Fernando Birri (1925-2017) – … pero sueña con los ojos abiertos

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La mia casa
ambulante

avrà ancora due gambe
e i miei sogni non avranno frontiere.
Ernesto Che Guevara

 

Birri_a_Cuba… pero sueña con los ojos abiertos. Fernando Birri

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Ha più valore,
un milione di volte,
la vita di un solo essere umano
che tutte le proprietà
dell’uomo più ricco della terra.
Ernesto Che Guevara

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Fernando Birri – «Para que el lugar de la Utopia, que, por definiciòn, està en “Ninguna Parte”, esté en alguna parte».

De Pascale Goffredo, Fernando Birri L’Altramerica, Le Pleiadi, Napoli, 1994, con un’avvertenza di Eduardo Galeano

 


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Jean Salem (1952-2018) – Scegli la strada in salita, è quella che ti porterà alla felicità.

Jean Salem

Lenin+che+leggeScegli la strada in salita, è quella che ti porterà alla felicità. Jean Salem

 

 

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ca. 1918-1923, Moscow, Russia --- Lenin sits at his desk and reads the newspaper. --- Image by © CORBIS

 

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Jean Salem, Lenin e la rivoluzione, Nemesis Edizioni, 2010.

 

 

Sinossi

In “Lenin e la rivoluzione”, Jean Salem opera un’illuminante rivisitazione della figura e del pensiero di Lenin, esponendo ed argomentando 6 tesi enucleate dagli scritti del grande pensatore marxista riguardo all’idea di rivoluzione. 1. La rivoluzione è una guerra; e la politica è, in generale, paragonabile all’arte militare. 2. Una rivoluzione politica è anche e soprattutto una rivoluzione sociale, un cambiamento nella situazione delle classi nelle quali si divide la società. 3. Una rivoluzione è fatta di una serie di battaglie; è compito del partito d’avanguardia fornire a ogni tappa una parola d’ordine adatta alla situazione oggettiva; è suo compito riconoscere il momento opportuno per l’insurrezione. 4. I grandi problemi della vita dei popoli non sono mai risolti in altro modo che con l’uso della forza. 5. I rivoluzionari non devono rinunciare alla lotta a favore delle riforme. 6. Nell’epoca delle masse, la politica ha inizio laddove si trovano milioni di uomini, addirittura decine di milioni. Si può inoltre osservare lo spostamento tendenziale dei focolai della rivoluzione verso i paesi dominati. Pur sotto il massiccio attacco denigratorio che da decenni la borghesia porta alla figura del più grande pensatore comunista dopo Marx, come saggiamente fa notare Andrea Catone nella sua prefazione: Non abbiamo dubbi che con la ripresa del movimento comunista in Europa, che la grande crisi strutturale del capitalismo rende a un tempo necessaria e concretamente possibile, Lenin e la sua scienza della rivoluzione torneranno prepotentemente alla ribalta.


C’est avec une profonde tristesse que nous avons appris le décès de notre ami Jean Salem survenu dans la nuit de samedi à dimanche. Nous savions la gravité de son état et nous redoutions cette nouvelle. Jean, Professeur de philosophie à la Sorbonne, animait le séminaire ” Marx XXIe siècle l’esprit et la lettre”. Il faisait partie de ces intellectuels qui pensaient que le Marxisme était toujours d’actualité dans un Monde secoué par une lutte des classes intense et par les affrontements violents au sein de l’impérialisme. Il avait donné une conférence pour le CUEM et depuis nos relations s’étaient approfondies. C’est avec enthousiasme qu’il avait accepté que nous organisions conjointement un hommage à la révolution d’Octobre pour son centième anniversaire. Si Jean n’avait pas pu être parmi nous ce jour là physiquement, il le fut ô combien au travers de son ouvrage:”Lénine et la révolution”. Avec lui, nous perdons un grand camarade de combat. La meilleure façon de lui rendre hommage c’est précisément de continuer le combat révolutionnaire.
Michel Gruselle
Président du Cercle Universitaire d’Études Marxistes
Paris le 14 janvier 2018

Résistences

 


“Lénine et la révolution”. Conférence de Jean Salem on Vimeo

 

 


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Elias Canetti (1905-1994) – Eliot non è un vero poeta, è un giocatore di birilli. Come tanti critici d’arte, come tanti critici-critici. È diventato un poeta solo perché a lui il cuore batte meno che ad altri, e vuole compensare con la chiarezza ciò che gli manca in fatto di passione.

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Eliot non è un vero poeta, è un giocatore di birilli. Come tanti critici d’arte, come tanti critici-critici.
È diventato un poeta solo perché a lui il cuore batte meno che ad altri, e vuole compensare con la chiarezza ciò che gli manca in fatto di passione.

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Il libro contro la morte

A me non interessa abolirla, cosa che non sarebbe possibile.
A me interessa soltanto bandire la morte.
E. Canetti
 ***

Provo una profonda avversione per ogni forma di critica arte; avversione che cresce là dove tale critica si avvicina alla sfera che mi compete; e la trovo insopportabile là dove si sforza di essere assolutamente fredda ed equa. Un esempio nella letteratura inglese moderna è costituito dal poeta Eliot, nei cui saggi sulla poesia mi imbatto di tanto in tanto.

