epoca presente ed offre solo una filosofia dell’impotenza e dell’adattamento.

Massimo Bontempelli (1946-2011) – L’uomo, proprio perché elevato al di sopra della vita meramente biologica da una divina capacità di conoscenza, deve mantenere tale elevazione con il distacco dall’immediatezza vitale che è costituito dalla coscienza della certezza della morte. Sapere il bene e il male e sapere la morte sono due lati indisgiungibili di una stessa realtà, che non è né animale né divina, ma specificamente umana.

Massimo Bontempelli – Gesù di Nazareth, uomo nella storia, Dio nel pensiero, ci ha dato la simultanea figurazione metastorica della forza creatrice dell’amore, del valore universale dell’individualità, della priorità assiologica della giustizia, del principio della speranza, che sono, filosoficamente parlando, le dimensioni di esistenza della libertà, e le articolazioni concettuali della verità logico-ontologica.

Massimo Bontempelli (1946-2011) – «Filosofia e realtà». Ripensare la metafisica come percorso per ritornare alla realtà, “sinolo dinamico di esistenza e sostanza”: la sostanza non vive fuori della storia, ma si svela nel visibile empirico dando ad esso senso e concretezza.

Jorge Luis Borges (1899-1966) – Il libro è un asse di innumerevoli relazioni.

Jorge Luis Borges (1899-1966) – Ogni persona che passa nella nostra vita è unica.

Jorge Luis Borges (1899-1986) – Non c’è libro meno bisognoso di prologo di questo, dalla genesi indolente, formato da una sedimentazione di prologhi …

Eugenio Borgna – Gli orizzonti di senso della speranza sono infiniti. La peranza è come un ponte che ci fa uscire dalla solitudine, e ci mette in una relazione senza fine con gli altri. La speranza è anche dovere, ricerca infinita di senso.

Eugenio Borgna – La saggezza, la prudenza e la sapienza sono modi di vivere che sembrano ormai superati, e anzi temuti, perché estranei ai modelli oggi dominanti: la fretta, l’accelerazione, la tendenza a mettere fra parentesi i valori, il sacrificio, l’interiorità, la gentilezza, la generosità …

Silvana Borutti – Una comunità che si costituisce sull’assunzione della responsabilità dell’altro deve connettere l’ethos non alla polis costituita, ma piuttosto alla polis in costituzione, deve legiferare perché siano tutelate le condizioni della comunità che viene.

Barbara Botter – Aristotele non voleva essere un teologo e la teologia era da lui ritenuta una narrazione poetica sui “viventi immortali e felici”.

Michelangelo Bovero – L’ideologia (neo)liberista concepisce il mercato come una sorta di istituzione suprema e sovrana, e promuove a valore assoluto un’idea di libertà che tende a confondersi con la semplice assenza di regole, ossia con quella che Kant chiamava «libertà selvaggia».

Houria Bouteldja – Giancarlo Paciello, legge il libro «I bianchi, gli ebrei e noi». L’amore rivoluzionario di Houria Bouteldja.

Svetlana Boym (1959-2015) – È in atto una epidemia globale di nostalgia. Il XX secolo iniziò con un’utopia – gettata via negli anni Sessanta – e finì con una nostalgia, rifiuto della responsabilità individuale e collettiva per il futuro.

Ray Bradbury (1920-2012) – Sostanza (identificazione della vita), tempo per pensare (tempo di pensare a questa identificazione, di assimilare la vita), diritto di agire in base a ciò che apprendiamo. Rileggiamo “Fahrenheit 451”.

Vitaliano Brancati (1907-1954) – Gli sciocchi mancano della capacità di discernimento. Lo sciocco non distingue, non discerne. Il potere di cui è orgoglioso è quello di trovare simili le cose più diverse.

Georges Braque (1882-1963) – La verità esiste, non s’inventa che la menzogna. Bisogna divenire il tempo… L’eterno è la negazione della vita, della libertà.

Anna Bravo (1938-2019) – Non dobbiamo smembrare e sminuzzare l’interezza dell’esperienza partigiana. Le donne erano contemporaneamente partigiane in armi o gappiste e membri di gruppi di difesa delle donne. Domina l’immagine di nonviolenza come assenza di conflitto, ma non è così, poiché la nonviolenza riconosce che vi è in atto un conflitto terribile.

Fernanda Elisa Bravo Herrera – Tracce e percorsi di un’utopia: L’emigrazione italiana in Argentina. Il libro di Bravo Herrera, ovvero come si riempie un vuoto culturale.

Fernanda Elisa Bravo Herrera – Parodias y reescrituras de tradiciones literarias y culturales en Leopoldo Marechal.

Salvatore Bravo – Ricerca ed esodo in Massimo Bontempelli. L’essere umano ha bisogno di senso, verità e bene. Questo il messaggio che ci lascia per il nostro cammino nella verità e verso la verità.

Salvatore Bravo – L’integralismo aziendale ha il volto del diversity management. Vera Libertà è emancipazione dall’utile iscritto nel recinto dell’aziendalizzazione, è autonomia nella comunità liberata dai postulati del plusvalore.

Salvatore Antonio Bravo – Una morale per M. Foucault?

Salvatore Antonio Bravo – Aldo Capitini e la omnicrazia. L’apertura è sentire la compresenza dell’altro, sentire la propria vita fluire nell’altro, lasciarlo essere, amarlo per quello che è, liberarlo dalla paura del potere, della mercificazione.

Salvatore Antonio Bravo – L’abitudine alla mera sopravvivenza diviene abitudine a subire. Ma possiamo scoprire, con il pensiero filosofico, che “oltre”, defatalizzando l’esistente, c’è la buona vita.

Salvatore Bravo – Per il fiorire del nostro essere umani è necessario relazionarsi con il dono delle parole. Senza parole di senso si è condannati alla condizione di un’impossibile animalizzazione

Salvatore Bravo – La filosofia è nella domanda di chi ha deciso di guardare il dolore del mondo. Responsabilità della filosofia è il riposizionarsi epistemico per mostrare la realtà della caverna e rimettere in azione la storia.

Salvatore Antonio Bravo – L’epoca del PILinguaggio. Il depotenziamento del linguaggio è attuato dalla globalizzazione capitalistica, nel suo allontanamento dalla persona e dalla comunità.

Salvatore Bravo – Sentire se stessi è possibile attraverso l’uscita dalla caverna dei cattivi pensieri quotidianamente inoculati assumendo la libertà di vivere i poliedrici colori del possibile.

Salvatore Bravo – La tolleranza è parola invocata nel quotidiano terrore dei giorni. La tolleranza nasconde il volto aggressivo della globalizzazione. È la concessione della legge del più forte, il diritto di vivere concesso dal potere.

Salvatore Antonio Bravo – Il tempo che ha la sua base nella produzione delle merci è esso stesso una merce consumabile. Ogni resistenza dev’essere svuotata della sua temporalità e colonizzata dalle immagini dello spettacolo globale.

Salvatore Antonio Bravo – Le miserie della società dell’abbondanza. La verità del consumo è che essa è in funzione non del godimento, bensì della produzione.

Salvatore Antonio Bravo – La società dei cacciatori. L’atomismo sociale e la deriva individualista dei nostri giorni, trovano la loro sostanza in un’immagine esplicativa della condizione umana postmoderna: il cacciatore.

Salvatore Antonio Bravo – «Le vespe di Panama» di Z. Bauman. La filosofia perde la sua credibilità e la sua natura critica e costruttiva se vive nel mondo temperato delle accademie e degli studi televisivi e mediatici, dove campeggia l’uomo economico: turista della vita, vagabondo tra le mercificazioni.

Salvatore Bravo – Sei ancora capace di scandalizzarti come K. Marx ? La «pietra d’inciampo» («scandalum») è anche qualcosa che rende presente il tuo cammino. Pensa allora allo scandalo del denaro e del possesso,pensa alla tua e altrui libertà interiore .

Salvatore Antonio Bravo – Il comunista è un pensatore militante, consapevole dunque che la sua azione è perenne: non vi sono sistemi o regimi che concludono la storia e pacificano gli animi. In Marx l’idea del comunismo si concretizza anzitutto nell’immagine di una società in cui l’individuo, liberato dall’alienazione, diventa un uomo totale, universale, cioè capace di dar pieno sviluppo alla sua personalità.

Salvatore Antonio Bravo – Theodor L. Adorno, in «Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa», ci comunica l’urgenza di un nuovo esserci. Chi vuol apprendere la verità sulla vita immediata, deve scrutare la sua forma alienata, le potenze oggettive che determinano l’esistenza individuale fin negli anditi più riposti. Colui che non vede e non ha più nient’altro da amare, finisce per amare le mura e le inferriate. In entrambi i casi trionfa la stessa ignominia dell’adattamento.

Salvatore Antonio Bravo – «Viva la Revoluciòn» di E. Hobsbawm.

Salvatore Antonio Bravo – Evald Ilyenkov e la logica dialettica. Occorre studiare il pensiero come un’attività collettiva, in cooperazione. Il capitalismo è profondamente anticomunitario, trasforma tutto in merce, disintegra le comunità, smantella la vita nella sua forma più alta: il pensiero comunitario consapevole.