Nemmeno io capisco appieno perché essi suscitino in me un ribrezzo così repentino e peculiare. Eppure lo avverto sempre, dopo una pagina o due; e con ansioso disgusto, attento a ogni parola che potrebbe accrescerlo, leggo sino alla fine ciò che dovrei mettere subito da parte, e per giorni poi mi sento come rinchiuso in un’orrenda, obsoleta camera di tortura.

La questione trattata in questi saggi è sempre quella del collocamento. La contabilità dei nomi viene affrontata oggettivamente come fosse una trattativa commerciale ben ponderata. Merita, questo o quell’altro, il suo posto nell’antologia? Vi occupa troppo o troppo poco spazio? Si lascia chiaramente intendere che i poeti vivono di antologie. Gli esiti modesti di alcune esistenze ricche e vivaci vengono ricondotti ai loro esordi. Dev’essere davvero un piacere trafficare con i morti come fossero birilli. Già il giudizio sui vivi è un’operazione piuttosto dubbia; e c’è chi preferirebbe farsi tagliare la lingua piuttosto che servirsene per pronunciare una sentenza. E invece ecco qui uno che, con i morti, non ha remore. Di morti, ne tira fuori nove, a volte anche di più, preferibilmente quelli che già da un pezzo sonnecchiano nelle antologie, li mette in fila e ci scaglia contro la sua boccia di legno. Sa poi spiegare nei minimi dettagli perché ne ha colpiti proprio sei; descrive coloro che sono stati buttati a gambe all’aria e ne convalida puntualmente il destino. Ai tre rimasti in piedi, invece, rende onore con parole discrete. Infatti, pur consapevole delle qualità della sua boccia, in fondo sa benissimo che quei tre devono a lui la loro posizione; sarebbe stato facile per lui mettere anche loro nelle fila dei morti.

Tale operazione è ripugnante per molte ragioni: rivela quanto poco questo giocatore di birilli sia ciò che pretende di essere, ovvero un poeta. Perché, se lo fosse, come potrebbe dedicarsi così freddamente a organizzare la fama postuma? Come potrebbe lottare per il numero di righe nelle antologie? Se le sue mani fossero forti nel lancio, lui abbandonerebbe la pista dei birilli e tormenterebbe i vivi o gli dèi. Invece se ne sta lì in maniche di camicia e prende le misure ai morti, quelli che lui stesso ha, prima, tirato su e poi buttato giù. Se avesse un cuore, non potrebbe colpire a intervalli prestabiliti. Ma è diventato un poeta solo perché a lui il cuore batte meno che ad altri, e vuole compensare con la chiarezza ciò che gli manca in fatto di passione. Se però la chiarezza fosse davvero importante per lui, la userebbe per districare questo mondo reale: penserebbe, invece che limitarsi a vagliare, e soprattutto si vergognerebbe di vagliare in continuazione la fama postuma solo perché tiene tanto ad essa. Lui non pensa, per lui anche la chiarezza è solo un mezzo. Fra gli appassionati si finge colui che ragiona con chiarezza, fra coloro che ragionano con chiarezza si finge un appassionato.

Chi lo biasimerebbe se, sul terreno delle parole, si muovesse alla ricerca di nuove scoperte? Dovrebbe solo ammettere apertamente la propria curiosità; disporre lui stesso il materiale; accontentarsi di ciò che lo impressiona; gioire; arrabbiarsi; afferrare; allontanare, baciare; discutere; e non presiedere una Corte di giustizia.

 

Elias Canetti, Il libro contro la morte, Adelphi, 2017, pp. 39-41.

***
Risvolto di copertina
Il libro più importante della sua vita, Canetti lo portò sempre dentro di sé ma non lo compose mai. Per cinquant'anni procrastinò il momento di ordinare in un testo articolato i numerosissimi appunti che, nel dialogo costante con i contemporanei, con i grandi del passato e con i propri lutti familiari, andava prendendo giorno dopo giorno su uno dei temi cardine della sua opera: la battaglia contro la morte, contro la violenza del potere che afferma se stesso annientando gli altri, contro Dio che ha inventato la morte, contro l'uomo che uccide e ama la guerra. Una battaglia che era un costante tentativo di salvare i morti – almeno per qualche tempo ancora – sotto le ali del ricordo: «noi viviamo davvero dei morti. Non oso pensare che cosa saremmo senza di loro». Sospeso tra il desiderio di veder concluso Il libro contro la morte – «È ancora il mio libro per antonomasia. Riuscirò finalmente a scriverlo tutto d'un fiato?» – e la certezza che solo i posteri avrebbero potuto intraprendere il compito ordinatore a lui precluso, Canetti continuò a scrivere fino all'ultimo senza imprigionare nella griglia prepotente di un sistema i suoi pensieri: frasi brevi e icastiche, fabulae minimae, satire, invettive e fulminanti paradossi. Quel compito ordinatore è assolto ora da questo libro, complemento fondamentale e irrinunciabile di Massa e potere: ricostruito con sapienza filologica su materiali in gran parte inediti, esso ci restituisce un mosaico prezioso, collocandosi in posizione eminente fra le maggiori opere di Canetti.

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Aldo Manuzio (1449-1515) – Abbiamo deciso di dedicare tutta la vita all’utile dell’umanità. Questo vogliamo giorno dopo giorno sempre di più, finché vivremo.

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Lettere prefatorie a edizioni greche

Lettere prefatorie a edizioni greche

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Abbiamo deciso di dedicare tutta la vita

all’utile dell’umanità.

Questo vogliamo giorno dopo giorno

sempre di più,

finché vivremo».

Aldo Manunzio, Lettere prefatorie a edizioni greche, a cura di Claudio Bevegni, Adelphi, 2017.

***

Risvolto di copertina

Avviare un’impresa editoriale implica, da sempre, una buona dose di coraggio. Ma nel caso di Aldo Manuzio, che nel 1495 si propone di stampare libri greci guardando oltre i ristretti confini dell’Italia, sarebbe senz’altro meglio parlare di temerarietà. Il suo rivoluzionario disegno comportava infatti difficoltà tali da scoraggiare chiunque, giacché esigeva, oltre che un fiuto fuori del comune, collaboratori di prim’ordine e con competenze linguistiche per quell’epoca rare – persino a Venezia, dove pure viveva una florida colonia greca; e manoscritti, non meno rari, su cui fondare le edizioni; e incisori di eccezionale abilità tecnica, capaci di creare tipi che gareggiassero con la grafia dei più eleganti copisti. Senza contare la difficoltà forse maggiore: il numero, inevitabilmente ristretto, dei possibili acquirenti. Ma di fronte a questi scogli Manuzio non arretra di un millimetro: e vara il suo programma editoriale con la grammatica greca di Costantino Lascaris, procuratagli da uno scout d’eccezione, Pietro Bembo. Altre meraviglie seguiranno negli anni: dalla prima, monumentale edizione di Aristotele a Sofocle ‒ proposto nel 1502 nel nuovo formato (i cosiddetti libelli portatiles) con cui ormai da un anno aveva genialmente ampliato il suo pubblico ‒, da Tucidide ed Erodoto a Euripide, Omero e Platone. La sua attività non durerà a lungo: dieci brevi, decisivi anni nel corso dei quali Manuzio riuscirà, caparbiamente e spavaldamente, a imporre non soltanto un modello di editoria guardato con ammirazione in tutta Europa, ma un modo nuovo di accedere ai testi, svolgendo così un ruolo che era stato sino ad allora prerogativa dei grandi maestri della letteratura.

L'Aristotele di Aldo Manuzio

L’Aristotele di Aldo Manuzio

***

L’Editore Adelphi ha pubblicato un florilegio di Lettere prefatorie, scritte da Aldo Manuzio (1449-1515), con prefazione di Roberto Calasso, dalla quale si ricava una specie di sua immedesimazione con l’uomo più colto del nostro Rinascimento, colui che trasformò lo stampatore in editore, la cui “Bottega” vantava ben 30 persone, fra lavoranti, familiari, ospiti e servitù, diventata, in breve tempo, un luogo di ricerca, se non una vera e propria Officina, così come lo erano quelle dei pittori, degli incisori, degli scultori. Si lavorava molto, tanto che, secondo Erasmo, non solo gli impiegati disponevano di mezz’ora al giorno per rifocillarsi, ma anche lo stesso Manuzio si sottoponeva alla medesima fatica, vivendo il tormento dell’editore come quello di un artista in cerca di continui confronti con quelli del passato e del presente.
Era fermamente convinto  che la grammatica e la lingua greca fossero indispensabili per gli studiosi del suo tempo. Citando il “Catone” di Cicerone, cercava la conferma della sua tesi, essendo la dottrina di costui dovuta allo “studio delle lettere greche”, studio ripreso dai nostri umanisti che richiedevano continuamente libri di autori greci.
In 20 anni di attività, Manuzio ha pubblicato ben 130 edizioni di opere greche, latine e volgari, famosa la sua edizione della “Commedia” dantesca. Le lettere prefatorie sono la testimonianza di una vera e propria bramosia di sapere, specie dopo il successo editoriale dell’”Organon”  del “divino” Aristotele, che riteneva strumento indispensabile per lo studio di tutte le scienze, così come lo erano, per lo studio della lingua, le Commedie di Aristofane e le Tragedie di Sofocle, con note di commento, che rendevano sempre più laboriose le operazioni. La “Bottega” di Manuzio sosteneva un costo molto elevato, per questo motivo egli dovette ricorrere all’aiuto di mecenati come Alberto Pio, principe di Carpi, e Leone X, al quale dedica l’Opera omnia di Platone. Nella supplica al Sommo Pontefice, nello stile dell’Ariosto e del Tasso, Manuzio scrive qualcosa di profetico: “una lunga esperienza insegna che, quali sono i governanti, tale sarà la cittadinanza”. La foga è talmente alta che, a un certo punto,dà del tu al Pontefice ricordandogli che la scelta di pubblicare le Opere platoniche fosse anche il frutto di una continuità con l’operato di Marsilio Ficino che aveva tradotto in latino i “Dialoghi” platonici, grazie al mecenatismo del padre, Lorenzo dei Medici. Manuzio desiderava far diventare Firenze la nuova Atene, grazie anche alla creazione di una Accademia, concepita come luogo di incontri e scambi di artisti europei.