Salvatore Antonio Bravo – «Il giovane Marx», di György Lukács. L’intera opera di Marx è finalizzata dall’amore per l’umanità che si fa pensiero consapevole della disumanità di ogni condizione di alienazione, e di ogni reificazione negatrice della libertà.

Salvatore Antonio Bravo – Il libro di Norman G. Finkelstein, «L’industria dell’olocausto. Lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei».

Salvatore Antonio Bravo – Il mercato e l’asservimento della Scuola: il mito dell’orientamento consapevole. Ciò che occorre invece è tempo per un’educazione da esseri umani, per lo sviluppo intellettuale, per l’adempimento di funzioni sociali, per rapporti socievoli, per il libero gioco delle energie vitali fisiche e mentali.

Salvatore Antonio Bravo – Marx poeta nel suo anelito all’universale: «Non rimaniamo immobili Senza volere né fare niente. Non subiamo passivamente il giogo ignominioso. Il desiderio, la passione, l’azione sono parte di noi».

Salvatore Antonio Bravo – L’industria culturale capitalistica utilizza solo autori che interpretino K. Marx in senso riduttivo, proprio per evitare possibilità di sviluppo teorico progettuale con una conseguente prassi rivoluzionaria.

Salvatore A. Bravo – Il collare e le catene delle navi negriere, sono ora sostituiti dal controllo digitale, un panopticon che controlla per spezzare sul nascere la possibilità di un pensiero che voglia progettare un mondo altro.

Salvatore Bravo – Estetiche del turbocapitalismo. La paideia negativa e nichilistica dell’immagine. Contrapporre alla notte delle immagini la cultura dell’impegno, sottraendosi alla violenza dell’incultura dell’immagine.

Salvatore Bravo – Il flâneur, passeggiatore annoiato, è l’uomo massa della società dell’abbondanza che vive nella distanza dallo sguardo altrui. Essere astratto e distratto vive l’esperienza senza simbolizzarla in prassi, al servizio del sistema mediante le protesi tecnologiche, che esigono automatici comportamenti.

Salvatore Bravo – L’assenza di futuro è il nichilismo dell’assoluto presente. Il trionfo dell’immediato-astratto forma individui e non persone. Il radicamento nell’attimo fa del soggetto un ente che si piega alle circostanze.

Salvatore Bravo – Il pensiero corporante all’epoca del capitalismo assoluto, con la sua promessa dell’Eden restituisce soltanto un corpo esausto e violento, come nel mito della caverna di Platone. Si immilla la frustrazione. Il capitalismo oggi esige che l’uomo lotti contro se stesso oltre che contro gli altri.

Salvatore Bravo – Il disorientamento gestaltico e le parole valigia. Le parole valigia e lo spettacolo sempre in scena reificano il soggetto umano riducendolo a semplice funzione del gioco perverso della produzione.

Salvatore Bravo – Il modello Marchionne trasforma gli uomini in soldati dell’efficienza, inibisce ogni discussione sul senso e sulla dignità del lavoro, il cui scopo non è la sopravvivenza biologica, ma l’espressione di sé, della propria identità, la conoscenza di se stessi, come afferma la Costituzione. Il lavoratore è persona, non un servo dell’azienda.

Salvatore Bravo – L’umanesimo del lavoro in Marx. Il lavoro dell’«uomo macchina» distrugge il lavoro come progetto creativo in cui conoscersi perché il lavoro coatto brucia la creatività e inibisce la possibilità di costruire e produrre secondo le leggi della bellezza.

Salvatore Bravo – Tecnica e cultura classica. La potenza della tecnica non è garanzia di virtù e bene. Cultura classica come formazione alla libertà consapevole.

Salvatore Bravo – La teoretica di E. Severino resta in una condizione di indeterminatezza che rende la sua metafisica avulsa da ogni dinamico radicamento storico. Non resta che filtrare dal pensatore de «La Struttura originaria» gli elementi di inquietudine concettuale che possono esserci di ausilio per decodificare il presente.

Salvatore Bravo – Lo sradicamento è vita fuori dalla storia, dalla coscienza, dalla comunità in cui la vita fiorisce. Lo sradicamento massimo è la riduzione di tutto sulla linea della quantità, è associare il bene solo alla quantità. Ma se il bene è la quantità, il male è per tutti.

Salvatore Bravo – ll presente non è tutto, lo diviene in assenza di domande. La domanda è già utopia concreta. Per pensare l’utopia concreta l’immaginazione è imprescindibile, essa è operazione critica, domanda radicale e filosofica, è una diversa rappresentazione del presente: mentre configura il futuro, opera nel presente investendolo di nuova vita. Un mondo senza pensiero ed immaginazione empatica è solo distopia.

Salvatore Bravo – L’epoca dello straniamento. Se ignoriamo che cosa mai noi siamo come potremo conoscere l’arte per render migliori noi stessi? Dalla peccaminosità assoluta alla colpevole innocenza. La vera trasgressione è il pensiero critico contro l’attività perenne senza consapevolezza.

Salvatore A. Bravo – Il bisogno di filosofia è un bisogno autentico, in quanto filosofare è proprio dell’essere umano. Nulla è facile, ma tutto diventa più difficile in un mondo senza teoretica.

Salvatore A. Bravo – Vogliamo ricordare Costanzo Preve, l’uomo e il filosofo che, con la sua resistenza al capitalismo speculativo, ha testimoniato che è possibile vivere diversamente dal nietzschiano “ultimo uomo”. È sceso nelle profondità sistemiche della nostra epoca e scandagliato filosoficamente la genesi dell’odierno economicismo nichilistico.

Salvatore A. Bravo – Le metafore nella filosofia. La metafora è bussola concettuale per guardare oltre l’orizzonte dell’angusto presente.

Salvatore A. Bravo – Plebe e popolo: rivoluzione passiva e tecnologie. Vi è popolo solo dove vi è sovranità partecipata. Il popolo diventa plebe in assenza di pensiero e di linguaggio. Il popolo è comunità manifesta, è progetto partecipato. Non possiamo sottrarci alla responsabilità del divertere.

Salvatore A. Bravo – La prudenza è virtù che coniuga qualità e misura dando un significato alla quantità, determinandola. La società dell’imprudenza si concretizza nella forma del nichilismo economicistico.

Salvatore A. Bravo – Senza progettualità, in un mondo senza virtù e nell’epoca della normalità del male, non vi è che l’eternizzazione dell’attimo che si ripete.

Salvatore A. Bravo – Ma che genere di uomini è questo? Quod genus hoc hominum? Quale barbara patria permette un’usanza simile? Quaeve hunc tam barbara morem permittit patria? Ci negano il rifugio dell’arena; muovono guerra impedendoci di scendere a terra e di fermarci sulla spiaggia. L’impegno civile è resistenza antropologica.

Salvatore A. Bravo – I barbari e l’Occidente. La comunità è il luogo del dono. La barbarie è l’incapacità di pensare la possibilità del dono. La bellezza germina nel pensiero che medita sull’esperienza. L’edonismo struttura un mondo senza intelligenza.

Salvatore A. Bravo – Massimo Bontempelli interprete di Karl Marx. Marx era prima di tutto un rivoluzionario: questa era la sua reale vocazione. La lotta era il suo elemento. Ed ha combattuto con una passione, con una tenacia e con un successo come pochi hanno combattuto.

Salvatore A. Bravo – La laicità all’epoca dell’integralismo laicista. Si può resistere alla mutazione antropologica messa in atto dal capitale assoluto in nome dell’aziendalizzazione della vita, della parola, delle relazioni.

Salvatore A. Bravo – La pedagogia del coding. Pensare come una macchina. L’efficienza è l’obiettivo finale. L’obbiettivo e disellenizzare. Il coding è costruzionismo attivistico. Al coding si può opporre la cultura classica.

Salvatore A. Bravo – La superstizione scientista. La verità è qualche cosa di infinitamente più dell’esattezza scientifica.

Salvatore A. Bravo – L’albero filosofico del Ténéré. Esodo dal nichilismo ed emancipazione in Costanzo Preve. Dalla metafora del deserto (Nietzsche-Arendt) al fondamento veritativo in Costanzo Preve.

Salvatore A. Bravo – Storia, filosofia ed oblio in Massimo Bontempelli. Sulla necessità di coniugare lo studio della storia e della filosofia di fronte alla pianificazione dell’oblio alienante e nichilistico.

Salvatore Bravo – Superare L’inquietudine e l’indifferenza nell’estasi del camminare eretti, con l’entusiamo che scaturisce nell’anima da un punto originale che genera valore e determina valore, continuando ad ardere anche dopo tutte le catastrofi empiriche. È necessario, oggi, difendere il diritto alle passioni.

Salvatore A. Bravo – Salviamo le Cattedrali dalle fiamme del plusvalore.

Salvatore Bravo – Siamo nella rete della globalizzazione della chiacchiera, ma abbiamo l’illusione di essere liberi. La chiacchiera, che è alla portata di tutti, non solo esime dal compito di una comprensione genuina, ma diffonde una comprensione indifferente, per la quale non esiste più nulla di incerto.