Andrea Bisicchia

 

 

 

Cartello infisso da Manuzio all'ingresso della tipografia

Cartello infisso da Manuzio all’ingresso della tipografia


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Luciano Mecacci – Ogni cognizione umana ha un fondamento storico-sociale.

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041 «Le leggi di costruzione del linguaggio interiore sono le stesse che si trovano alla base dei più efficaci principi costruttivi della produzione artistica».
                                                                                   Sergej Eizenstejn

 

 

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Luciano Mecacci

Lev Vygotskij
Sviluppo, educazione e patologia della mente

Giunti, 2017

 

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L’opera dello psicologo russo Lev S. Vygotskij (1896-1934) spaziò dalla critica teatrale alla psicologia dell’arte, dalla psicologia generale alla psicologia dello sviluppo e alla pedagogia, dalla psicopatologia alla neuropsicologia. Fra i suoi scritti, ”Pensiero e linguaggio” (1934) è considerato uno dei testi fondamentali della psicologia. Le ricerche di Vygotskij furono condotte all’interno di un quadro teorico (la teoria storico-culturale) caratterizzato da un costante riferimento al contesto socio-ambientale che struttura e modula i processi psichici.
Dopo una sintesi della biografia di Vygotskij e delle varie fasi della ”scoperta” della sua opera nel corso del secondo Novecento, viene analizzata la teoria storico-culturale nei suoi aspetti principali: l’autonomia della psicologia, i concetti di funzione psichica superiore e sistema psicologico, il rapporto tra pensiero e linguaggio, la coscienza, lo sviluppo psichico del bambino, la formazione dei concetti, il gioco e l’immaginazione, il ruolo della scuola, il processo di insegnamento/apprendimento e la zona di sviluppo prossimo, il criterio di normale e patologico nello studio delle disabilità e dei processi psicopatologici.
Il volume contiene alcuni box in cui è spiegato il significato di termini e concetti specificamente vygotskiani e una bibliografia completa degli scritti di e su Vygotskij.

Copertina libro Pensiero e linguaggio

Copertina del libro Pensiero e linguaggio

 

 


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Samuel Bellamy (1689-1717) – Loro rubano ai poveri coperti dalla legge, mentre noi deprediamo i ricchi forti solo del nostro coraggio!

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035              Non dovresti forse unirti a noi,
piuttosto che leccare il culo a queste canaglie per ottenere un lavoro!

 

Une histoire des pirates

Une histoire des pirates

«Ci condannano, questi farabutti,
ma l’unica differenza fra noi,
è che loro rubano ai poveri coperti dalla legge,
mentre noi deprediamo i ricchi forti solo del nostro coraggio!
Non dovresti forse unirti a noi,
piuttosto che leccare il culo a queste canaglie per ottenere un lavoro!».

Samuel Bellamy

 

Jean-Pierre Moreau, Une histoire des pirates, Seuil, Paris 2006.

 

 

 

Un pirata del XVIII secolo rappresentato in un dipinto di Howard Pyle (1905)

Un pirata del XVIII secolo rappresentato in un dipinto di Howard Pyle (1905)

Fabrizio De André cita una famosa dichiarazione d’intenti di Samuel Bellamy («Io sono un principe libero e ho altrettanta autorità di fare guerra al mondo intero quanto colui che ha cento navi in mare») nell’album Le nuvole del 1990.


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Friedrich Engels (1820-1895) – Gli scienziati credono di liberarsi dalla filosofia ignorandola o insultandola. Quelli che insultano di più la filosofia sono schiavi proprio dei peggiori residui volgarizzati della peggiore filosofia.

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002Dove porta una lettura acritica e asistematica?

 

 

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«Gli scienziati credono di liberarsi dalla filosofia ignorandola o insultandola. Ma poiché senza pensiero non vanno avanti e per pensare hanno bisogno di determinazioni di pensiero e accolgono però queste categorie, senza accorgersene, dal senso comune delle cosiddette persone colte dominato dai residui di una filosofia da gran tempo tramontata, o da quel po’ di filosofia che hanno ascoltato obbligatoriamente all’università, o dalla lettura acritica e asistematica di scritti filosofici di ogni specie, non sono affatto meno schiavi della filosofia, ma lo sono il più delle volte purtroppo della peggiore; e quelli che insultano di più la filosofia sono schiavi proprio dei peggiori residui volgarizzati della peggiore filosofia».

Friedrich Engels, Dialettica della natura, Roma 1955, p. 203.


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Robert Havemann (1910-1982) – … con ciò comincia poi, nello stesso tempo, la funzione principale di una società comunista che si sviluppa sempre più liberamente: la formazione del giovane e la cura perché esso non venga distrutto in partenza, ma che possa al contrario sviluppare tutte le sue grandi capacità.

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L’elaborazione di una siffatta utopia comunista è un compito importante dei nostri tempi.

 

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«[…] qual è la vera aspirazione del comunismo?

Un ben determinato livello materiale di vita, un determinato standard di vita per tutti è, o no, premessa assoluta per il comunismo?
Cosa significa in generale comunismo?