Salvatore Bravo – Populismo pedagogico e scuola senza concetto. La scuola facile non libera, non permette al pensiero di configurarsi, ma lo destruttura in chiacchiera. La scuola difficile e dell’impegno educa alla domanda, forma alla temporalità distesa e densa di contenuti.

Salvatore Bravo – La filosofia è per sua natura anticrematistica e comunitaria. è resistenza all’inverno dello spirito che avanza. L’uscita dallo “stato capitale” necessita della radicalità della filosofia, senza di essa non vi è prassi, non vi è verità, non vi è domanda, ma solo l’antiumanesimo.

Salvatore Bravo – I nuovi «dannati della terra» sono in grado di sfidare la paura. L’essere umano è pensiero, coscienza. per quanto forte sia il condizionamento, nessun potere potrà occupare lo spazio interiore dell’uomo, perché l’infinito è nell’essere umano.

Salvatore Bravo – Il 23 Novembre del 2013 veniva a mancare Costanzo Preve. Ci lascia una importante eredità morale e filosofica: cercare verità, complessità, libertà dalle conventicole. La filosofia non ha il compito di rassicurare, ma di porre domande, rinunciando alle facili risposte.

Salvatore Bravo – Intellettuali, parola e potere.

Salvatore Bravo – La filosofia umanizza, strappa l’essere dall’abbandono in cui vive, per consegnarlo a se stesso, al suo progettare nella storia. Scindere la verità dalla prassi e dalla responsabilità dispone l’essere umano alla passività. Ma così la filosofia diviene gioco ed intrattenimento per mediocrità acculturate.

Salvatore Bravo – La voce del padrone sulla scuola della sola “quantità”. In campo la «Fondazione Agnelli» ed «Eudoscopio».

Salvatore Bravo – Filosofia e ordine del discorso. La «passione durevole» di György Lukács per la filosofia è finalizzata a trascendere i condizionamenti del capitalismo che vuole anestetizzare la corrente calda del pensiero critico perché nella prefigurazione del fine la coscienza struttura la prassi dell’emancipazione.

Salvatore Bravo – L’irrazionale-razionale del capitalismo si palesa con la legge della “nuova civiltà”: l’arbitrarismo.

Salvatore Bravo – L’automa è l’ideale del nuovo integralismo economicista: sussumere il corpo, l’anima e le relazioni. Ma dove regna la quantificazione la vita si consuma e si logora nell’utile. Vivere è aprirsi al mondo con le nostre domande di senso.

Salvatore Bravo – Il vessillo dell’Occidente consumistico è la libertà astratta dell’homo consumens. La modernità trionfante soddisfa l’istinto dell’animalità troglodita.

Salvatore Bravo – Il mito del progresso e Pasolini. Il simulacro (capitalismo) non nasconde la verità, ma non ha verità e teme di svelare il nulla che è.

Salvatore Bravo – Pensare la didattica alternativa e non subirla. Se un docente è stato capace di trasmettere contenuti, metodi, motivazioni, se ha testimoniato con il suo impegno silenzioso la consapevolezza del suo ruolo non vi è distanza che possa cancellare ciò che si è radicato nella profondità relazionale di ciascuno.

Salvatore Bravo – Il disprezzo come modalità di governo. Il disprezzo è la vera cifra dell’esperienza «covid 19». il sintomo di una malattia carsica e profonda che attende la cura del pensiero e della prassi.

Salvatore Bravo – Tutti promossi, perché la cultura e l’impegno non sono un valore, ma un limite al mercato. La didattica smart non insegna a pensare, ma solo a dare il minimo della preparazione che serve al mercato.

Salvatore Bravo – Il trionfo della malinconia nella società dello spettacolo nega la parola che è festa della vita. La festa è l’immanenza che dà un nuovo senso al tempo vissuto.

Salvatore Bravo – Tra guerra e paura. La lotta all’epidemia è descritta nella forma di una guerra capillare e pervasiva che irrora la comunità, fino a trasformarla in un luogo chiuso in cui regna la paura dell’altro. Nella guerra la prima vittima è la verità, scriveva Eschilo.

Salvatore Bravo – Le osservazioni pedagogiche di Kant sono oggi un monito. Il fine più alto dell’educazione è la responsabilità verso il futuro.

Salvatore Bravo – L’umanesimo integrale di Massimo Bontempelli. Filosofia Storia Pedagogia

Salvatore Bravo – Scrive Nietzsche che la mancanza di senso storico è il difetto ereditario dei filosofi. Perciò, da ora in poi, è necessario il filosofare storico, e, con esso, la virtù della modestia. Coniugare filosofia e storia è una delle modalità per trascendere le vuote verità.

Salvatore Bravo – Capitale e felicità sono un ossimoro. Il buon luogo, dove vivere una vita all’altezza della propria umanità, è la necessaria utopia che progetta l’uscita dalla caverna, l’esodo dalla schiavitù del dolore senza senso, esigendo in premessa una una rivoluzione culturale ed educativa di lunga durata.

Salvatore Bravo – Modelli per la prassi. Luca Grecchi è un pensatore originale. La sua attività di ricerca testimonia che, anche in tempi di miseria dell’abbondanza, è possibile il riorientamento.

Salvatore Bravo – La scuola adattiva “amica” del mercato e “straniera” alla comunità. Cultura significa paideia, cioè educazione globale, non solo in senso scolastico, ma nel senso di accrescimento  della coscienza umana che dura tutta la vita.

Salvatore Bravo – Riscoprire la concentrazione, il «theoretikós bíos» dei greci, la theoría. Così l’uomo si sottrae alla pervasività dell’eccesso di stimoli, ritorna a vivere la pienezza del tempo del pensiero, ad immergersi nel mondo per agire in esso secondo un progetto.

Salvatore Bravo – La ricerca di Luca Grecchi non solo rende palese l’assenza della metafisica nella filosofia di oggi, ma tenta di rielaborarne i fondamenti, non rinunciando alla progettualità onto-assiologica e alla verità e tracciando la via per una metafisica umanistica.

Salvatore Bravo – Senza adeguata formazione assiologica e culturale, senza «urto qualitativo», la libertà diviene fuga dal limite, individualismo generalizzato e solitudine. La libertà è nel desiderio della qualità del vivere.

Salvatore Bravo – Sul viso di Giulio Reggeni si è riversato tutto il male del mondo. La giustizia per Reggeni e per le vittime delle armi, è possibile solo se si lotta per un’economia della pace, per un’economia al servizio della persona.

Salvatore Bravo – La scuola virtuale del ministro Azzolina vuole studenti che ricevano pochi contenuti, ma edotti nell’uso non consapevole del digitale, dispersi in un presente senza passato.

Salvatore Bravo – La moltiplicazione dei bisogni indotti comporta l’inibizione dell’autentico desiderio che così diviene immediatezza, sensazione da soddisfare in tempi brevi, alienazione da se stessi e dalla comunità, luogo dove si incontrano la libertà e la solidarietà.

Salvatore Bravo – La engelsiana dialettica della storia è non solo antiumanistica, ma favorisce forme di sudditanza rafforzando comportamenti fatalistici e minando l’essenza stessa del comunismo, la quale è emancipazione comunitaria, tensione positiva tra libertà del singolo e libertà della comunità.

Salvatore Bravo – La rete è simbolo effettuale di una pervasiva madre matrigna anaffettiva che ingloba l’umanità, la omogeneizza, privandola di ogni determinazione sino a renderla un immenso indistinto nel quale le identità si assottigliano fino ad evaporare, inibibendo vera crescita e umanistica formazione.

Salvatore Bravo – Una lettura critica del libro di Antonio Damasio, «Alla ricerca di Spinoza, Emozioni sentimenti e cervello».

Salvatore Bravo – Con questo libro sulla «Dolcezza» Luca Grecchi ci dona la possibilità di un riorientamento gestaltico con cui guardare ex novo il mondo nella sua verità. Non basta essere gentili. Senza gratuità e dolcezza non vi è comunità.

Salvatore Bravo – La «SuperLega» Calcio impone i «nuovi gladiatori» come modello mercantile del capitalismo assoluto. Liberare il gioco dalla competizione distruttiva è un imperativo etico e sociale.

Salvatore Bravo – Liberarsi del dominio e non delle identità di genere. La libertà non è la pratica del nulla, ma la tensione tra le identità, il cui fine è conoscersi per donarsi.

Bertolt Brecht (1898-1956) – Gli amanti costruiscano il loro amore conferendogli alcunché di storico, come se contassero su una storiografia. L’attimo non vada perduto

Bertolt Brecht (1898-1956) – Il commercio non è mai pacifico. Parole come «commercio pacifico» nella storia non hanno un posto. I confini che le merci non possono superare, vengono superati dagli eserciti.

Brecht Bertolt – Cinque difficoltà per chi scrive la verità.

Bertolt Brecht (1898-1956) – Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili.

Bertolt Brecht (1898-1956) – Il singolo lavoratore ha tutta la mia simpatia. Ma quando pretende di intervenire sul meccanismo dei profitti, io dico allora: fermo. Tu sei un lavoratore, ossia lavori, ma quando non lavori più e scioperi, allora non sei più un lavoratore, ma un soggetto pericoloso, ed io intervengo.