Non credo che si possa definire il comunismo, o come altrimenti si voglia chiamare il nostro futuro ordinamento sociale che abbiamo di mira, con il fatto che ogni uomo debba avere un rasoio elettrico, ogni donna un apparecchio elettrico per ondularsi i capelli, o che ciascuno debba avere un televisore, un’automobile o una motocicletta oppure una barca a motore o una casetta nel bosco e così via.

Credo che non si faccia molta strada con siffatte definizioni tecnico-economiche, che sono tutte soltanto relative, e che rappresentano ancor sempre povertà, se comparate con la ricchezza che anche oggi si procurano i ricchi in tutta la terra.

Con siffatte definizioni di ricchezza non si potrà mai definire il comunismo.

Io trovo che le premesse essenziali per il comunismo stiano anzitutto nel fatto che non possono esistere persone privilegiate.

Non deve essere ammesso che ci siano persone che abbiano a disposizione dieci o cento volte più mezzi, materiali e altri, anche spirituali, di ogni altro uomo. Non deve essere ammesso che ci siano persone privilegiate, strati e gruppi privilegiati; al contrario, tutte le persone, tutti gli esseri umani debbono avere assolutamente le stesse possibilità, le stesse chances, debbono essere uguali tra di loro.

Questo è comunismo; questo, del resto, significa communis.

È necessario, che non sia un comunismo del bisogno e della miseria. La vita di ogni essere umano deve essere assicurata: devono essere assicurati la sua nutrizione, la sua vita, la sua abitazione, il suo sonno, i suoi indumenti, le cure della sua salute. Non deve cadere nel bisogno; anche a causa di malattia non deve soffrire più di quello che non debba soffrire per la malattia in sé. Deve esserci una completa sicurezza sociale per ogni individuo, per ogni membro della società. Questa è la seconda premessa decisiva.

I singoli individui debbono essere uguali rispetto alla libertà delle loro decisioni. Debbono avere la libertà di recarsi dove vogliono, cambiare di luogo e di paese, fare viaggi, scegliere l’oggetto del loro interesse secondo il loro gusto e i loro desideri, in modo che non possano essere diretti da una quale che sia istanza più alta, più potente, che li costringe a qualcosa che non vogliono.

Ciò che io ritengo assolutamente decisivo, è che tutti gli uomini abbiano accesso ai grandi valori culturali dell’umanità, mostrino interesse per essi; che esistano nella società gruppi, che si adoperano attivamente per coltivare e per destare l’interesse per la pittura, l’architettura, la musica; per liberare gli uomini dalla schiavitù della musica senza valore e kitsch, del mondo kitsch delle immagini, dell’atmosfera primitiva delle storie di delitti; per far sì che gli uomini scoprano infine che esiste una così immensa ricchezza di grande letteratura e di bellezza spirituale, e anche di profonda saggezza; che essi imparino a conoscere i grandi filosofi del passato, di tutti i paesi.

Tutto ciò deve diventare sempre di più il centro della vita associata, qualche cosa alla quale ci si interessa. E con ciò comincia poi, nello stesso tempo, la funzione principale di una società comunista che si sviluppa sempre più liberamente: la formazione del giovane e la cura perché esso non venga distrutto in partenza, ma che possa al contrario sviluppare tutte le sue grandi capacità.

Penso che se ci si immagina un mondo senza armamenti e senza gli insensati sprechi del capitalismo, si vede che un comunismo siffatto sarebbe già da lungo tempo realizzabile dagli uomini. In tutto il mondo, guardando le cose da un punto di vista puramente materiale, sarebbe possibile la realizzazione di questi semplici principi fondamentali.

Presto considereremmo il lusso degli sfruttatori come un risibile gravame, e disprezzeremmo, in definitiva, coloro che ne erano gli schiavi.

Credo che l’elaborazione di una siffatta utopia comunista sia un compito importante dei nostri tempi.

Credo che occorra delineare e sviluppare nuove finalità e prospettive, prima che ci si metta d’accordo sulla via che conduce ad esse. È una via verso una meta; questa meta è naturalmente fantastica e grandiosa e utopica. Come ogni utopia, essa è anche la forma nella quale ci rappresentiamo il superamento di tutte le cose inumane, per le quali oggi dobbiamo soffrire. Perciò anche la nostra utopia è sempre unilaterale, e reca l’impronta delle infelicità della nostra vita presente.

Sulla via verso questa meta ci sono pericoli terribili, perché naturalmente i potenti di questo mondo non abbandoneranno le loro posizioni di potere volontariamente, né tanto facilmente, bensì, in ultima istanza, commetteranno la follia di mettere in forse la vita di tutta l’umanità sulla terra, solo perché la loro via, l’unica giusta – così loro pensano – possa essere proseguita.

È follia che il capitalismo moderno non possa esistere se non con la crescita ininterrotta della sua produzione, con sempre nuovo spreco di lavoro e di intelligenza umani per scopi insensati.

È non meno insensato – a rifletterci – che in cento anni il consumo di energia e la produzione di energia si siano moltiplicati per mille. È una cosa che non va, che non può andare avanti alla lunga, che può portare semplicemente a una catastrofe.

La più grande follia è naturalmente l’armamento, la bomba atomica, la bomba all’idrogeno, i tanti spaventosi mezzi di distruzione di massa che vengono continuamente sviluppati, con i quali le grandi potenze si spiano reciprocamente e credono sinceramente che l’altra la aggredirebbe se potesse vedere una possibilità di successo mediante un qualche balzo in avanti di natura tecnica. Di conseguenza si pone il problema se si debba colpire subito l’avversario con un attacco preventivo, per impedire che esso possa utilizzare un vantaggio momentaneo.

Noi viviamo, tutta l’umanità vive in questa spaventosa condizione della più completa incertezza sulle decisioni di poche persone, molto limitate e di corte vedute. Mai in tutto il passato, c’è stata una situazione simile, una situazione nella quale gli abitanti di questo pianeta si siano preparati nel modo più perfetto per darsi essi stessi il colpo di grazia definitivo».

Robert Havemann, Un comunista tedesco, Einaudi, 1980, pp. 92-95.


Donande rispiste domande

Donande risposte domande

Dialettica senza dogma

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Fernanda Mazzoli – Il libro «No alla globalizzazione dell’indifferenza» di Giancarlo Paciello. Un’agguerrita strumentazione intellettuale capace di affrontare e dissolvere le nebbie ideologiche. Rivendicazione di un «universalismo universale» fondato su una comune natura umana. Rivendicazione di una «ecologia integrale». Defatalizzazione del mito del progresso.

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Locandina della Presentazione

Sabato 9 dicembre 2017, alle ore 17,30

Presso la libreria Odradek, Via dei Banchi Vecchi, 57  –  Roma

Piero Pagliani

presenterà il libro di Giancarlo Paciello

Coperta 270

No alla globalizzazione dell’indifferenza

ISBN 978-88-7588-193-1, 2017, pp. 448, formato 170×240 mm., Euro 30

 

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Fernanda Mazzoli

Il libro No alla globalizzazione dell’indifferenza

di Giancarlo Paciello

Un’agguerrita strumentazione intellettuale capace di affrontare e dissolvere le nebbie ideologiche.

Vi si dispiegano la curiosità intellettuale e la visione universalistica dell’autore permettono al lettore di costruirsi un suo proprio percorso.

Rivendicazione di un «universalismo universale» fondato su una comune natura umana, pur nel riconoscimento delle diversità culturali.

Rivendicazione di una «ecologia integrale» che non può che scontrarsi con la voracità onnivora del «capitalismo assoluto» dei nostri tempi.

Defatalizzazione del mito del progresso, cui siamo tutti devoti da almeno duecento anni

Affermazione della necessità di una comune battaglia contro la «Divinità… falsa e bugiarda, l’Economia».


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Fernanda Mazzoli,
Il libro «No alla globalizzazione dell’indifferenza» di Giancarlo Paciello

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Fernanda Mazzoli

Giancarlo Paciello, con il libro No alla globalizzazione dell’indifferenza edito da Petite Plaisance, offre al lettore un testo singolare, per struttura e per respiro, coinvolgendolo in un percorso impegnativo e stimolante che spazia dalla storia all’economia, alla filosofia, al diritto, all’ecologia. Un invito a leggere il mondo contemporaneo, nelle sue diverse articolazioni e nella sua unità di fondo, con la lente critica di un pensiero forte che continua ad interrogarsi sulla storia e sulla condizione dell’uomo, un’agguerrita strumentazione intellettuale capace di affrontare e dissolvere le nebbie ideologiche che, oggi più che mai, offuscano la realtà brutale dei rapporti di produzione capitalistici e che non rinuncia ad indicare possibili vie d’uscita a chi non crede che questo sia “il migliore dei mondi possibili”.

Il libro è costruito attorno ad una ricchissima, per quantità e qualità, rete di riferimenti testuali che fanno di questo saggio non solo uno strumento prezioso per chiunque aspiri ad una comprensione profonda, attenta ai fondamenti storici e filosofici, della società attuale, ma anche una via maestra di accesso alle ricerche e alle teorie di tanti, significativi studiosi. Non solo: la varietà degli ambiti conoscitivi in cui si dispiegano la curiosità intellettuale e la visione universalistica dell’autore permettono al lettore di costruirsi un suo proprio percorso, approfondendo certe tematiche e scoprendo relazioni non scontate tra fenomeni apparentemente distanti. Operazione legittima, a patto di non rinunciare a scoprire l’unità dell’insieme che può sfuggire ad una lettura frettolosa. È l’autore stesso, nella pagina iniziale, a fornirci la bussola da utilizzare in questo viaggio: con materiale di grande valore, cucito con il filo rosso della storia e della filosofia, ha messo a punto una «coperta dell’umanità».

Afflato universalistico, dunque: e proprio qui, nell’appassionata rivendicazione di un «universalismo universale» fondato su una comune natura umana, pur nel riconoscimento delle diversità culturali, si esercita la critica dissolvente di Giancarlo Paciello che prende le distanze dall’ideologia dominante dei «diritti umani», ricondotti alla loro precisa matrice storica (la Rivoluzione americana e quella francese) e demistificati in quanto espressione di una fasulla ed ipocrita universalità dietro la quale si celano interessi molto, troppo particolari – politici, militari, economici – che coincidono con quelli dell’Occidente liberista.