Selene Iris Siddhartha Brumana – La polivocità della nozione di ‘sistema’ . Modi della sua declinazione filosofica nel pensiero antico e contemporaneo. Energeia e dynamis in Aristotele. Prospettive contemporanee del dibattito.

Mario Brunello – «Silenzio», Il Mulino, 2014. «Più penso al silenzio e più la musica mi parla».

Giordano Bruno (1548-1600) – Malamente potranno approvar questa filosofia color che, mercenari ingegni, poco e niente solleciti circa la verità, si contentano saper secondo che comunmente è stimato il sapere; amici poco di vera sapienza, bramosi di fama e riputazion di quella; vaghi d’apparire, poco curiosi d’essere.

Piero Brunori, Il “nuovo che avanza” nei principi generali del diritto amministrativo

Martin Buber (1878-1965) – L’immagine utopica è un’immagine di ciò che «deve essere», di ciò che colui che immagina desidera che sia. Questa immagine prima e originaria è un desiderio.

Georg Büchner (1813-1837) – La drammaturgia critica di un rivoluzionario: La morte di Danton – Leonce e Lena – Woyzeck.

Michail Afanas’evič Bulgakov (1891-1940) – Ogni potere é una violenza contro gli uomini e verrà il tempo in cui non ci saranno più né il potere di Cesare né altri poteri. L’uomo si trasferirà nel regno della verità e della giustizia dove non sarà necessario nessun potere.

Andrea Bulgarelli, Alessandro Monchietto – SINISTRA E IDEOLOGIA DEL PROGRESSO.

Luigi Tedeschi intervista Andrea Bulgarelli, coautore con Costanzo Preve del libro “Collisioni – Dialogo su scienza, religione e filosofia”.

Andrea Bulgarelli – «Costanzo Preve marxiano», intervista a cura di Luigi Tedeschi sul libro “Invito allo Straniamento” II.

Luis Buñuel (1900-1983) – Bisogna incominciare a perdere la memoria, anche solo a pezzi e bocconi, per rendersi conto che è proprio questa memoria a fare la nostra vita. Una vita senza memoria non sarebbe una vita, così come un’intelligenza senza possibilità di esprimersi non sarebbe un’intelligenza. La nostra memoria è la nostra coerenza, la ragione, l’azione, il sentimento. Senza di lei, siamo niente.

Edward Burne-Jones (1833-1898) – La passione della lettura nella pittura.

Antonino Buttitta (1933-2017) – L’unica via per uscire dalle secche mortali del formalismo, è quella di considerare unitamente ai problemi del significato dei fenomeni studiati anche quelli del loro senso.

Byung-Chul Han – La levigatezza è il segno distintivo del nostro tempo. Non è necessaria alcuna riflessione o pensiero. Essa resta coscientemente infantile, banale, svuotata di qualsiasi profondità. Nessuna interiorità si nasconde dietro la sua superficie levigata. Giova dismettere vesti levigate accogliendo l’invito di Rilke: «Tu devi cambiare la tua vita».

Byung-Chul Han – L’anestesia permanente nella società palliativa derealizza il mondo. Il ‘like’ conduce allo smantellamento della realtà. Solo la vita che vive, che è capace di provare dolore riesce a pensare. All’intelligenza artificiale manca proprio questa vita del pensiero, che non è calcolo né artificiale intelligenza.

Autori, e loro scritti

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Antonio Machado (1875-1939) – Imparate da voi stessi quanto più limitato di quel che non si pensi è l’àmbito del necessario. Io vi insegno l’amore per la filosofia degli antichi greci e il rispetto per la sapienza orientale.

Niccolò Machiavelli (1469-1527) – Insegnare ad altri quel bene che per la malignità dei tempi e della fortuna tu non hai potuto operare, acciocché, essendone molti capaci, alcuno di quelli più amati dal cielo possa operarlo.

Mauro Magini – Il mio amico Platone. Riflessioni su società, religione, vita.

Paolo Maddalena, L’alienazione dei beni demaniali. È in vendita l’ambiente?

Romano Màdera – Entro le coordinate del capitalismo globale la tendenza a consumare si accoppia con quella a spettacolarizzare ogni aspetto della vita.

Sergio Maifredi – Alla ricerca della saggezza perduta. Platone, ovvero la bellezza del sapere.

Angelo Magliocco – Il dualismo bìos/zoè e lo stato d’eccezione in Giorgio Agamben.

Vladimir V. Majakovskij (1893-1930) – L’amore è la vita, è la cosa principale. Dall’amore si dispiegano i versi, e le azioni, e tutto il resto. L’amore è il cuore di tutte le cose. Se il cuore interrompe il suo lavoro, anche tutto il resto si atrofizza, diventa superfluo, inutile.

Curzio Malaparte (1898-1957) – L’uomo nella fortuna, l’uomo seduto sul trono del suo orgoglio, della sua potenza, della sua felicità; l’uomo vestito dei suoi orpelli e della sua insolenza di vincitore è uno spettacolo ripugnante.

Gustav Mahler (1860-1911) – Lo spirito può affermarsi solo attraverso il mezzo di una forma chiara. La tradizione è la custodia del fuoco, non l’adorazione della cenere.

Fausto Manara – La dolcezza è uno stato dell’anima che non ha nulla a che fare con l’essere subalterni o sottomessi, ma è la strada per riscoprire un’umanità ormai delirante, per aprirci agli altri promuovendo i valori che la caratterizzano: accettazione, tolleranza, comprensione, empatia, ascolto e disponibilità.

Mario Mancini – La cultura cortese ci consegna innumerevoli “scene di lettura”. Il libro assume anche una funzione di riferimento, di orientamento per i comportamenti. L’illustrazione forse più impressionante la dobbiamo a Boccaccio, nell’«Elegia di madonna Fiammetta».

Mario Mancini – Lanza è stato un grande grecista, ma in questo libro scavalca ogni barriera accademica avventurandosi nel folklore, nel mondo delle fiabe e nei magnifici territori della letteratura universale. Un filo rosso, sottile ma tenace, è sotteso a tutte le sue analisi: lo statuto del soggetto e i confini della ragione.

Vito Mancuso – Tutti vivono, solo alcuni esistono. Vivono ma non esistono, perché in-sistono, perché cioè si collocano dentro, dentro la catena alimentare o di altro tipo, della vita. Alcuni, invece, e-sistono, hanno il coraggio di collocarsi fuori, di esistere nel senso radicale del termine.

Nelson R. Mandela (1918-2013) – Un uomo che sceglie di privare della libertà un altro uomo, è in realtà prigioniero, a sua volta, dell’odio, dei pregiudizi e della limitatezza del suo spirito.

Osip Ėmil’evič Mandel’štam (1891-1938) – Tristia. «Tutto fu in altri tempi, tutto sarà di nuovo; solo ci è dolce l’attimo del riconoscimento».

Osip Ėmil’evič Mandel’štam (1891-1938) – La libreria della prima infanzia ti accompagna per tutta la vita. Ma chi sono i nemici della parola?

Alberto Manguel – La mia biblioteca è una sorta di autobiografia. Nel proliferare degli scaffali vi è un libro per ogni istante della mia vita. Segnano i miei anni come le pietre bianche che indicano la strada di un pellegrino.

Thomas Mann – La conoscenza umana e l’approfondimento della vita umana hanno un carattere di maggiore maturità che non la speculazione sulla Via Lattea. Il vero studio dell’umanità è l’uomo.

Thomas Mann (1875 – 1955) – L’arte è come se ricominciasse ogni volta da capo. Essa non minaccia la vita poiché è creata per dare alla vita la vita dello spirito. È alleata del bene, e nel suo fondo vi è la bontà. Nata dalla solitudine, il suo effetto è il ricongiungimento.

Thomas Mann (1875-1955) – L’uomo era dunque il prodotto della curiosità di Dio di conoscere se stesso. Ma anche la Somma Saggezza poteva non bastare del tutto a prevenire errori.

Thomas Mann (1875-1955) – Sì, oggi vengon su gli istituti industriali e gli istituti tecnici e le scuole di commercio; il ginnasio e l’educazione classica sono improvvisamente ‘bétises’ e tutti pensano a niente altro se non a miniere … a industrie … e a far soldi … bravi! Ma anche un poco stupido, no?

Karl Mannheim (1893-1947) – L’utopia impedisce alla realtà esistente di tramutarsi in assoluta. Noi consideriamo come utopie tutte le idee trascendenti una situazione data, le quali hanno comunque un effetto nella trasformazione dell’ordine storico-sociale esistente. Una mentalità si dice utopica quando è in contraddizione con la realtà presente.

Aldo Manuzio (1449-1515) – Abbiamo deciso di dedicare tutta la vita all’utile dell’umanità. Questo vogliamo giorno dopo giorno sempre di più, finché vivremo.

Giacomo Manzù (1908-1991) – Non temete la natura.