La visione universalistica si sviluppa, invece, in tutta la sua grandezza, e urgenza, nell’attenzione posta nella necessità di un ritrovato, armonioso equilibrio tra l’uomo e la natura: l’ecologia occupa un posto centrale nella riflessione di Paciello, fa da collante tra le diverse parti del suo lavoro, tesse richiami tra ambiti differenti dell’attività umana, istituisce uno sguardo alternativo sull’economia e disegna una prospettiva di uscita dalle secche dall’attuale sistema socio-economico.

Una «ecologia integrale» non può che scontrarsi con la voracità onnivora del «capitalismo assoluto» dei nostri tempi: sostenuto dalle argomentazioni di pensatori di grande rilievo, (basti qui citare Aristotele, Marx, Preve) e dalle ricerche di storici, economisti e sociologi (Hobsbawm, Bontempelli, Bevilacqua, Polanyi, Wallerstein, Michéa , Nebbia, Livi Bacci, e tanti altri) l’autore fa tabula rasa di una “mitologia” capitalistica contrabbandata come incontrovertibile verità scientifica, stabilmente installata nell’immaginario contemporaneo: l’economia neoclassica, riportata alla sua natura di crematistica, accumulazione di denaro fine a se stessa, la costruzione dell’individuo «razionale», calcolatore della teoria liberale, l’idea di un progresso infinito che disconosce il limite , l’«imbroglio ecologico» che ha occultato le radici capitalistiche della violenza contro una natura rimossa dalla sua dimensione storica, l’universalismo «farlocco» a stelle e strisce delle guerre «umanitarie».

Sfatare il mito del progresso, cui siamo tutti devoti da almeno duecento anni, è operazione che richiede una buona dose di coraggio intellettuale, anche perché implica fare i conti, in modo maturo e talora doloroso, con la tradizione ideale e l’esperienza politica della sinistra. La riflessione di Paciello, alimentata dalle tesi di Larsch, Michéa e Orwell, apre, qui, un terreno ancora in gran parte, almeno nel nostro Paese, da dissodare e che potrebbe essere foriero sia di un’adeguata interpretazione in sede storica, nonché politica di diversi fenomeni, sottraendoli innanzitutto alla categoria inconsistente e fuorviante del «tradimento», sia di una progettualità alternativa che sappia prendere le distanze da quanto in quella tradizione conteneva le premesse per la sua resa al modello economico e culturale dominante.

È, questo, un libro che ha il pregio di rispondere a molte domande essenziali del nostro tempo, ma, contemporaneamente, di suscitarne sempre di nuove, di fare il punto in modo rigoroso ed appassionato su numerosi temi e di dischiuderne altri. Il ruolo della dottrina sociale della Chiesa, cui l’attuale pontefice è particolarmente attento, è sicuramente, per chi scrive, uno di questi. Pur non disconoscendo l’elemento di rottura rispetto ai suoi predecessori rappresentatato da papa Bergoglio, né la bellezza e la grande umanità dell’Enciclica Laudato si’ (ampi stralci della quale sono proposti nella parte seconda) e pur comprendendo il carattere universale, come sottolinea Giancarlo Paciello, di un messaggio rivolto alle «persone di buona volontà», interessate alla «cura della casa comune», due sono le questioni aperte dalla scelta di dare una tale centralità all’Enciclica. La prima è piuttosto scontata, ma non perciò da accantonare: il divario tra l’accorata denuncia papale dello strapotere del denaro e la decisa presa in carico della sofferenza dei poveri stridono drammaticamente con l’effettiva potenza economica dello Stato del Vaticano e dell’istituzione religiosa, sì da prestarsi a confermare, nelle nuove circostanze, la giustezza del famoso detto di Marx sull’oppio dei popoli. La seconda, pur nella consapevolezza del debito storico e culturale verso l’universalismo cristiano, si interroga sul rischio, davanti allo sfacelo culturale, politico, sociale ed antropologico della tarda modernità, di un ritorno all’indietro, nell’alveo rassicurante di una comunità che trova nelle forme della religione uno dei suoi fondamenti, nonché un baluardo da opporre allo sradicamento devastante del capitalismo assoluto. Rischio di cui è ben consapevole Giancarlo Paciello il quale, pur auspicando un dialogo tra scienza, religione e filosofia in merito e alle sorti dell’umanità e alla necessità di una comune battaglia contro una «Divinità… falsa e bugiarda, l’Economia», rivendica, nel solco di Preve, la centralità della filosofia, distanziandosi ancora una volta dal conformismo culturale – accademico che riconosce solo l’alternativa tra scienza e religione, dopo avere delegittimato la filosofia, per sua natura poco disposta a piegarsi davanti alla nuova divinità economica che non teme la scienza di cui, anzi, si serve in funzione tecnologica, né la religione che supplisce all’insensatezza sociale creata dalla produzione illimitata di merci. Un’insensatezza che si alimenta della stessa indifferenza – al saccheggio dell’ambiente, a diseguaglianze sociali insostenibili, alla mercificazione di ogni ambito dell’esistenza – che produce e contro la quale questo libro costituisce un sicuro antidoto.