Mariangela Maraviglia – David Maria Turoldo. La vita, la testimonianza (1916-1992). «A me interessa la scelta di stare dalla parte dell’“uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico”, capitato in una società di ladri, caricato di ferite, spogliato e lasciato mezzo morto ai margini della strada».

Franz Marc (1880-1916) – Noi viviamo nell’apparenza anziché vedere l’essenza delle cose. La maschera delle cose ci acceca a tal punto che non possiamo scoprire la verità.

Marcel Marceau (1923-2007) – Un gesto non basta, è necessario che un pensiero lo rivesta; e inoltre che il disegno che dà forma a questo pensiero sia rigoroso. Il gesto che non sia sostenuto liricamente è solo un disegno nello spazio.

Jesús Marchamalo – Toccare i libri. Una passeggiata romantica e sensuale tra le pagine in tempi come i nostri di vertigine digitale.

Daniela Marcheschi – Leopardi e l’umorismo, 2010.

Giusi Marchetta – Lettori si cresce.

Fabrizio Marchi – Contromano. Critica dell’ideologia politicamente corretta. Il capitalismo in quanto nichilista è flessibile, si adatta ad ogni contesto pur di sopravvivere.

Ignacio Marcio Cid – La psicoterapia filosófica de Epicuro

Ignacio Marcio Cid – Note e riflessioni sul libro di Enrico Berti, «Scritti su Heidegger»

Franco Marcoaldi – Torna alla luce il libro «Lo stolto» di Diego Lanza, grande classicista mosso da inesausta curiosità conoscitiva che varca ogni orto disciplinare. Ed ecco Bertoldo, Arlecchino, Pinocchio e il brutto anatroccolo, ma anche, e soprattutto, Socrate. In testa e in coda al libro due testi esemplari di Massimo Stella e Gherardo Ugolini.

Marco Aurelio (121-180) – È necessario che l’uomo conosca ciò che compie, perché è dell’uomo civile il capire che egli opera per il bene comune. Il vitigno che ha prodotto un grappolo non domanda altro dopo aver dato finalmente il suo frutto.

Marco Aurelio (121-180) – Com’è breve il tempo dalla nascita alla dissoluzione. Che cosa dunque può accompagnarci nel vivere? Una sola e unica realtà: la filosofia.

Andrea Marcolongo – I Greci si esprimevano in un modo che considerava l’effetto delle azioni sui parlanti. Loro, liberi, si chiedevano sempre “come”. Noi, prigionieri, ci chiediamo sempre “quando”.

Herbert Marcuse (1898-1979) – L’uomo ad una dimensione riconosce se stesso nelle proprie merci; l’apparato produttivo assume il ruolo di un’agente morale.

Herbert Marcuse (1898-1979) – È possibile distinguere tra bisogni veri e bisogni falsi.

Herbert Marcuse (1898-1979) – Se vogliamo costruire una casa di abitazione nel posto in cui sorge una prigione, dobbiamo prima demolire la prigione, altrimenti non possiamo neppure iniziare i lavori.

Herbert Marcuse (1898-1979) – Il presupposto fondamentale della rivoluzione, la necessità di un cambiamento radicale, trae origine dalla soggettività degli individui stessi, dalla loro intelligenza e dalle loro passioni, dai loro sensi e obiettivi. La soggettività liberatrice si costituisce nella storia interiore degli individui. Solo come straniamento l’arte svolge una funzione cognitiva. Essa comunica verità non comunicabili in nessun altro linguaggio: essa contraddice.

Herbert Marcuse (1898-1979) – La spontaneità soggettiva dell’uomo moderno viene trasferita sulla macchina, della quale è al servizio, così da subordinare la sua vita al “realismo” nei confronti di un mondo nel quale la macchina è il soggetto attivo e lui il suo oggetto.

Herbert Marcuse (1898-1979) – Un filosofo può commettere molti sbagli, ma in Heidegger non si trattò di un errore, bensì di un tradimento della filosofia e di tutto quello che essa rappresenta. allora rimane un’unica filosofia, una filosofia della rinuncia, della resa.

Herbert Marcuse (1898-1979) – La fantasia ha un proprio valore di verità. L’immaginazione tende alla riconciliazione dell’individuo col tutto, del desiderio con la realizzazione, della felicità con la ragione.

Herbert Marcuse (1898-1979) – La solidarietà e la comunità si basano sulla subordinazione dell’energia distruttiva e aggressiva all’emancipazione sociale degli istinti vitali.

Herbert Marcuse (1898-1979) – L’uomo sarà libero quando la realtà avrà “perso la sua serietà”, e all’uomo, non più condizionato dal bisogno e dalla necessità, sarà consentito di “giocare” con le sue facoltà e potenzialità e con quelle della natura.

Giovanna Marini – Lamento per la morte di Pasolini … solo a morire lì vicino al mare

Gabriel Garcia Màrquez (1927-2014) – Hai avuto l’amore in casa e non hai saputo riconoscerlo.

Gabriel García Márquez (1927-2014) – Gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui le loro madri li danno alla luce. la vita li costringe ancora molte altre volte a partorirsi da sé.

Henri-Irénée Marrou (1904-1977) – Tutte le nostre idee sull’uomo si collegano a una certa filosofia dell’uomo. Conoscere storicamente, significa sostituire a un dato, di per se stesso incomprensibile, un sistema di concetti elaborati dallo spirito.

Angela Martini, Crediti, moduli e competenze,

Karl Marx – Cristalli di denaro: “auri sacra fames”.

Karl Marx – Il denaro è stato fatto signore del mondo.

Karl Marx – Il denaro uccide l’uomo. Se presupponi l’uomo come uomo e il suo rapporto col mondo come un rapporto umano, potrai scambiare amore soltanto con amore.

Karl Marx – La natura non produce denaro.

Karl Marx (1818-1883) – A 17 anni, nel 1835, Marx già ben sapeva quale sarebbe stata la carriera prescelta: agire a favore dell’umanità, perché operando per la comunità nobilitiamo noi stessi. «Il più felice è quegli che rese felice il maggior numero di uomini. Quando abbiamo scelto la condizione nella quale possiamo più efficacemente operare per l’umanità, allora gli oneri non possono più schiacciarci».

Karl Marx (1818-1883) – Il capitale, per sua natura, nega il tempo per una educazione da uomini, per lo sviluppo intellettuale, per adempiere a funzioni sociali, per le relazioni con gli altri, per il libero gioco delle forze del corpo e della mente.

Karl Marx (1818-1883) – La patologia industriale. La suddivisione del lavoro è l’assassinio di un popolo.

Karl Marx (1818-1883) – Sviluppo storico del senso artistico e umanesimo comunista. La soppressione della proprietà privata è la completa emancipazione di tutti i sensi umani e di tutte le qualità umane. Il comunismo è effettiva soppressione della proprietà privata quale autoalienazione dell’uomo, è reale appropriazione dell’umana essenza da parte dell’uomo e per l’uomo.

Karl Marx (1818-1883) – Il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità.

Karl Marx (1818-1883) – Gli economisti assomigliano ai teologi, vogliono spacciare per naturali e quindi eterni gli attuali rapporti di produzione.

Karl Marx (1818-1883) – Per sopprimere il pensiero della proprietà privata basta e avanza il comunismo pensato. Per sopprimere la reale proprietà privata ci vuole una reale azione comunista.

Karl Marx (1818-1883) – Noi non siamo dei comunisti che vogliono abolire la libertà personale. In nessuna società la libertà personale può essere più grande che in quella fondata sulla comunità.

Karl Marx (1818-1883) – La sensibilità soggettiva si realizza solo attraverso la ricchezza oggettivamente dispiegata dell’essenza umana.

Karl Marx (1818-1883) – Vi sono momenti della vita, che si pongono come regioni di confine rispetto ad un tempo andato, ma nel contempo indicano con chiarezza una nuova direzione.

Karl Marx (1818-1883) – Quando il ragionamento si discosta dai binari consueti, si va sempre incontro a un iniziale “boicottaggio”.

Karl Marx (1818-1883) – L’arcano della forma di merce. A prima vista, una merce sembra una cosa ovvia. Dalla sua analisi, risulta che è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici. Ecco il feticismo che s’appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci.

Karl Marx (1818-1883) – Ogni progresso compiuto dall’agricoltura capitalista equivale a un progresso non solo nell’arte di DERUBARE L’OPERAIO, ma anche in quella di SPOGLIARE LA TERRA, ogni progresso che aumenta la sua fertilità in un certo lasso di tempo equivale a un progresso nella distruzione delle fonti durevoli di tale fertilità.

Karl Marx (1818-1883) – Il sistema monetario è essenzialmente cattolico, il sistema creditizio è essenzialmente protestante. La fede nel valore monetario come spirito immanente delle merci, la fede nel modo di produzione e nel suo ordine prestabilito, la fede nei singoli agenti della produzione come semplici personificazioni del capitale autovalorizzantesi.

Karl Marx (1818-1883) – L’uomo «totale», è l’uomo che si appropria del suo essere onnilaterale. L’uomo ricco è l’uomo che ha bisogno di una totalità di manifestazioni di vita umane, l’uomo in cui la propria realizzazione esiste come necessità interna, in una società in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo.

Karl Marx (1818-1883) – Non è per vergogna che si fanno le rivoluzioni. La vergogna è già una rivoluzione, è una sorta di ira che si rivolge contro se stessa. E se un’intera nazione si vergognasse realmente, diventerebbe simile a un leone, che prima di spiccare il salto si ritrae su se stesso.

Karl Marx (1818-1883) – L’economia ha come suo dogma la rinuncia a se stessi, la rinuncia alla vita e a tutti i bisogni umani. Quanto meno tu sei, quanto meno realizzi la tua vita, tanto più hai, quanto più grande è la tua vita alienata, tanto più accumuli del tuo essere estraniato. Tutti i sensi fisici e spirituali sono stati sostituiti dalla semplice alienazione di essi tutti: sostituiti dal senso dell’«avere».

Karl Marx (1818-1883) – La vera essenza del denaro è il fatto che la proprietà di una cosa materiale esterna all’uomo, diventa proprietà del denaro. La persona umana, la morale umana è diventata essa stessa articolo di commercio, un materiale per l’esistenza del denaro. Finché l’uomo non si riconosce come uomo, finché non ha organizzato umanamente il mondo, questa comunità appare sotto la forma dell’estraniazione.

Karl Marx (1818-1883) – A proposito di «Amazon»: gli uomini scompaiono davanti al lavoro. Il tempo è tutto, l’uomo non è più niente, è tutt’al più la carcassa del tempo. Ogni limite si presenta come un ostacolo da superare. Il capitale tende a trascendere il soddisfacimento tradizionale dei bisogni esistenti. Il movimento del capitale è senza misura.

Karl Marx (1818-1883) – Essere radicale vuol dire cogliere le cose alla radice. Ma la radice, per l’uomo, è l’uomo stesso. Occorre trasformare tutti i rapporti nei quali l’uomo è un essere degradato, assoggettato, abbandonato.

Giuliana Martirani – Tenerezza è dire grazie con la vita: e ringraziare è gioia perché è umile riconoscimento di essere amati.

Edoarda Masi (1927-2011) – Una «rivoluzione culturale»: utopia necessaria nella società di oggi, che assume il profitto a valore dominante e universale, così come predicano gli apologeti del presente, i cinici ideologi del «mercato».

Edoarda Masi (1927-2011) – Lu Xun classico solitario. La libertà di essere e restare comunisti si associa alla rivendicazione di autonomia dello scrittore in quanto tale dall’autorità politica.

Abraham Maslow – La malattia può consistere nel “non” accusare alcun sintomo quando invece dovrei accusarlo.

Stefania Massari – Pensiero è essenzializzazione. Il «Menone». L’aporeticità dell’eristica e la risolvibilità della dialettica.

Edgar Lee Masters (1868-1950) – Mandate a memoria anche solo pochi versi di verità e bellezza.

Paola Mastrocola – «La passione ribelle»: Il treno non si ferma? Ma siamo sicuri? E ribellarci? Chi studia è sempre un ribelle. Com’è che non viene mai in mente a nessuno? Se oggi qualcuno volesse ribellarsi al mondo com’è diventato, se decidesse così, di colpo, di non stare più al gioco, di scendere dal treno in corsa, studiare potrebbe essere la mossa vincente.

Paola Mastrocola – Come per il letto di Penelope e Ulisse, conserviamo i nostri segreti, le zone biografiche nascoste e solo nostre, e riserviamole davvero a pochi, soltanto a coloro nei quali è bello riconoscerci, ritrovare quel che siamo come in uno specchio.

Henri Matisse (1869-1954) – Un grande amore, capace di ispirare e sostenere questo sforzo continuo verso la verità.

Henri Matisse (1869-1954) – L’espressione essenziale di un’opera dipende quasi interamente dalla proiezione del sentimento dell’artista. Occorre un grande amore, capace di ispirare e sostenere questo sforzo continuo verso la verità.

Henri Matisse (1869-1954) – Nel campo dell’arte, il creatore autentico non è solo un essere particolarmente dotato, è un uomo che ha saputo ordinare in vista del loro fine un insieme di attività, delle quali l’opera d’arte è il risultato finale.

Ugo Mattei – La moneta, la proprietà privata sulla terra e il lavoro salariato, sono invenzioni umane che hanno il fine di astrarre a scopo di commercio valori qualitativi di per sé unici e non riproducibili.

Ugo Mattei, Alessandra Quarta – L’acqua e il suo diritto. La politica economica in materia di acqua deve abbandonare la logica del profitto.

William Somerset Maugham (1874-1965) – In età avenzata siamo disposti a intraprendere compiti che da giovani evitavamo perché avrebbero richieto troppo tempo.

Rollo May (1909-1994) – Tendere significa anche occuparsi di qualcuno, mostrare sollecitudine per l’altro.

Fernanda Mazzoli – Il problema non è chi taglia il traguardo: il problema è il traguardo. Nella Scuola  si vuole imporre come traguardo il passaggio dalla formazione della personalità umana alla formazione del capitale umano

Fernanda Mazzoli – Intorno alla scuola si gioca una partita decisiva che è quella della società futura che abbiamo in mente. La scuola può riservarsi un ruolo attivo, oppure scegliere la capitolazione di fronte al modello sociale neoliberista.

Fernanda Mazzoli – Alcune considerazioni intorno al libro «L’AGONIA DELLA SCUOLA ITALIANA» di Massimo Bontempelli.

Fernanda Mazzoli – Il libro «No alla globalizzazione dell’indifferenza» di Giancarlo Paciello. Un’agguerrita strumentazione intellettuale capace di affrontare e dissolvere le nebbie ideologiche. Rivendicazione di un «universalismo universale» fondato su una comune natura umana. Rivendicazione di una «ecologia integrale». Defatalizzazione del mito del progresso.

Fernanda Mazzoli – Una voce poetica dimenticata: Isaak Ėmmanuilovič Babel’. Fondare la rivoluzione sull’anima umana, sulla sua aspirazione al bene, alla verità, al pieno dispiegarsi delle sue facoltà. La rivoluzione non può negare la spiritualità, l’esperienza interiore dell’uomo, i suoi fondamenti morali.

Fernanza Mazzoli, Javier Heraud (1942-1963) – Non rido mai della morte. Semplicemente succede che non ho paura di morire tra uccelli e alberi. Vado a combattere per amore dei poveri della mia terra, in una pioggia di parole silenziose, in un bosco di palpiti e di speranze, con il canto dei popoli oppressi, il nuovo canto dei popoli liberi.

Fernanda Mazzoli – Per una seria cultura generale comune: una proposta di Lucio Russo.

Fernanda Mazzoli – Leggendo il libro di Giancarlo Paciello «Elogio sì, ma di quale democrazia?».

Fernanda Mazzoli – Attila József (1905-1937) – Con libera mente non recito la parte sciocca e volgare del servo. Il capitalismo ha spezzato il suo fragile corpo.

Fernanda Mazzoli – René Char (1907-1988) – Résistance n’est qu’espérance. Speranza indomabile di un umanesimo cosciente dei suoi doveri, discreto sulle sue virtù, desideroso di riservare l’inaccessibile campo libero alla fantasia dei suoi soli, e deciso a pagarne il prezzo. Les mots qui vont surgir savent de nous de choses que nous ignorons d’eux.

Fernanda Mazzoli – Ripensare la scuola per mantenere aperta, all’interno dell’istituzione scolastica, quella dimensione “utopica” così intimamente legata all’idea stessa di educazione, idea che comporta una tensione intrinseca verso “un altrove” che nulla ha a che vedere con l’adattamento al presente.

Fernanda Mazzoli – Jules Vallès (1832-1885), Jules l’«insurgé», aveva scelto di essere un réfractaire e tale rimase per tutto il corso della sua vita. Prima, durante e dopo la Comune di Parigi.

Fernanda Mazzoli – Un libro per chiunque avverta la necessità di aprirsi una strada fra le brume del presente e voglia farlo con onestà e coraggio intellettuali e morali. È di un pensiero forte che necessitiamo.

Fernanda Mazzoli – La poesia di Xu Lizhi nella fabbrica globale del capitalismo assoluto. La gioventù chinata sulle macchine muore prima del suo tempo. Senza il tempo per esprimersi, il sentimento si sgretola in polvere.

Fernanda Mazzoli – Il romanzo di Georges Perec «Les choses» è di una attualità sconcertante. I libri, quando cercano con onestà intellettuale la verità, dicono molto di più di quel che dicono i loro autori.

Fernanda Mazzoli – Il libro di Antonio Fiocco «Ideare il futuro comunitario per viverne l’essenza nel presente». L’inesausta tensione progettuale per il bene comune, mai da considerarsi come acquisizione definitiva

Fernanda Mazzoli – La ripresa, finalmente! Ma chi guida la task force incaricata di traghettare il Paese fuori dell’emergenza da Covid 19? La mitologia del cambiamento e la sua necessaria demistificazione

Fernanda Mazzoli – L’io minimo ai tempi dell’epidemia. Lo spiritello esangue e pervicace della mentalità di sopravvivenza. Sopravvivere diviene preferibile a vivere nella consapevolezza.