Fernanda Mazzoli


Fernanda Mazzoli – Intorno alla scuola si gioca una partita decisiva che è quella della società futura che abbiamo in mente. La scuola può riservarsi un ruolo attivo, oppure scegliere la capitolazione di fronte al modello sociale neoliberista.
Fernanda Mazzoli – Alcune considerazioni intorno al libro «L’AGONIA DELLA SCUOLA ITALIANA» di Massimo Bontempelli

 

Giancarlo Paciello

Giancarlo Paciello

Giancarlo Paciello – Ci risiamo: ancora l’infame riproposizione “Processo di pace” e “Due popoli, due Stati!”
Giancarlo Paciello – La Costituzione tradita. Intervista a cura di Luigi Tedeschi
Giancarlo Paciello – Ministoria della Rivoluzione cubana
Giancarlo Paciello – Diciamocelo: un po’ di storia non guasta. Dalle “battaglie dell’estate” del 1943 in Europa, all’avvento dell’Italia democristiana nel 1949
Giancarlo Paciello – Oggi 29 novembre! Oggi, ancora, solidarietà per il popolo palestinese.
Giancarlo Paciello – Uno scheletro nell’armadio dello Stato: la morte di Pinelli.
Giancarlo Paciello – Per il popolo palestinese. La trasformazione demografica della Palestina. Cronologia (1882-1950). Ma chi sono i rifugiati palestinesi? Hamas, un ostacolo per la pace? L’unico vero ostacolo: occupazione militare e colonie.
Giancarlo Paciello – Ascesa e caduta del nuovo secolo “americano” (Potremo approfittarne? Sapremo approfittarne?)

 

 

La conquista della Palestina. Le origini della tragedia palestinese. Con testi di Henry Laurens, Francis Jennings,  Zeev Sternhell, Norman Finkelstein, Gherson Shafir.
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Quale processo di pace? Cinquant’anni di espulsioni e di espropriazioni di terre ai palestinesi
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La nuova Intifada. Per il diritto alla vita del popolo palestinese.
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N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


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Maura Del Serra – «L’albero delle parole». La mia vita è stata un ponte per centinaia di vite, che mi hanno consumato e rinnovato, per loro libera necessità.

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«La mia vita è stata un ponte per centinaia di vite,
che mi hanno consumato e rinnovato, per loro libera necessità».
L’albero delle parole, p. 41.

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Nel cinquantesimo anniversario della morte di don Lorenzo Milani,
l’Editrice petite plaisance rende omaggio al Priore di Barbiana
pubblicando in 100 copie numerate la pièce teatrale
L’albero delle parole,
scritta nel 1987 da Maura Del Serra,
che ringraziamo per la cortese disponibilità,
e qui riproposta unitamente alla
Lettera ad una professoressa delle scuole medie
di Domenico Segna, scritta in questa occasione.


Maura Del Serra

L’albero delle parole.

Con uno scritto di Domenico Segna: Lettera ad una professoressa delle scuole medie.
ISBN 978-88-7588-184-9, 2017, pp. 64, formato 130×200 mm., Euro 10.
In copertina:
Elaborazione grafica del fotogramma di Andreas Kassel, 3XTonino, dedicato a T. Guerra, con l’inserimento dell’immagine di don Lorenzo Milani e dei suoi ragazzi di Barbiana.
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«Su tutte le sue fondamenta unite si regge la nostra piccola casa, che nessuna tempesta di dolore o di dubbi può sradicare, se non viene meno la potenza che l’ha fondata: e non verrà meno, neanche quando ognuno di noi sarà scomparso o portato lontano. Sulle antiche fondamenta, non più visibili ma ancora unite, quella potenza edificherà un’altra forma vivente, ricca di altri frutti, che nutriranno le generazioni».

L’albero delle parole, p. 49.

 

 

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L’albero delle parole, latamente ispirato alla figura e all’opera di Don Lorenzo Milani, ritrae con empatia di toni e linguaggi l’esperienza pedagogica ‘socratica’ di una comunità giovanile rurale nell’Italia degli anni Sessanta, nel suo epocale fervore innovativo e nel suo scontro con i poteri dominanti.

Il testo, accompagnato dall’appassionata denuncia epistolare di Domenico Segna, affronta, con la persuasiva profondità di visione ed il nitore espressivo tipici del “teatro della sostanza” di Maura Del Serra, alcune delle questioni individuali e sociali di quel periodo storico, che a distanza di oltre mezzo secolo mostrano i loro drammatici risvolti nella complessa specularità del presente.

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Maura Del Serra – Adattamento teatrale de “La vita accanto” di Mariapia Veladiano
Maura Del Serra, Franca Nuti – Voce di Voci. Franca Nuti legge Maura Del Serra.
Intervista a Maura Del Serra. A cura di Nuria Kanzian. «Mantenersi fedeli alla propria vocazione e all’onestà intellettuale, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico»
Maura Del Serra – Il lavoro impossibile dell’artigiano di parole
Maura Del Serra – La parola della poesia: un “coro a bocca chiusa”
Maura Del Serra, «Teatro», 2015, pp. 864
Maura Del Serra – Quadrifoglio in onore di Dino Campana
Maura Del Serra – I LIBRI ed altro
Maura Del Serra – Miklós Szentkuthy, il manierista enciclopedico della Weltliteratur: verso l’unica e sola metafora
Maura Del Serra – Al popolo della pace.

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