Fernanda Mazzoli – La speranza, nel libro di Arianna Fermani, forte della sua fragilità,  è apertura e rischio, si oppone alla paura, si accompagna alla fiducia e alla perseveranza, abita il campo della libertà, si confronta con la scelta, osa pensare il possibile (quando appare ancora impossibile) cercando di rendere realizzabile lo sperabile,  è slancio verso il futuro, immaginazione creatrice, fiducia in un avvenire migliore costruito con pazienza e talento. È scommessa educativa, paideia, «speranza di seminare semi e di veder nascere fiori».

Fernanda Mazzoli – La colpevolizzazione delle condotte individuali non conformi ai corretti stili di vita è assurta a dispositivo ideologico tanto semplice quanto efficace, perfetto per tempi come i nostri, allergici al ragionamento complesso e al pensiero dialettico.

Fernanda Mazzoli – Quei nostri morti: Angelo Appiani, Arturo Chiappelli, Arturo Malagoli, Roberto Rovatti, Ennio Garagnani, Renzo Bersani. Modena 9 gennaio 1950.

Fernanda Mazzoli – Vecchi e nuovi amici dell’umanità.

Fernanda Mazzoli – Cronache dal mondo libero.

Melania G. Mazzucco – Il museo del mondo, Einaudi, 2014.

Luciano Mecacci – Ogni cognizione umana ha un fondamento storico-sociale.

Virgilio Melchiorre – La finitudine del nostro sguardo è anche l’insuperabile limite d’una prospettiva: ci permette di guardare, ma non di guardarsi insieme a ciò che guardiamo.

Herman Melville (1819-1891) – L’invidia è dunque un tale mostro? Siccome l’invidia alberga nel cuore, non nel cervello, nessun grado di intelligenza offre garanzia contro di essa.

Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847) – Questo è appunto il bello dell’arte.

Pascal Mercier – Non vorrei vivere in un mondo senza cattedrali o in quello che demonizza il pensiero critico esigendo amore per gli sfruttatori.

Fabio Merlini – Sotto il regime dell’immediatezza qualsiasi prospettiva di lungo periodo risulta preclusa. L’assenza di prospettiva è resa effettuale dall’immediatezza, cioè l’appiattimento sul dato. Vivere nell’immediatezza significa vivere nella ripetizione di sé, privarsi di quella ulteriorità che fa dell’esistenza, oltre che uno spazio di esperienza, anche un orizzonte di attesa.

Alberto Meschiari – Il disincanto di Weber aveva ceduto alla tecnica. Ma oggi ha preso la forma della mercificazione di ogni esistente. La razionalità neoliberista ha spinto sempre più verso un progressivo processo di desolidarizzazione.

Alberto Meschiari – Gentilezza è presa di distanza critica dai disvalori, riconoscimento della comune vulnerabilità e del comune destino, esercizio consapevole di una protesta, è un atto etico nel rifiuto della reificazione delle relazioni umane.

Anne Michaels – Non c’è vera assenza se resta almeno il ricordo dell’assenza. Una voce ci riscuote. Andiamo più vicini, tentiamo di distinguere bene le parole. È questo che fa cominciare o finire l’amore: cominciamo a capire le parole.

Jean-Claude Michéa – Una «comunità» composta esclusivamente da uomini d’affari mossi dalla cupidigia e da uomini di legge osservanti delle procedure è semplicemente invivibile.

Louise Michel (1830-1905) – Non voglio difendermi e non voglio essere difesa, appartengo completamente alla rivoluzione sociale e mi dichiaro responsabile delle mie azioni. Viva la Comune di Parigi.

Carlo Michelstaedter (1887-1910) – «Il danaro, il mezzo attuale di comunicazione della violenza sociale sarà come divinità assunto in cielo, diventerà del tutto nominale, un’astrazione».

Carlo Michelstaedter (1887-1910) – Così l’anima mia si discolora e si dissolve indefinitamente che fra le tenui spire l’universo volle abbracciare.

Maurizio Migliori – Non c’è opera e non c’è argomento trattato in cui Aristotele non si misuri con i suoi predecessori.

Maurizio Migliori – La bellezza della complessità. Studi su Platone e dintorni. Platone è l’incontro con la grande bellezza e ci insegna che la filosofia è la scienza degli uomini liberi.

Maurizio Migliori – Il pensiero classico vuol capire il mondo, la cui complessità non viene messa in dubbio, e che quindi deve essere affrontato con una pluralità molto elastica di strumenti

Maurizio Migliori – La bellezza della complessità. il fatto che la verità si dà sempre con dei limiti e sempre in un gioco di relazioni, non implica la rinuncia alla verità, ma al suo carattere assoluto.

Maurizio Migliori, Luca Grecchi – Tra teoria e prassi. Riflessioni su una corsa ad ostacoli.

Maurizio Migliori – Opportunità e utilità di un approccio multifocale. Un contributo alla lotta contro il relativismo e contro la semplificazione che caratterizza l’orizzonte dell’attuale “cultura di massa”.

Maurizio Migliori e Arianna Fermani – «Filosofia antica. Una prospettyiva multifocale». Questo volume aiuta a tornare, con stupore e gratitudine, alle feconde origini del pensiero occidentale, per guardare finalmente, con occhi nuovi, il mondo e noi stessi.

Maurizio Migliori – Per Platone, ogni comunicazione filosofica deve essere sottoposta a vincoli per ragioni educative e filosofiche, in quanto solo la conquista personale caratterizza la crescita filosofica. Si deve aiutare l’interlocutore a scoprire i problemi che il reale e il ragionamento ci pongono davanti e, quindi, le soluzioni. Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta da un essere umano.

Massimo Mila (1910-1988) – Mella musica vi è un’originalità dello stile che non dipende dalla novità del linguaggio.

Massimo Mila (1910-1988) – Capire la musica è una facoltà, che può essere più o meno sviluppata. Non è un titillamento dell’immaginazione, godimento passivo, distensione e abbandono alla fantasticheria irresponsabile. È un’operazione attiva dell’intelligenza e della memoria, implica tensione mentale.

don Lorenzo Milani (1923-1967) – Gli uomini non sopportano che si scriva loro la verità.

Henry Miller (1891-1980) – La modernità che abbruttisce, la città folle, l’uomo malato di se stesso, ci hanno fatto abbandonare la via che in noi stessi (noi siamo i nostri stessi salvatori) deve portare dalla morte alla vita, dalla follia alla serenità.

Charles Wright Mills (1916-1962) – Una percezione vigile oggi implica la capacità di smascherare continuamente e infrangere gli stereotipi del giudizio e dell’intelligenza.

Czesław Miłosz (1911-2004) – Bisogna evitare la compagnia delle persone che glorificano il nulla. Non è ammesso lasciarsi dominare dalla disperazione a causa dei nostri sbagli, perché il passato non è chiuso e riceve il suo senso dalle nostre azioni future.

Eugène Minkowski – Il tempo vissuto – L’azione etica apre l’avvenire davanti a noi perché resiste al divenire: è la realizzazione di quanto vi è di più elevato in noi.

Eugène Minkowski (1885-1972)  – La morte, mettendo fine alla vita, la inquadra interamente, in tutto il suo percorso. È la morte che trasforma il succedersi o la trama degli avvenimenti della vita in “una” vita. Non è nel nascere ma è col morire che si diventa un’unità, “un uomo”.

Eugène Minkowski (1885-1972) – È lo slancio vitale che dà un senso alla vita e costituisce quanto vi è in essa di più essenziale. Questo slancio sempre vivo crea l’avvenire e non può essere racchiuso in una sezione trasversale della coscienza, e si tende, come un arco, oltre tutte le sezioni di questo genere.

Eugène Minkowski (1885-1972) – La ricchezza dell’avvenire che libera dalla morsa dell’attesa.

Eugène Minkowski (1885-1972) – La vita consiste in una ricreazione continua di una prospettiva di vita, tracciandola e costruendola con le nostre mani.

Eugène Minkowski (1885-1972) – L’attesa ingloba tutto l’essere vivente, sospende la sua attività e lo immobilizza. È una sospensione di quell’attività che è la vita stessa.

Eugène Minkowski (1885-1972) – Noi vediamo il presente diventare il passato, ma perché il passato ha presa sul presente, come pure sull’avvenire. Se riusciamo a riunire le tre forme del tempo è perché introduciamo il passato nel presente e nell’avvenire.

Gabriela Mistral (1889-1957) – Canto ciò che tu amavi, vita mia. Ti aspetto senza limiti né tempo. Tu non temere notte, nebbia o pioggia. Vieni per strade conosciute o ignote. Chiamami dove sei, anima mia.

Alessandro Monchietto – «Da capo senza fine. Il marxismo anomalo di Georges Sorel».

Alessandro Monchietto – «L’euro come metodo di governo. Il ciclo di Frenkel, le ragioni degli squilibri dell’eurozona e la mezzogiornificazione delle periferie europee».

Alessandro Monchietto, Andrea Bulgarelli – RIVOLUZIONE NEOLIBERALE. PER UNA CRITICA CONSAPEVOLE.

Alessandro Monchietto: Intervista a Costanzo Preve (Estate 2010, «Socialismo XXI»).

Alessandro Monchietto – Defatalizzare la realtà è il compito che ci attende.

Alessandro Monchietto – Dialettica dell’illuminismo. Diagnosi della società contemporanea, critica della ragione strumentale.

Alessandro Monchietto – Le molte facce del neoliberismo: squilibrio distributivo e crisi finanziaria. Intervista a cura di Luigi Tedeschi.

Luigi Tedeschi intervista Alessandro Monchietto su «Sorel, determinismo e marxismo».

Alessandro Monchietto – Quale progettualità? A partire da alcune considerazioni di Luca Grecchi.

Alessandro Monchietto – Marx tra scienza e utopia. Oggi è forse meno irresponsabile tratteggiare un’utopia fondata, che diffamare come utopia condizioni e possibilità che già da molto tempo sono diventate possibilità realizzabili.

Rodolfo Mondolfo (1887-1976) – Che cosa è la rivendicazione della humanitas.

Rodolfo Mondolfo (1877-1976) – Una rivoluzione non è un atto momentaneo di violenza. È la sostituzione di nuove forme di vita e d’azione alle precedenti: di forme che debbono costantemente mantenersi ed attuarsi, e richiedono per ciò un orientamento nuovo e deciso degli spiriti.

Rodolfo Mondolfo (1887-1976) – Alle origini della filosofia della cultura

Rodolfo Mondolfo (1887-1976) – Il vero maestro non è un somministratore di conoscenze, ma uno svegliatore di spiriti. La forma necessaria dell’indagine è il dialogo con se stessi e con gli altri. La libertà del pensiero e della sua espressione sono elemento e condizione imprescindibili per la realizzazione del fine che si impone a tutti in comune.

Rodolfo Mondolfo (1887-1976) – Moralisti greci. La coscienza morale da Omero a Epicuro

Michel Eyquem de Montaigne (1533-1592) – A mesure que la possession du vivre est plus courte, il me la fault rendre plus profonde et plus pleine.

Michel E. de Montaigne (1533-1592) – Bisognerebbe chiedere chi sappia meglio, non chi sappia di più. Lavoriamo solo a riempire la memoria, e lasciamo vuoti l’intelletto e la coscienza. Come possa accadere che un animo ricco della conoscenza di tante cose non ne divenga più vivo e sveglio, ancora non so.

Marco Montagnino – Chiunque voglia approfondire il pensiero di Parmenide e di Zenone non può non confrontarsi con l’interpretazione che ne propone Livio Rossetti.

Eugenio Montale (1896 – 1981) – La storia non si snoda come una catena di anelli ininterrotta, la sua direzione non è nell’orario. La storia non è poi la devastante ruspa che si dice. Lascia sottopassaggi, cripte, buche e nascondigli.

Eugenio Montale (1896–1981) – Antico è ciò che si nasconde tra le parole imprevedibili, mai palesate, mai scritte, mai dette per intero, che non hanno né un prima né un dopo perché sono l’essenza della memoria.

Tomaso Montanari – Costruire una società critica, una società del dissenso, è la condizione vitale per il futuro della democrazia.

Thomas Moore – L’educazione è un “e-ducere”, un tirare fuori la nostra natura, la manifestazione della nostra essenza, il dispiegarsi delle nostre capacità, il rivelarsi delle nostre possibilità. L’educazione dell’anima porta all’incanto del mondo e all’accordo del sé. A volte sostare per il melisma dà all’anima la sua ragion d’essere.

Agus Morales – Non sono soltanto migranti e rifugiati. Sono donne e uomini come noi. tutti siamo in procinto di un esodo. Comunicazione e orientamento sono i nuovi bisogni urgenti per tutti. Questa è crisi dei diritti umani e della dignità.

Giorgio Morandi (1890-1964) – Ritrovare il significato delle cose per ricominciare a guardare le cose. Quello che importa è toccare il fondo, l’essenza delle cose.

Elsa Morante (1912-1985) – L’evasione non è per me. Solo chi ama conosce. Povero chi non ama!

Elsa Morante (1912-1985) – Hanno trasformato tutti i valori reali della vita umana, l’arte, l’amore, l’amicizia, in merci da comprare e intascare.

Roberto Mordacci – Ritorno a Utopia. Il nucleo originario e tuttora pulsante dell’utopia deve essere in qualche modo riportato alla luce proprio contro le sue distorsioni, che sono divenute prevalenti nel senso comune contemporaneo. La navigazione è data all’ingegno di ognuno e di tutti.

Roberto Mordacci – Il cinema pensa. Ma, se non adottiamo un modo di fruire un film con una postura e uno sguardo filosofico avremo perduto l’occasione di incontrare una verità. La filosofia autentica è pensiero vivo che prova a darsi una forma, a mettersi in gioco, ad immergersi nella vita e ci aiuta a cogliere nel cinema la sua autenticità di riflessione visiva, di pensiero per immagini.

Vittorio Morfino – Utopia e critica immanente di fronte al capitalismo: il polo di una conoscenza non fine a se stessa, ma capace di aprire degli orizzonti di azione, e il polo di una politica che non sia un mero manovrare nel quadro esistente, ma che a partire da esso sappia guardare oltre, valorizzando le forze che in esso sono già date.

Lewis Henry Morgan (1818-1881) – La proprietà è diventata una potenza in sé, sfuggita al controllo della popolazione. La mente umana assiste sconcertata agli sviluppi della sua stessa creazione.

Christopher Morley (1890-1957) – In un vero libro c’è una intera nuova vita.

William Morris (1834-1896) – Impegnamoci a custodire il giusto ordinamento del paesaggio terrestre, per evitare di tramandare ai nostri figli un tesoro minore di quello lasciatoci dai nostri padri. Non rendiamo la terra un deserto di speranze (quale essa era una volta), ma anche una prigione disperata.

William Morris (1834-1896) – Qual è lo scopo della Rivoluzione? Certamente quello di rendere felici gli uomini.

William Morris (1834-1896) – Ci sono due generi di lavoro, uno buono e uno cattivo. Nell’uno è insita la speranza, nell’altro no. È degno dell’uomo fare il primo genere di lavoro, e degno dell’uomo è rifiutare il secondo. Nella speranza, vivremo da uomini: né il presente può darci ricompensa maggiore.

Luigina Mortari – L’utopia che orienta il presente discorso è l’«utopia ragionevole» di una società che coltiva il massimo di sensatezza relazionale possibile.

Luigina Mortari – Non è possibile pensare la ricerca di una buona qualità della vita in modo solipsistico. Tutto quanto rispetto al bene non sia frutto di un investimento personale di pensiero non diventa orizzonte. Quando si evita la fatica della ricerca rigorosa, si possono vedere solo idee storte, mentre solo la ricerca seria consente di “udire cose luminose e belle”.

Luigina Mortari – “Pensare” risponde alla necessità di stare alla ricerca di orizzonti di senso. A muovere il pensare è il desiderio di significato. Il non pensare liberamente è segno di una vita non vissuta nella sua essenza.

Luigina Mortari – Vivere è imparare a nascere, continuare a nascere, elaborando momento per momento i propri vissuti. Si tratta di fare propria la fatica, cognitiva ed emotiva insieme, di trovare i modi della propria originale trascendenza.

Giupeppe Moscati – «Strategie macro-retoriche» di Livio Rossetti. L’importanza di decifrare i meccanismi della comunicazione. La macro-retorica intorno a noi.

Evanghelos Moutsopoulos – «La musica nell’opera di Platone». La musica è autentica bellezza nel momento in cui persegue ciò che è meglio per l’uomo, e trova il suo coronamento nell’amore del bello, dove si manifestano il bene e la verità.

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) – In un’opera le parole sono scritte unicamente in funzione della musica.

Levis Mumford (1895-1990) – Gli utopisti trattano sempre la società come un tutto unico. La nostra civiltà ha poi diviso la vita in compartimenti. Sono giunto dunque a considerare il pensiero utopista come l’opposto dello spirito unilaterale, partigiano, specialistico.

Edvard Munch (1863-1944) – Il racconto è lo scopo di ogni arte.

Massimo Mungai – Rendiamo la solitudine strumento per far germogliare le nostre emozioni e per dare nuovo valore al silenzio, atto preparatorio al comunicare con gli altri.

Iris Murdoch (1919-1999) – La virtù che eccelle gratuitamente ci sorprende nell’arte così come fa spesso nella vita reale. Bisogna essere buoni senza secondi fini.

Robert Musil (1880-1942) – Ogni grande libro spira amore per i destini dei singoli individui che non si adattano alle forme che la collettività vuol loro imporre. Abbiamo troppo poco intelletto nelle cose dell’anima.

Robert Musil (1880-1942) – Il senso della possibilità si potrebbe anche definire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbe essere. Solo se si è pronti a considerare possibile l’impossibile si è in grado di scoprire qualcosa di nuovo.

Robert Musil (1880-1942) – La conoscenza della natura umana insegna a riconoscere e apprezzare l’altra persona da quella maniera nobile, quasi non tangibile e tuttavia essenziale e completa, di essere uomo e spirito.

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